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La Redazione

 

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IL CESSO PIANGE

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A cura di Davide
Il 5 Gennaio 2010
64 Views

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DI CARLO BERTANI
carlobertani.blogspot.com/

Fra le tante stranezze che circolano oramai in questo Pianeta, preda d’ogni infatuazione che consenta d’obliare la realtà – ovvero che non sappiamo più dove andiamo, come e perché – ci ha colpito quella del ministro Renato Brunetta, il quale desidera modificare l’art. 1 della Costituzione, trasformando il tema fondante della Repubblica: da “fondata sul lavoro” a “fondata sulla finanza”.
Ohibò, ci siam detti, vuoi vedere che il nostro ha trascorso il Natale a Londra?
Non ne siam certi, poiché i movimenti dei Ministri sono così discreti da diventare impalpabili, come la leggera nebbia che aleggia sul Tamigi, avvolge il London Bridge e s’incunea fra le viuzze nel quartiere di Banks.
Senza voler scendere nelle solite manfrine sulla permeabilità italiota ai gorgheggi britannici – tanto meno dimenarci fra compassi e grembiulini – ricordiamo un raggiante Massimo D’Alema il quale, appena eletto Primo Ministro, si recò in pellegrinaggio al sancta sanctorum della City, che si trasformò – ahimè, per il poveretto, nato all’ombra di fronzuti olivi – nella Perfida Albione.

Viene così da chiedersi poiché il nostro discendente dei Dogi sia così, pervicacemente ed inguaribilmente innamorato dell’apparente signorilità, un po’ dandy, che scorre nelle vene degli emuli del British Empire: forse perché il grande William ambientò alcune opere proprio nella terra d’origine del brevilineo, virgulto veneto? O è preda dei vaneggi, dei canti alla luna inviati all’Empireo da evanescenti economisti che frequentavano Bloomsbury?
E’ veramente difficile trovare una risposta ed avvertiamo il lettore: stiamo scrivendo “a braccio”, e dunque non assicuriamo che il compimento sarà degno di tanto ardore nel tessere le trame di un romanzetto che vorrebbe traghettarsi fra le due sponde, quelle dell’epica e della baruffa. Il rischio è quello di finire nel romanzo d’appendice, tutti gli scrittori lo sanno: perciò, i lettori sono avvertiti.
Quando il dubbio assale, i punti interrogativi s’infiltrano fra i tasti della tastiera e salgono nell’aere, volteggiando nel fumo di sigaretta, è necessario ancorare la barca a solido molo, che è sempre il grande Cipolla.
Forse che il nostro appartiene all’universale degli stupidi?

Avremmo risolto tutto, ma Carlo Maria c’avverte: “lo stupido è colui che riesce, contemporaneamente, a danneggiare sé stesso e gli altri”!
A prima vista non parrebbe il caso del ministrucolo, poiché la furbizia che dimostra nelle sue operazioni immobiliari – una stalla acquistata per pochi soldi a Ravello, trasformata in una multivilla a multipiani di multivalore grazie ad alcuni “accorgimenti” approvati nel piano regolatore da un sindaco, poi “traghettato” direttamente alle sue dipendenze al Ministero della Funzione Pubblica – sembra indicare che il nostro tutt’altro che stupido sia.
Ma, avvertiamo, la definizione di Cipolla va sciolta, sciorinata nel tempo e negli anni: non abbiamo nostradamiche doti, le quali ci consentano di predire aruspici sul futuro dell’ex venditore, minilineo, di minigondole. Perciò, lasciamo il rassicurante ormeggio di Carlo Maria per inoltrarci nuovamente nel mare magnum, ove tutto è possibile, compreso il contrario del vero e del falso, e dove persino i sillogismi aristotelici perdono vigore, sciolti e frammentati dai vapori che il sole trae dall’acqua.

La prima barca che incontriamo è soprannominata “u’ schoeggiu”, lo scoglio: sì, così era appellata la barca di Fabrizio, poiché il poeta-cantore si nutriva più dei paesaggi che delle boline rasentate a sentor di chiglia, con l’antivegetativa all’aria.
Anche qui, la sentenza è pesante e non consente circumnavigazioni: “il cuore troppo vicino al buco del culo”.
Non riteniamo che la sentenza s’adatti al ragazzotto di Riva Schiavoni, poiché viziata da un peccato originale: Fabrizio era anarchico, e non corse mai buon sangue fra gli anarchici e la Magistratura.
E poi, non scadiamo dalla tragedia nella farsa: altrimenti, qualcuno potrebbe credere che il titolo scelto sia riferito ad personam, ossia al rischio che il nostro formichino possa oltrepassare il confine del copritazza, passando così di dimensione, da quella di maya, dell’apparenza, a quella del non essere. Rassicuriamo il lettore: non era questo il nostro intento anche perché, misure alla mano, il nostro è sì poco sviluppato in altezza, ma pingue.

Scapolato l’orizzonte, dove anche lo “scoglio” genovese è sceso, inghiottito dalla lontananza, restiamo soli con le nostre ipotesi che salgono dal mare, s’arrovellano nelle spume e giungono a frangersi su, fino in coperta.
La prima certezza che il Dio Nettuno c’invia, a forma di un delfino che c’accarezza il mascone, è che Renato Brunetta non poteva che esser maschio: sarà poco, lo ammettiamo, ma è pur qualcosa. Grazie delfino.
Se fosse stata una Renata Brunetta non avremmo avuto nessun problema da dibattere: ah, le donne, le donne…sempre capaci di trasformare il Fato avverso ammaliandolo con occhi dolci…così da scapolare anche gli scogli più difficili da dimenticare.
Sei nata piccola? Appena riesci, con i tacchi da equilibrista, a gettare un bacetto sul collo all’amato? “Nella botte piccola c’è il vino buono”. Fatto, risolto: se mi vuoi, sappi che dovrai abbassarti un poco, per bere dalla spina un vino vellutato e carico d’aromi.
Il giorno più importante della tua vita, mentre con l’abito bianco e lo strascico t’appressi alla chiesa, si scatena la maledizione meteorologica? “Sposa bagnata, sposa fortunata”. Come, non ricordi la Giusi, che pioveva a dirotto anche al suo matrimonio, e poi vinse una Mercedes alla lotteria aziendale? E tu corri, bagnato fradicio verso la chiesa, con una fiammante Mercedes stampigliata sulla retina.
Oddio, se il nostro Renato fosse stato una Renata, qualche danno l’avrebbe pur combinato: i poveri figlioli sarebbero stati bersagli d’incessanti analisi finanziarie sulle paghette, il marito conteggiato alla voce “attivi” e la suocera a quella “passivi”, ma tutto sarebbe rimasto confinato fra il desco ed il talamo, mica fra il Parlamento ed il Quirinale. E invece, del lingam fu dotato.

Sale dal mare una domanda, portata da un Pesce Luna che rotea, annoiato, senza posa in superficie: è tutto da confinare nell’universo dei brevilinei?
Che i brevilinei covino feraci rimostranze nei confronti dei normolinei e dei longilinei è assodato ma, che da simili uova nascano sempre volteggianti cigni, è dubbio. Per un Maradona che si “bevve” l’intera difesa britannica, quanti passerottini scalciano inutilmente un pallone?
Dunque, potremmo concludere che il piccolo corriere del Canal Grande sia soltanto un Maradona in divenire, e tale ipotesi ci è confermata da un’alalunga, la quale per un attimo ci mostra la regale pinna a mo’ d’assenso, per poi inabissarsi, giungendo così a confermare che la via è quella, solo dobbiamo rassegnarci: lunghe immersioni ancora c’attendono, prima di scoprire il misterioso Graal celato fra i relitti sul fondo.

Il piccolo scrivano veneziano ancora non ha letto Goldoni – di questo siam certi – altrimenti saprebbe stemperare le sue ansie nella commedia, s’abbandonerebbe fra le braccia di qualche sartina od attricetta d’avanspettacolo, godendone i frutti, senza porsi domande che travalicano l’orizzonte dei suoi occhi. La Costituzione, perbacco.
Ma è giusto comprendere questi tormenti del giovane Reinhard, poiché l’adolescenza – a volte – continua imperterrita a segnare i giorni, anche quando i primi capelli bianchi, allo specchio, dovrebbero indicare una boa.

E’ giunto dunque il momento di partire, di volgere la prua a Maestrale, scapolare le Colonne d’Ercole per navigare nei mari vichinghi ed approdare alle terre del Nord, per seguire la rotta del piloto venexiano: minuscola macchietta, nel grigiore che ammanta i banchi delle Aringhe.
Proprio nel bel mezzo del Dogger Bank, il dubbio diventa massimo e la rotta incerta: volgere la prua ad Ovest, e correre infine fra le accoglienti braccia di un estuario, per ormeggiare sotto un castello degli York? Oppure ad Est, verso lo Jade e Wilhelmshaven? O ancora a Sud, per mangiare formaggio all’aglio in una trattoria di Boulogne?
A Nord è inutile correre: lo Shangri-là nordico è tutto uguale, con le sue foreste interminabili e poca gente rimasta a presidiarle.
Incerti, andiamo all’orza, con le vele che fileggiano e sbattono. Addirittura, ci vorrebbe il desiderio d’ancorare, tanto siamo dubbiosi. Riflettiamo.

Ad Est, foreste di mulini a vento danno il benvenuto in una terra dove il fantastico è sempre stato confinato in musica e poesia. E che musica e che poesia. Herr Schmidt e Frau Schroeder lavorano, fabbricano, s’ingegnano.
Sono, ostinatamente, convinti che avere qualcosa da scambiare – qualcosa che altri non hanno – sia la miglior veste per presentarsi, per far bella figura. Anche a Sud la pensano pressappoco allo stesso modo: coccolano, vezzeggiano con cura i propri agricoltori poiché, se ci si vuole recare almeno una volta al cesso, qualcosa bisogna mettere in bocca.

Ad Ovest, invece, sono convinti che la creatività sia la carta vincente; il problema è che l’hanno poco adoprata nelle Arti: Shakespeare, Marlowe…i Beatles e poco altro.
Forse negletta nelle Arti, la creatività ha tracimato nelle Scienze, ritenendo che l’artista non debba avere confini, non si debbano in nessun modo porre limiti ai suoi parti. Madre Natura ha decretato che i bovini mangino vegetali? E chi l’ha detto? Chi è Madre Natura, al cospetto dell’imperial ingegno?
Se, nutrendoli con gli scarti della macellazione animale, la crescita dei vitelli raddoppia, perché arrestarsi? Peccato che, in una sinfonia, un misero bequadro sfuggito ad un violino di fila nessuno l’avverta: un po’ meno un pione, lanciato come un sasso nel mare magnum della catena alimentare. Fu la mucca a divenire pazza?

Questi stupidi mangiatori d’aglio francesi, ed i mangiapatate della Renania, credono che per creare ricchezza sia necessario creare dei beni. Fessi! Non si sono ancora accorti che è facile: basta creare direttamente la ricchezza! E giù con i derivati finanziari.
Com’è finita lo sappiamo, ma noi siamo grandi, nel senso che siamo cresciuti.
Così, una minuscola aringa s’affaccia allo specchio di poppa, boccheggia alla superficie poi scuote la testa e s’inabissa. Comprendiamo il segnale che Nettuno c’invia: è giunta l’ora di ripartire.
Mentre stiamo tornando, ed anche il terribile Capo Finistère ci è bonario – segno che gli Dei c’accompagnano – ci convinciamo sempre di più che nessun Graal c’attendeva, nessuna verità distillata era stata preparata affinché la scoprissimo.

Renato Brunetta non è quel che crediamo, ossia un brevilineo: è soltanto un adolescente che ancora frequenta la Seconda Liceo. Ha diciassette anni – li porta male, è vero – ma sono solo diciassette ed ha già vinto un premio scolastico per un buon componimento su un argomento economico, un concorso che sarà premiato con un viaggio. Confidiamo non a Londra.
Per la sua età ha già fatto molto: il problema – come spesso ricorda il nostro buon Presidente del Consiglio, stilettato e convalescente – è sempre da attribuire alla cattiva stampa.
Ma come si fa a far credere che un diciassettenne sia a capo di un importante ministero, come quello della Funzione Pubblica?

Chissà da dove è uscita questa bufala: attento, Brunetta, non farti solleticare troppo da questa parvenza di fama, non farti inebriare da questa apparente iperbole di notorietà. Ricorda: fra poco terminerà il quadrimestre e ci saranno le pagelle. Non vorremmo che, distratto da queste bufale giornalistiche, tuo padre che lavora sodo per mantenerti agli studi dovesse soffrire per qualche “cinque” in pagella. Vai bene in Aritmetica e te la cavi in Italiano: in Filosofia? Ah, lo sapevamo…

Comunque, cari amici, siamo felici di potervi rassicurare: non è niente di serio, solo un adolescente – preda di tutti i sogni dell’adolescenza, da Peter Pan ad Harry Potter, fino alla finanza creativa – che sogna e, talvolta, urla al mondo la sua necessità d’esistere. Niente paura: deve solo crescere.

Carlo Bertani
Fonte: http://carlobertani.blogspot.com
Link: http://carlobertani.blogspot.com/2010/01/il-cesso-piange.html
5.01.20101

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.

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