DI PINO CABRAS (BLOG)
Mahmūd Ahmadinejād lo vedo proprio male.
I fucili dei media sono tutti puntati su di lui, e lui che fa? Se ne esce con brutte frasi su Israele, ancora una volta.
È già da tempo nel mirino, quello di chi lo disegna come un onnipotente dittatore che indirizza tutte le sue risorse militari verso un sogno di egemonia bellica. L’ennesimo “nuovo Hitler” da strapazzare come i precedenti “nuovi Hitler”, si chiamassero Saddām, Gheddafi, Noriega, Milošević.
E lui niente. Si tuffa ancora una volta incurante, a capofitto, nel tritacarne dei media.
In questo inizio di giugno 2008 non c’è giornale, da destra a sinistra, da est a ovest, che non scriva in prima pagina che il presidente iraniano, di nuovo, ha tuonato che Israele «è alla fine e verrà presto eliminato dalle carte geografiche».
Lo scrivono tutti, sempre, senza eccezioni, non può essere che così. L’ha detto.
E invece no, non l’ha proprio detto.
Il signor Ahmadinejād non ha mai parlato di carte geografiche, di mappe. Mai.
Tu leggi “carte geografiche” e ti immagini un dittatore che scruta una cartina militare distesa su un tavolo, dove individua un territorio con un popolo-bersaglio da incenerire. Chi batte su quella immagine e su quelle parole – carte geografiche – conosce bene la psicologia collettiva, l’immaginario, l’icona dei cattivi che pianificano freddamente le pulizie etniche per puro odio fanatico e integralista.
Eppure, anche se la frase viene martellata in ogni dove, con l’inflessione di una verità lampante, come a dire oggi è sorto il sole, i cani abbaiano, l’acqua disseta, quella frase è nondimeno un’invenzione totale, una citazione fraudolenta, un luogo comune ripetuto all’infinito dai mass media senza alcun filtro, nessun controllo, una qualsivoglia verifica. E lo posso dimostrare.
Voglio capire cosa ha detto esattamente il presidente iraniano, e mi muovo in questa ricerca sapendo che sarò molto infastidito dalle sue espressioni ostili. Ahmadinejād ha detto che il regime israeliano «has reached its end and will disappear from the scene» (“ha raggiunto la sua fine e scomparirà della scena”). La frase e il contesto sono riportati dall’agenzia iraniana IRNA (QUI)
Possiamo anche leggere in un’altra agenzia che «the president added that sooner or later the Israeli regime would disappear, stressing that its ally, the United States, was already on its way to losing power.» Ossia “il presidente ha aggiunto che presto o tardi il regime israeliano scomparirà, e ha posto l’accento sul fatto che il suo alleato, gli Stati Uniti, sono anch’essi già sulla via di perdere il potere”.
Sapete che vi dico? A me il presidente iraniano sembra un grave elemento di sfortuna per il popolo iraniano, e non mi sta per nulla simpatico.
Non mi faccio nemmeno intenerire dai suoi abiti di scarto di grande magazzino degli anni ottanta.
Le sue parole contro Israele sono spesso ostili e odiose, non accettabili nella dialettica fra le nazioni, parole irresponsabili e alla fine dannose per gli stessi iraniani (come ha sottolineato l’ex presidente Khātami).
Eppure dobbiamo stare attenti a non farci trascinare in un nuovo clima di guerra. Perché proprio la guerra all’Iran è uno dei prossimi punti dell’agenda della rivoluzione neoconservatrice.
Sull’odio, costruito con perseveranza, si gioca la conquista delle menti a favore della guerra.
Vedo con sospetto l’insistenza implacabile dei media su una falsa traduzione come questa, che si è già verificata in altre occasioni. Ogni volta che leggete di Ahmadinejād, meglio andate alle fonti, e leggetevi le traduzioni esatte, non quelle diffuse dai disinformatori tipo il MEMRI ai quali si abbeverano acriticamente tutti i media più importanti. Ho fatto così anche la prima volta che al presidente dell’Iran venne attribuita la frase mai proferita di voler «cancellare Israele dalla carta geografica», con il seguito di esecrazioni di tutti i leader del mondo occidentale. La traduzione corretta è QUI .
Perché dico che gli āyatollāh e il loro regime saranno brutti, ma non come li dipinge il gregge mediatico? Anzitutto, dobbiamo restituire le frasi scellerate di Ahmadinejād al proprio contesto, per capire se c’è davvero un nuovo Olocausto alle porte.
«A quanti dubitano, a quanti non credono, dico che un mondo senza l’America e il Sionismo è un obiettivo possibile»: parole di Ahmadinejād davanti a una folla fanatizzata, già nel 2005. In quella occasione gli occhi dell’ex sindaco di Tehran divennero ancora più piccoli, mentre ricordava che un giorno l’Imam Khomeynī (il leader della rivoluzione islamista del 1979) aveva dichiarato che il regime illegale dei Pahlavi doveva essere rimosso, e la cosa poi avvenne davvero nonostante lo scetticismo di chi sembrava capirne di politica. Che altro disse di memorabile Khomeynī? Disse che l’impero sovietico sarebbe scomparso, e così fu. Disse anche che Saddām doveva essere punito, e lo abbiamo visto in manette nel suo Paese. Ahmadinejād ricordava che Khomeynī disse anche che il regime di occupazione di Gerusalemme doveva «sparire dalla pagina del tempo», e con l’aiuto dell’Onnipotente, si vedrà un mondo senza America e senza sionismo, nonostante ci sia chi ne dubita (Safa Haeri, Iran on course for a showdown, «Asia Times», 28 ottobre 2005).
Non è un programma politico-militare: è un richiamo alla fede.
In sostanza dice: tutte le profezie di Khomeynī si sono adempiute, si adempierà anche questa.
Certo, il suono è fastidiosamente fondamentalista e fanaticamente messianico. Ma questa fede si riferisce a eventi promessi e adempiuti senza l’intervento dell’odierna repubblica islamica: la caduta dello Scià, la fine dell’URSS, la capitolazione di Saddām. Come dire: è stata la provvidenza, sarà ancora così.
Gli iraniani devoti non sono chiamati all’iniziativa bellica, bensì all’attesa.
Non è vero, insomma, che Ahmadinejād abbia detto: «distruggeremo Israele». Ha fatto conto su una futura ondata di lotte popolari che con l’aiuto di Dio avrebbe portato alla fine dell’attuale regime che occupa Israele (rezhim-e ishghalgar-e Qods, in lingua farsi). Non è la stessa cosa, attenzione. Devo distinguere, perché c’è in giro chi mi vuole già arruolare nella preparazione della prossima catastrofe bellica.
Sento già la classica obiezione in forma di proverbio contadino: “se non è zuppa è pan bagnato”. Ma non stiamo commentando piccole vicende rurali. Dobbiamo capire le sfumature e sapere se ci sono oppure no dei pericoli concreti.
La parola “scena” e l’espressione “pagina del tempo” non si possono tradurre con “carte geografiche”. Punto.
Né si può tradurre “il regime israeliano scomparirà” con “noi spazzeremo via Israele”. Punto.
Devo capire a chi parlava il presidente iraniano. Si rivolgeva a «quanti dubitano», molti in Iran. Il discorso di Ahmadinejād – pure infausto in questo clima di tensioni internazionali crescenti – era dunque a uso interno.
Il suo discorso tradisce la sua debolezza nel complicatissimo bilanciamento di poteri di Teheran, dove le autorità laiche e religiose si paralizzano reciprocamente in un macchinoso sistema di organi costituzionali. Non c’è un sistema totalitario votato a concrete iniziative espansioniste né a programmi distruttivi. Non c’è una vera ‘minaccia iraniana’ in atto, mentre la pericolosità militare del programma nucleare iraniano è gonfiata, come ha ammesso con forza e al massimo livello istituzionale tutta l’intelligence statunitense.
Non è zuppa, non è pan bagnato. La cattiva traduzione diventata senso comune è una pozione di veleno propagandistico che ci viene fatta bere ogni giorno.
Pino Cabras
Fonte: http://pino-cabras.blogspot.com
Link: http://pino-cabras.blogspot.com/2008/06/il-caso-ahmadinejad-zuppa-pan-bagnato-e.html
3.06.08