IL CASO DELL'AMMIRAGLIO FALLON E L'ESQUIRE

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FONTE: DEDEFENSA.ORG

Come i nostri lettori senza dubbio sanno, il 5 marzo Esquire ha pubblicato un importante articolo di Thomas Barnett sull’ammiraglio Fallon, comandante del Central Command, definito nel titolo “L’uomo tra la guerra e la pace”. I nostri lettori, tra l’altro, lo conoscono perché si è spesso parlato in questo sito. Per farla breve, possiamo dire che Fallon è l’uomo che si è “opposto” al possibile attacco deliberato contro l’Iran caldeggiato dalla sua gerarchia (la marina USA) e dallo stesso Segretario alla difesa Gates.

Due articoli rispondono a quello di Esquire, o comunque lo commentano.

• L’8 marzo Garteh Porter ha pubblicato su Antiwar.com un articolo in cui considera confermate tutte le sue tesi e rivelazioni (è Porter ad aver fornito la maggior parte delle precisazioni sull’opposizione di Fallon a un attacco contro l’Iran. Certe vengono smentite in modo più o meno credibile. Si tratta di un gioco delle parti per non essere colti formalmente in castagna). “Un nuovo articolo sull’ammiraglio William Fallon, comandante del CENTCOM, conferma che le sue dichiarazioni pubbliche della primavera scorsa contro la guerra in Iran non erano state coordinate con la Casa Bianca e lo hanno messo più volte in contrasto col presidente George W. Bush e il vicepresidente Dick Cheney”.

• Il 7 marzo Chris Floyd ha commentato in CounterPunch.com l’articolo di Esquire in un’ottica completamente diversa. Floyd ammette che Fallon ha svolto, soprattutto nel 2007, un ruolo moderatore non trascurabile nelle tensioni nate dal possibile attacco all’Iran, ma… “non vediamo niente di più di piccoli disaccordi tra Fallon e la Casa Bianca su alcuni problemi tattici, sui tempi, e sul modo di presentare il dominio americano su un ampio numero di nazioni e popoli”. Floyd argomenta in modo molto convincente, e sottolinea che Fallon non si è assolutamente discostato dalla “linea imperialista” degli USA, e men che mai dalla possibilità di un attacco all’Iran se la cosa dovesse un giorno sembrare necessaria, dimostrando, afferma, un sovrano disprezzo per i suoi potenziali nemici (e rammenta questa frase dell’articolo di Barnett, che a sua volta cita Fallon: “Siano seri, afferma l’ammiraglio, questi tipi sono vermi. Al momento opportuno li schiacceremo”). Due passaggi riassumono il punto di vista di Floyd…

“No, la cosa più importante nell’articolo è che Barnett ci offre, senza volere, un quadro estremamente chiaro della vera natura del sistema statunitense attuale. Un sistema che in modo dichiarato, inequivocabile e non apologetico, è imperialistico, in tutte le accezioni del termine e in tutti gli angoli più reconditi della sua struttura. Perché quale è la posizione reale di Fallon? Lo vediamo comandare vaste armate, le sue e quelle dei suoi accoliti locali, scatenare battaglie per piegare al volere di una superpotenza nazioni, regioni e popoli. Lo vediamo incontrare – al Cairo, a Kabul, a Bagdad, a Dushanbei – i capi dei regni vassalli, dare consigli, blandire, imporre, minacciare, interferire a fondo negli affari interni dei territori dominati, cercare di pilotarne le politiche, lo sviluppo economico, la struttura militare e la politica estera.

(…)

“Quello che stiamo osservando, per dirla in parole povere, è un proconsole imperiale al lavoro. Non c’è alcuna differenza tra il ruolo di Fallon e quello dei proconsoli mandati dagl’imperatori romani nelle lontane province ad occuparsi delle guerre, le tribù, e i regni vassalli. Anche allora l’imperatore non poteva limitarsi a schioccare le dita e piegare ai suoi voleri qualsiasi situazione; a volte bisognava blandire, venire a compromessi, e in qualche caso fare marcia indietro. Ma dietro ogni evento si sentiva la presenza del potere militare romano e la minaccia di morte e distruzione se gl’interessi di Roma non fossero stati alla fine soddisfatti. Con i proconsoli americani di oggi succede esattamente la stessa cosa”.

È impossibile fare una scelta tra i tre articoli: tutti e tre dicono il vero, tutti e tre osservano il bicchiere, mezzo pieno o mezzo vuoto a seconda del punto di vista che si sceglie. È giusto e corretto sottolineare che Fallon ha svolto un ruolo fondamentale nel frenare la foga bellicistica dell’amministrazione Bush, anche se ci è impossibile dire se questa foga avrebbe potuto comunque sfociare in qualcosa di concreto. Ma è anche giusto e corretto ammettere che Fallon è un uomo del sistema, un ammiraglio, un proconsole, un essere che considera evidente e naturale l’egemonia interventista degli USA in tutti gli affari importanti del mondo, anche se nel suo caso si tratta per il momento di un interventismo soft…

Possiamo anche constatare che tutto ciò che è stato scritto su Fallon, e più o meno da lui stesso confermato o smentito nell’articolo di Esquire, non fa che mettere in risalto l’estrema relatività dell’informazione attuale, l’assenza di una reale “linea formale”, la funzione della comunicazione come mezzo principale per creare la potenza e usarla, in tutti i sensi, senza una predominanza formale di questa o quella posizione ufficiale. Lo stesso articolo di Esquire è un’ulteriore dimostrazione del fatto che l’uso dell’informazione e della comunicazione come strumenti della potenza supera oggigiorno per importanza i riferimenti al potere del sistema cui questo uso dovrebbe conformarsi. Non c’è più alcun rispetto per il potere ufficiale e quest’ultimo, dinanzi alla potenza della comunicazione, non ha più alcuna legittimità.

E in tutto questo non c’è ancora l’essenziale delle reazioni che l’articolo dovrebbe suscitare, anche se ci si prepara.

Il sistema e la ribellione

Nonostante le riserve sopra espresse, che comunque confermiamo, resta in ogni caso il fatto che l’articolo di Esquire costituisce in tutti i sensi un avvenimento straordinario all’interno del sistema, se pensiamo alle regole che consideravamo imperative e che dovrebbero esserlo se il sistema funzionasse ancora in modo soddisfacente. E diciamo questo perché Esquire è una pubblicazione di grande prestigio, estremamente diffusa, e con un alto indice di penetrazione in ambiente quali uffici, saloni e sale d’attesa dei dottori alla moda di New York o San Francisco.

Leggere in una pubblicazione di questo genere un articolo così lungo, preciso, e ricco di citazioni ad hoc, su un ammiraglio con funzioni di comando estremamente importanti e in un contesto operativo di tale importanza, che ricopre un ruolo che lo vede opporsi in modo misurato (“tattico”, come dice Floyd) al potere civile: ecco in cosa consiste l’eccezionalità della situazione.

Non possiamo aspettarci dal comportamento dell’ammiraglio Fallon niente di più di quello che ci ha già dato: un mezzo per frenare, forse addirittura deviare, per un tempo limitato e in circostanze ben precise, la furia bellica di Bush. Non è ragionevole attendersi che faccia saltare il sistema. Fallon è un uomo del sistema, e per di più un ufficiale superiore; è, cioè, la lealtà al sistema fatta uomo e un ufficiale dell’impero per antonomasia. Inutile chiedergli quello che non può ontologicamente offrirci, a rischio di non essere più se stesso.

Su un piano più generale, sbagliamo se ci aspettiamo dall’uno o dall’altro individuo che sembra ergersi per un momento contro il sistema di andare fino in fondo. Abbiamo una visione intellettuale troppo marcata del sistema come di un nemico identificabile, quasi localizzabile nello spazio, che possiamo combattere in quanto tale, come faremmo con un regime politico che volessimo abbattere con una rivoluzione o contro cui volessimo alzare la bandiera della rivoluzione (una sorta di ammiraglio Fallon-Lenin, se volete). Ci aspettiamo da ogni uomo che sembra ribellarsi che si comporti come se fosse l’uomo in grado di organizzare un attacco simile.

Il sistema americano è un avvenimento eccezionale della Storia che non può essere paragonato a null’altro per la sua onnipresenza e onnipotenza. È la totalità: è tutto quello che siamo, è dappertutto, è totalitario al di là di ogni immaginazione, e tutti coloro che vi si possono opporre, anche i peggiori estremisti, sono anche suoi complici in un modo o nell’altro. Ci potremmo spingere fino ad affermare che per opporvicisi bisogna esserne prima o poi “complici”, “tatticamente” se si vuole (e come dice Floyd). Nel momento in cui scriviamo queste righe, noi stessi di dedefensa.org siamo in una certa misura “tatticamente complici”, ad esempio usando i moderni mezzi di comunicazione che sono stati creati dal sistema e che il sistema controlla. Ogni ribellione ha quindi in sé un limite intrinseco. Ma la cosa importante da capire è che la riuscita della ribellione non è essenziale; il sistema non funziona in base a queste regole ed è permeabile alle ribellioni individuali o di gruppo, anzi a dire il vero è permeabile a qualsiasi tipo di ribellione. Può essere distrutto solo per autodisintegrazione. Il destino e la fine eventuale del sistema sono un problema interno, e niente altro.

L’interesse del caso Fallon sta nel fatto che la sua “ribellione” ci permette di capire lo stato attuale del sistema. In tale ottica, e tenendo conto di tutto quello che sappiamo su Fallon e su questo straordinario (in questo caso) articolo per il grande pubblico, l’esibizione agli occhi di tutti di un ufficiale di tale rango e con tali responsabilità, che espone il suo punto di vista quasi alla pari col potere civile, e che lo critica con un contegno di buon tono, come se le cose venissero di per sé – potere civile che, di conseguenza, non vale più una cicca… Ecco la cosa più importante per il nostro obiettivo, la descrizione dello stato attuale del sistema. L’ammiraglio Fallon e il suo comportamento costituiscono una parte non trascurabile di una incoraggiante diagnosi sull’avanzato stato di autodecomposizione del sistema.

Fallon sarà veramente sostituito l’estate prossima, come alcuni credono di capire leggendo il testo? (“Anche se alla fine Fallon potrebbe effettivamente essere sostituito per non essere stato abbastanza ossequiente con il Leader, alla maniera di Petraeus-Franks”). Ne dubitiamo, perché non crediamo che l’amministrazione alla guida del sistema, così straordinariamente debole e la cui legittimità è talmente a pezzi che sembra non esistere più, ne abbia ancora la forza. (l’attuale amministrazione è tutto questo, tanto da spingere la direzione di Esquire, indipendentemente dai suoi sentimenti, a giudicare politicamente ragionevole e commercialmente fruttuoso pubblicare un siffatto articolo, e Fallon a prestarsi al gioco…). Qualunque sia il destino di Fallon, resta il fatto che con un altro presidente e un’altra amministrazione, in illo tempore non suspecto (cioè quando il sistema aveva ancora una colonna vertebrale) un tipo come lui non sarebbe più al Central Command già da molti mesi. Anzi, non sarebbe mai stato nominato alla sua guida. Anzi, non avrebbe mai avuto i sentimenti e il comportamento che ha avuto e che ha.

Fonte: www.dedefensa.org
Link: http://www.dedefensa.org/article.php?art_id=4967
10.03.08

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CARLO PAPPALARDO

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