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IL CADAVERE DELLA CULTURA AMERICANA

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A cura di Davide
Il 12 Aprile 2005
66 Views

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Dove tutti gli eroi sono falsi e le icone riverite per le loro bugie

DI JOHN KAMINSKI

Adesso vi svelo il mio segreto – sono un vecchio cronista sportivo che ha praticato lo stesso gioco per poco più di mezzo secolo.
In questa mia veste su Internet, l’argomento di cui tratto è variato sensibilmente benché non lo sia affatto il fine generale del mio scrivere. E’ sempre stata mia intenzione quella di indurre la gente a riflettere sui propri insensati comportamenti. Lezioni queste che si possono trarre al di là di ogni esperienza personale.
 La prima storia uscita col mio nome sul giornale venne pubblicata nel 1957. Trattava della squadra di baseball della mia scuola elementare. E’ ironico, ma non troppo, che questo mio ultimo sforzo riguardi in parte lo stesso gioco, il tanto amato baseball, che un tempo, nella mia impaziente ottimista gioventù, consideravo alla stregua di un rito dal significato cosmico.Adesso, che giocare a shuffleboard[1] mi si addice di più, ho capito che il baseball forse non è quella trascendentale via zen che immaginavo. Ciò nonostante resta un accurato barometro sociologico del patetico imbroglio che è la cultura popolare americana.
L’ho pensato assistendo alla testimonianza resa dall’osannato battitore Mark McGwire dinanzi ad una commissione del Congresso incaricata di indagare sull’impiego di steroidi nel baseball professionista. Con una voce fattasi incerta e lacrime gonfie ai bordi degli occhi, fu subito evidente che l’uomo di fronte a noi, dopo aver raccolto i frutti della più alta adulazione delle masse, adesso si trovava sul punto di suicidare pubblicamente la sua gloriosa reputazione.


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“Su suggerimento del mio legale, non posso parlare dei miei trascorsi”, ha ammesso McGwire davanti al comitato attonito. Il deputato Charles Lewis ha preteso una spiegazione. “Sta dicendo che desidera appellarsi al quinto emendamento?” chiese l’onorevole. A McGwire seduto in preda all’imbarazzo, quasi mancò l’aria quando cominciò ad annuire col capo… e a vedere svanire in una nuvoletta di fumo satura di colpa i traguardi di una vita.

Il rifiuto a rispondere equivaleva a dire che il grande battitore aveva imbrogliato e che dell’argomento non ne poteva parlare. Aveva usato sostanze chimiche per accrescere le sue prestazioni fisiche al punto da risultare in grado di battere il più ambito primato nel baseball: totalizzare il più alto numero di fuori campo in una sola stagione.

Si è trattato forse del momento più rovinoso della storia del baseball, pari solo all’espulsione a vita per gioco d’azzardo di Pete Rose, re della battitura e allo scandalo Black Sox del 1919, a seguito del quale otto giocatori vennero espulsi a vita per aver truccato le partite della World Series.

Ma il caso McGwire, sicuramente devastante per via della grande fama attribuita al giocatore, si è rivelato ben più devastante per via delle implicazioni che ha comportato in un secondo tempo – in modo particolare, il coinvolgimento del compagno battitore Barry Bonds nella stessa oscura e disonesta pratica del gonfiare le proprie prestazioni con le droghe. E con Bonds, giocatore sette volte più in gamba ed icona dominante nel gioco d’oggi, destinato a breve ad una simile squallida svolta, la muta autodistruzione di McGwire è sembrata presagire l’incombente distruzione dello stesso passato nazionale dell’America.

 

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Un altro chiodo piantato nella bara di una cultura artefatta e superficiale.

Nella mia testa, ho provato a contemplare uno scoraggiamento di pari grado nella storia della cultura americana, e quanto ne è emerso risale al tempo in cui le truppe U.S.A. furono costrette a svignarsela per sempre in elicottero da Saigon con la coda tra le gambe.

L’America boriosa alla fine aveva perso la guerra, una situazione che gli americani non seppero come interpretare. In fin dei conti la lezione non l’abbiamo ancora imparata.

Certamente, mettere a confronto eventi relativamente triviali come lo è una forma di intrattenimento in definitiva priva d’ importanza con una conflagrazione di rilievo nella quale hanno perso la vita quasi quattro milioni di persone è un esempio discutibile. Tuttavia si può affermare in tutta tranquillità che un ben più alto numero di americani si interessa di baseball piuttosto che delle vite di stranieri innocenti falciate in modo arbitrario dal suo esercito.

Dunque, visti nell’ottica del debosciato e mal riposto animo sociale americano, i due eventi possono benissimo essere messi a confronto.

Però la psiche collettiva americana non ha imparato la lezione nemmeno in questa nuova tragedia del baseball.

La lezione sarebbe che barare e non competere onestamente è un’azione che alla fine ricade su chi la fa, anche se la truffa posta in essere sembra sfuggire all’attenzione nel momento in cui viene compiuta.

Il paragone con un governo Americano di nuovo stampo fascista che va seminando tempeste per il mondo cancellando ogni oppositore appare scontato. Tutti noi non possiamo che pregare che questo avventurismo del Pentagono finisca per fare una simile disonorevole fine.

Ma volevo soffermarmi un po’ di più sul piano dell’intrattenimento per cercare di dimostrare quanto l’America sia diventata una specie di automa privo di discernimento, perché ultimamente quando si parla di politica, la maggioranza degli americani si rinchiude nel silenzio e si concentra lungo il confine esistente tra la pietosa presa di coscienza e il dogma scriteriato.
 

Eric Margolis, giornalista del Toronto Sun, ha utilizzato giorni fa uno dei miei esempi preferiti per dimostrare il declino della consapevolezza americana (e dell’ intelligenza e compassione) citando il film degli anni ’60 “Seven Days in May” , basato su di un celebre romanzo scritto intorno al periodo della crisi dei missili cubani quando la minaccia di un conflitto nucleare incombeva sul mondo.

In quella classica pellicola in bianco e nero, Burt Lancaster veste il ruolo del famigerato Generale Scott, uno squilibrato di destra frustrato per il programma tollerante di un presidente liberale interpretato da Frederic March. Kirk Douglas interpreta invece il ruolo dell’eroe, un sottoposto del generale folle che allerta il buon presidente riguardo al colpo che sta per essere messo a segno, tanto che il complotto viene sventato.

La parte saliente del film è incentrata sul comportamento del generale. Si tratta di un Patriota nel vero senso della parola, determinato a sconfiggere il nemico senza farsi distogliere da sentimenti di compassione o comprensione. A quarant’anni di distanza, si resta sbalorditi a constatare che il generale si esprime esattamente come quel criminale del nostro attuale presidente, Gorge W. Bush.
 

Nei primi anni ’60, il ruolo di Lancaster fu criticato aspramente da critica e spettatori i quali ritennero esagerato il modo in cui il pazzoide veniva ritratto. Eppure oggi, la prestazione praticamente identica del Presidente Bush viene descritta dai prostituiti media di oggi come espressione di un leader legittimo avente valide convinzioni religiose.

Trovo che questa osservazione descriva perfettamente la diversità esistente tra la cultura morale degli anni sessanta e la cultura comatosa del primo decennio del ventunesimo secolo e che confermi la tendenza per la quale nei film americani l’eroismo come principio cessa di essere una peculiarità da perseguire.

Attraverso i suoi film l’America sprofonda in un pantano di perversione.

Lo speculare sulle ragioni che hanno determinato tale patologica e disgraziata degenerazione della cultura americana porta inevitabilmente a domandarci chi siano i padroni che controllano i processi relativi all’istruzione e ai mezzi di comunicazione di massa, i quali hanno condotto a tale calo di sensibilità, questa delegittimazione dei confini morali tradizionali, questa scomparsa del bravo ragazzo americano.

A chi attribuire il processo che ha distrutto l’America che sognavamo di amare, quell’ America per cui oramai proviamo solo disprezzo, sfiducia e paura? Vi interessa cercare una risposta o vi sta bene che il vostro benessere e la vostra vita stiano per essere annientati? Appena potete fatemi sapere che ne pensate, sempre che ve ne importi qualcosa.

Permettetemi di riportare ancora un esempio del decadimento della cultura americana, questo svilimento indotto da sostanze stupefacenti di quella che un tempo era un’onesta plebaglia, questo finto, superficiale patriottismo che è stato trasformato in falso nazionalismo esasperato sfociato in emotivo fascismo assassino che oramai minaccia di tramutare il mondo intero in una scorie radioattive.
 

Mi riferisco alla musica. Se non ve ne eravate accorti, la musica è morta.
 

Quando la cultura popolare degli anni sessanta si mobilitò per opporsi alla scriteriata guerra in Vietnam, numerosi artisti popolari si aggiudicarono un vasto seguito sollevandosi contro il sadico massacro da parte del governo dei cosiddetti “musi gialli con gli occhi a mandorla”

Di recente, ho riascoltato uno dei molti mantra contro la guerra che dominarono le onde audio intorno al 1970. “Ohio”, di Crosby, Stills, Nash & Young, trattava dell’assassinio di quattro studenti contrari alla guerra ad opera della Guardia Nazionale nello stato del Kent. 

 

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Jeffrey Miller, a sei anni mentre bacia suo fratello maggiore Russ, 9; Sandra Lee Scheuer a 15 anni; Allison Krause, 19 anni; e il giovane Billy Schroeder con sua sorella , Nancy.

“Tin soldiers and Nixon coming.
We’re finally on our own.
This summer I hear the drumming.
Four dead in Ohio.

Gotta get down to it.
Soldiers are cutting us down.
Shoulda been done long ago.
What if you knew her
and found her dead on the ground?
How can you run when you know?”

Quando ho ascoltato questa canzone poco dopo l’11 settembre 2001, mi è  forse parsa poco consequenziale rispetto a quello che era appena avvenuto? Per lo meno c’era il tentativo di informare il mondo che stava succedendo qualcosa di storto.

E’ questo quello che voglio sapere?

Dove sono le canzoni sul World Trade Center, il più grande crimine della storia americana, nel quale il nostro stesso governo ha inscenato un falso attentato terroristico ed ha ammazzato tremila nostri concittadini?

Neanche una singola nota alla radio. A tre anni di distanza, non una sola sillaba.

Dove sono le canzoni su Fallujah che possano competere con il grande pezzo classico di Gil Scot-Heron intitolato “Johannesburg”, un lamento accattivante sulla lotta dei neri per la libertà contro l’oppressione in Sudafrica?

Fallujah. Il luogo che ha visto zombi americani senza cervello abbattere a colpi d’arma da fuoco anziani e bambini per i sorrisi dei loro superiori con i giornali americani ad insabbiare l’accaduto. Hanno insabbiato il gas, il napalm, la distruzione di ospedali, gli ostacoli arrecati all’assistenza sanitaria, i soldati tornati sul posto per eliminare ogni traccia dell’uso di gas e napalm e Dio solo sa quantqqqqq’altro.

Cosa voglio dire allora?

DOV’E’ STA FOTTUTA CANZONE, COGLIONE?!

E gradirei rivolgere questa domanda ad ogni musicista in America, nel mondo. In particolare mi rivolgo ai cosiddetti miti leggendari quali Bruce Springsteen e Bonnie Raitt, Bob Dylan (tu, stupido nichilista!) ed Eric Clapton (tu, pappamolle sdolcinato!), Eminem (non ti fare fregare da quelle fesserie democratiche) e Doctor Dre (lascia il tuo palazzo e entra in scena subito!).

L’intero panorama musicale, e tutti i ritardati di mente che al seguirlo credono di essere forti, non sono altro che degli automi vigliacchi dal punto di vista morale, i quali hanno abdicato le loro responsabilità verso il mondo. Chi avrà il coraggio di fare un passo avanti, come hanno fatto tutti quegli arditi del movimento degli scettici dell’11/9?

E quando proverete a rifugiarvi nella piacevole trivialità dello sport, e vi confronterete col fatto che due dei più grandi battitori del baseball hanno entrambi barato al fine di raggiungere i loro traguardi, vi verrà almeno il vago inquietante sospetto che l’intera faccenda sia stata creata ad arte per distogliere la vostra attenzione da fatti ancora più sconvolgenti; che il vostro governo, per mezzo dei mass media di cui detiene il controllo, si sia impadronito della vostra esistenza, nutrendovi a sciocchezze e assassinando deliberatamente i vostri figli con alimenti contaminati, sostante stupefacenti tossiche e guerre disoneste.

Concludendo, penso sia giunta l’ora che diate un’occhiata al tabellone dei punti e che scopriate come stanno veramente le cose.

L’America è defunta e i banchieri internazionali si preparano a spartirsi quel che resta. Quelli che troviamo ancora in circolazione sono solo degli zombi compiacenti che sventolano la bandiera del genocidio e dell’ingiustizia: la bandiera a Stelle e a Strisce.

Ma hey, è un pezzo di stoffa che va benissimo per avvolgere la tua bara, peccato non si possano fare foto. Hey, che suono è questo, guardate tutti cosa c’è nell’aria… a causa della condizione del cadavere come pure della cultura, ma sì, quel suono è proprio il ticchettio inarrestabile di un contatore Geiger, che può essere la vera canzone su Fallujah che a quanto pare nessuno ha il fegato di comporre.  

John Kaminski
Fonte:www.johnkaminsky.com
20.04.05

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di KOLDER

[1] Note del Traduttore: gioco americano consistente nello spingere, con apposite stecche, dischi di legno entro figure geometriche numerate – diffuso gioco da ponte sulle navi passeggeri.

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