DI VALERIO LO MONACO
ilribelle.com
Mandati al diavolo imbonitori, testimonials, carcerieri, banche, venditori e parcheggi sotterranei nei centri shopping del fine settimana, ci prenderemo innanzitutto indietro due cose che ci sono state tolte: tempo e silenzio.
Per scelta o per necessità, il crollo del nostro sistema di sviluppo ci toglierà beni materiali e ci farà tornare nelle mani la possibilità di riappropriarci di quelli spirituali.
Tutto risiede nella differenza tra prezzo e valore. Ci hanno fatto vivere in un mondo in cui tutto ha un prezzo. E abbiamo dimenticato le cose che hanno valore e nessun prezzo. Tolta la materia, e la necessità di dover lavorare a più non posso per crearla, scambiarla, venderla comprarla e accumularla, avremo il vuoto. E la possibilità, finalmente, di riempirlo con ciò che vogliamo. Non con ciò che ci hanno fatto credere che dovevamo.
E ora che faccio?Semplice. Tutto quello che non si è potuto fare sino a ora perché troppo presi a lavorare sempre più per poter acquistare merce. Alla grande maggioranza delle persone nel nostro Paese non manca da mangiare né da vestire né un tetto sopra la testa. Con questa crisi mancherà denaro soprattutto per comperare il resto. Che serve poco o non serve affatto. Se sapremo passare dall’essere poveri pieni di elettrodomestici in ricchi capaci di vivere con poco, non subiremo la crisi, ma ne coglieremo le possibilità. Svincolati dal denaro e dall’accumulo, dal dover vivere nei luoghi e con le modalità tipiche di una società che a questo è stata votata, ritroveremo cose che per quasi tutti sono solo un lontano e rimpianto ricordo.
Quando è stata l’ultima volta che abbiamo fatto qualcosa per il puro piacere di farla? Quando l’ultima volta che abbiamo potuto fare qualcosa senza motivazione economica? Non sarà difficile constatare che il tempo libero dal lavoro, poco, sino a ora è stato possibile viverlo unicamente per riposarsi, e sempre per troppo poco, per presentarsi il giorno successivo nuovamente al lavoro. In una spirale ipnotica e sterile. Il lavoratore medio che alla fine di una lunga giornata di lavoro non ha altre energie se non quelle di sprofondare intorpidito su un divano e attendere l’ora di andare a dormire è fenomeno diffuso. Così come quello di chi imponendosi – letteralmente – di vivere un po’ di tempo per sé è costretto a fare del movimento nelle prime ore del mattino oppure nelle ultime della sera, o ancora a relegare relazioni umane e piccoli piaceri passeggeri negli interstizi lasciati liberi dal lavoro e dal caos soffocante delle nostre città e delle competizioni serrate che questo sistema impone.
L’equazione è di una semplicità disarmante: troppo tempo a lavorare e troppo poco per vivere. Bene, anzi male. È tempo di lavorare solo per quanto ci serve e dunque avere del tempo libero per fare altro.
La chiave di volta è nel fare a meno di tante cose (superflue). E di scoprire che la vita, con meno “roba”, è più degna di essere vissuta. Dunque potersi permettere di lavorare meno o, allo stesso modo, non soffrire oltremodo del meno lavoro che c’è in giro.
Se ci sapremo e potremo sottrarre al resto, se riusciremo a passare attraverso questo cambio di paradigma dovuto alla crisi, non dovremo più correre da una parte all’altra, né competere in duelli all’ultimo sangue per ogni cosa e riavremo indietro, in sostanza,la nostra vita. Stabilito un nuovo cosmo di valori, e tagliato (giocoforza o, meglio, come scelta) l’inutile, ritroveremo l’essenziale. E l’essenza di due cose fondamentali che abbiamo e delle quali è giusto disporre come meglio crediamo: di noi stessi e del tempo che abbiamo a disposizione in questa vita. Il pericolo maggiore, dietro l’angolo, come accennato poco fa, può essere il vuoto. Il vuoto pneumatico inoculato a forza (e ad arte) nel corso di almeno trenta anni, è stato il punto cardine, metodico, attraverso il quale i media di massa (in primo luogo la televisione) e chi ne ha fino a ora comandato i fili, ha determinato la più importante mutazione antropologica dell’Occidente. La falsa rappresentazione del migliore dei mondi possibili, l’imposizione sottile dei vacui modelli di riferimento che tutti conosciamo, ha consentito nella sostanza di modificare, giorno dopo giorno, la percezione della realtà e lo spostamento di valori che altrimenti, per secoli, erano rimasti immutati. E che avevano al centro la vita. L’uomo.
Questa rappresentazione della realtà, con punte di parossismo dal dopoguerra in poi, è stata invece il terreno più fertile per coltivare consumatori seriali, e non persone. Ci ha tolto (quasi) tutto, e ci ha lasciato nel consumo l’unico elemento con il quale tentare di riempire il vuoto esistenziale che ne è scaturito e che si autoalimentava nell’alienazione stessa del suo espletamento. Operazione tecnicamente perfetta, non c’è che dire. Persone senza alcuna altra aspirazione che consumare compulsivamente, senza alcun altro tempo ed energia, oltre a quelle da dedicare all’indispensabile lavoro per potersi per-mettere il consumo, sono state (e sono tuttora, nella maggior parte dei casi) gli attori perfetti per perpetrare questo stato delle cose. Sine die. Lavora consuma crepa per tutta la vita. Ed è (stato) tutto.
Fortuna che, non ci stancheremo di dirlo, il sistema da sé non ha retto. E ora si può – si deve – necessariamente cambiare. Beninteso, si può essere d’accordo con la portata benefica di questa crisi solo nel momento in cui si abbia la voglia di riappropriarsi dei valori altri della vita. Per esempio di se stessi. Chi si trovava (o credeva) perfettamente a proprio agio nella macchina precedente e ambisce a ritornarvi il prima possibile non può che disperare della situazione attuale. Per gli altri, per chi già allora si ribellava al meccanismo, è ora giunto finalmente un momento topico. Un momento nel quale mai come ora si può tentare di dare la svolta alla propria esistenza. E aiutare gli altri a questo risveglio, se si ha qualche velleità di servizio, di comunità e prossimità. Se si ha insomma a cuore almeno le sorti di chi si ha vicino oltre alle proprie.
Ma sia chiaro, ribadiamo, il punto più critico è nel passaggio. Nel vuoto di chi, privo (o privato) di risorse culturali e lucidità, non avendo più accesso all’unica gratificazione del mondo ante-crisi, ovvero il consumo, si troverà disorientato, con un orrido da riempire e poca attitudine a ri-trovare i temi e i valori attraverso i quali farlo.
In questo senso ci sarà una riscossa degli intellettuali, così come dei testimoni che malgrado i tempi difficili sono riusciti a rimanere lucidi nella selva di neon, insegne luminose, spot, scaffali pieni e allibratori in ogni angolo di strada.
Essere e fare
Innanzitutto, già passare dal concetto di avere a quello di essere è cosa che riesce a riempire una vita di linfa del tutto nuova. Per non parlare dell’altro concetto (che Erich Fromm non cita nel suo Avere o essere) che è invece di importanza fondamentale: fare. Si badi bene che oltre all’assunto in sé, noi oggi viviamo nel mondo dell’avere avendo quasi del tutto dimenticato l’importanza di essere. Il rovesciamento culturale fondamentale si è situato poi nel convincere le masse che era possibile
riuscire a essere solo attraverso l’avere. Gli esempi non sono mancati: ho denaro e potere, dunque divento Presidente del Consiglio; ho un corpo perfetto, divento Ministro; ho gli agganci giusti, divento opinionista del maggiore quotidiano nazionale.
Ma di chi stiamo parlando? Tolto ciò che hanno, questi personaggi, chi sono? Meglio, che cosa sono?
Certo sarà difficile vivere per chi con la crisi sarà stato condannato a una vita differente che non ha in realtà mai voluto. Così come sarà difficile farlo per chi avrà serie difficoltà anche solo a sopravvivere. Per chi invece nel corso degli anni passati avrà sentito scorrere via i giorni senza un motivo valido per ricordarli, per chi avrà avuto abbastanza a noia la frenesia, la competizione, e più in generale per chi sente il proprio cuore voler trovare un ritmo molto differente da quello che gli era invece imposto di sostenere sino a ora, il momento è propizio.
È di una rinascita che si parla. Di un’altra chance. Cosa che molti, e sotto i tanti aspetti della vita, non hanno mai potuto neanche sognare. E che invece oggi, grazie alla indispensabilità, è concessa potenzialmente a tutti. Non è un caso che il settore dell’editoria relativa ai libri e alla cultura non sia uno di quelli maggiormente in crisi. I lettori continuano a leggere. Per pochi che siano, nel nostro Paese, gli uomini e le donne di cultura continuano a vivere nel solco del senso. Perché questo è il punto, ancora una volta. Cultura – cultura vera – è senso. Direzione e significato. E dunque contenuto per riempire di direzione e significato quello spazio di vita, ben oltre le tre dimensioni e forse anche oltre la dimensione del tempo terreno. Tempo fa siamo stati contattati, in redazione, da una ennesima agenzia che stava operando un sondaggio, come è capitato certamente a tutti. Una delle domande era relativa al consumo di libri – consumo, ancora una volta: quasi che i libri diventassero scarti dopo essere stati consumati. Ebbene, la domanda, relativa a quanti libri avessimo letto nel corso dell’ultimo anno, prevedeva tre risposte: da uno a cinque, fino a dieci, più di dieci. Naturalmente fuori media tra l’incredulità e la presunzione ironica che abbiamo sentito dall’altra parte del telefono – abbiamo comunicato approssimativamente il nostro dato (tra quelli che studiamo, quelli che leggiamo, quelli che recensiamo, sfogliamo o consultiamo, per non parlare di quelli che rileggiamo come messali o haiku del mattino, abbiamo preferito comunicare un dato mensile intorno alle cinquanta unità e lasciare fare il conto alla cortese signorina).
Ma il punto è un altro, ed è relativo alla domanda. Un sondaggio del genere, e tutti quelli simili, partono dal presupposto che la maggior parte delle persone, almeno in Italia, leggano fino a cinque libri all’anno o al massimo non più di dieci. Il che, numericamente, non è un errore. Perché è il dato di fatto. Provate a fare un sondaggio tra le persone che conoscete e poi tirate le somme.
Chi non ha avuto modo di migliorarsi con la cultura, di capire veramente cosa è successo e cosa succede, e dunque di poter avere gli strumenti per decidere, cosa aspetta? Rinunciando a pagare rate per cose che non servono e conseguentemente lavorando meno (o viceversa) la crisi porta con sé tempo e
silenzio per cultura e riflessione. Un investimento al sicuro da speculazioni e truffe, tra le altre cose…
Il punto è insomma rovesciare i cardini della rappresentazione della realtà che ci hanno imposto per anni. Cosa apparentemente difficile – per molti certamente lo è – ma in realtà di una semplicità assoluta, almeno dal punto di vista concettuale, se si riflette per un po’ dopo aver (ri)stabilito il proprio cosmo di valori. Si tratta, con tutta evidenza, di un esercizio culturale. Anzi, molto più precisamente, della traslazione in pratica di concetti culturali.
Perché uno degli errori più comuni è quello di credere che un cambiamento culturale non sia azione pratica. Quando invece, e al contrario, un cambiamento culturale seguito da azione-reazione nelle cose di tutti i giorni, non può che suggerire e far realizzare delle azioni pratiche del tutto differenti. Dal che, come dovrebbe essere, dal pensiero all’azione il passo è breve. Ciò che si suggerisce, ciò che ci auspichiamo e più in generale ciò di cui abbiamo un disperato bisogno, è una controrivoluzione culturale in grado di dare scacco matto al sistema. Incidendo sulle menti con un processo opposto a quello al quale le nostre società sono state sottoposte. Il punto è sottrarsi e cambiare direzione e valori. Per ribellarsi e andare sulla strada che si sente propria.
Valerio Lo Monaco
Fonte:
www.ilribelle.com
Numero 10 – Luglio 2009
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