DI FRANCO BERARDI “BIFO”
uninomade.org
Nei ristoranti di Hamra il brusio non si attenua, ma il rumore della guerra si avvicina. Ieri sono scoppiati combattimenti nel nord del paese tra la comunità sunnita e quella alawita di un sobborgo di Tripoli. Anche a Beirut si nota un certo nervosismo. Carri armati all’imbocco delle strade principali del centro, militari e posti di blocco.
All’ingresso del ristorante sono stato perquisito da guardie armate. Non mi era ancora successo. Martedì prossimo è l’anniversario dell’assassinio di Rafic Hariri da parte dei servizi segreti siriani. Massima allerta. Le linee di possibile precipitazione del conflitto si confondono. In Turchia la classe dirigente è spaccata verticalmente: il partito islamico neoliberista al potere è tentato di intervenire a fianco della Free Sirian Army – la porzione dell’esercito siriano che si oppone con le armi al regime stimata intorno al dieci per cento della forza complessiva, pronta ad una prolungata guerra di guerriglia se qualcuno non assesta il colpo finale dall’esterno.
Ma l’esercito turco sta dalla parte del regime siriano. In Turchia governo ed esercito sono ai ferri corti su questo punto: intervenire in Siria contro Bashir oppure starsene a guardare appoggiando indirettamente il regime? Per Erdogan l’intervento sarebbe una carta straordinaria: risolverebbe un problema per americani ed europei, e diventerebbe definitivamente l’eroe del mondo arabo neoliberista-moderato. Ma non è detto che ce la farà, i militari sono indeboliti ma non al punto di poter fare una guerra senza il loro accordo. Seguiamo quello che accade in Turchia, anyway, perché da lì potrebbe venire una grossa sorpresa.
Una seconda linea di precipitazione è l’intervento israeliano contro l’Iran, che potrebbe scatenare un coinvolgimento militare di tutte le forze della regione.
Vado a pranzo con Wissam Saadi, giovane commentatore politico della televisione libanese, studioso di storia della civilizzazione islamica ma anche raffinato conoscitore del pensiero operaista e post-strutturalista.
Come va a finire in Siria? Chiedo a Wissam appena ci sediamo al tavolo del ristorante Marrouchi che fu un tempo il posto di ritrovo dell’intellettualità comunista cittadina e infatti adesso è completamente vuoto. Lo so che si tratta di una domanda cretina perché se lo sapessero non verrebbero a raccontarlo a me, ma è l’unico modo per costringere qualcuno a parlare di un argomento di cui si parla poco volentieri.
In tutti i caffè di Beirut si parla di quello che succede al Cairo perché si tratta di un argomento eccitante e l’Egitto è abbastanza lontano, mentre di Siria se ne parla poco, perché quello che accade in Siria fa paura. Wissam comincia parlandomi del rapporto tra Libano e Siria che non è certo stato interrotto dalla cacciata dell’esercito siriano. Il legame più profondo si trova a livello sociale: gli operai siriani sono la componente maggioritaria nel settore delle costruzioni, seconda fonte di reddito del paese dopo quello degli intercambi finanziari.
Poi mi parla del ruolo che il Partito social-nazionale siriano, nato negli anni trenta come diretta filiazione del partito di Hitler, ha sempre avuto e continua ad avere nella politica libanese. E’ il partito che controlla il sindacato delle costruzioni e cui spetta quasi di diritto il ministero del lavoro. Mentre venivamo al ristorante siamo passati davanti alla sede di questo partito e Wassim mi ha fatto notare l’orribile bandiera (una svastica arrotondata nera su sfondo rosso) che sventola nel vento umido del pomeriggio.
Secondo Wissam Bashir resiste perché punta a islamizzare l’opposizione. Chi potrà reggere organizzativamente una guerra civile, infatti, se non gli islamisti? E il tiranno punta a questo perché oggi i ribelli siriani che appaiono sui giornali occidentali hanno facce di studentesse e giovinetti sbarbati, mentre fra un po’ potrebbero esserci facce barbute e aggressive, e faranno paura, così gli americani smetteranno di fare il tifo per gli insorti.
Già adesso gli americani non capiscono quasi niente di quello che accade, ma questa non è una novità. Paradossale è il fatto che l’opposizione anti-Bashir ha radici essenzialmente anti-americane, come tutto ciò che si esprime nella regione. E’ difficile da credere, per chi osserva dall’esterno, ma una delle accuse che vengono rivolte al regime di Bashir Hassad è quella di essere un servo degli americani. Il cantante Brahim Kashoush, che è stato sgozzato recentemente dai bashiristi cantava una canzone in cui insultava il dittatore con la cravatta per essere uno strumento dell’imperialismo americano. Uno dei temi su cui ho intervistato più intensamente il mio amico Wassim è naturalmente la funzione che i media hanno svolto e svolgono nella rivolta che si sta svolgendo.
Wassim, ha poco più di trent’anni, ma si sente piuttosto lontano dalle mode giovanili e dal culto occidentalista per le tecnologie digitali e la rete. Il ruolo di Internet a so parere è stato sopravvalutato. Se si crede alla favola secondo cui la rivoluzione araba è un effetto della diffusione di Internet non ci si spiega come mai la rivolta ha conquistato le campagne dove la diffusione della rete è quasi nulla, mentre non ha per il momento coinvolto le due grandi città che hanno certamente una maggiore densità di connessioni.
Nel caso dell’esplosione egiziana certamente i blog hanno giocato un ruolo significativo, ma l’effetto più importante l’hanno avuto le televisioni, in particolare Al Jazeera e Al Arabija. Condivido fino a un certo punto le considerazioni del mio amico Wassim. La funzione della rete a mio parere non è stata essenzialmente quella di veicolare contenuti politico o informativi, ma quella di diffondere uno stile di linguaggio, delle aspettative culturali, sessuali, di consumo, che hanno contribuito indirettamente all’esplosione politica e che stanno (mi sembra) riducendo il peso dell’islamismo sia religioso che militante sulla nuova generazione.
Al tempo stesso riconosco che per quanto riguarda la trasmissione di contenuti direttamente politici nei paesi islamici la rete funziona più o meno come negli Stati Uniti d’America: come un fattore di rincoglionimento dogmatico e settario. Contrariamente all’idea (che sostenevo venti anni fa quando nessuno ancora sapeva cosa fosse Internet) secondo cui la rete è destinata a rompere ogni forma di dogmatismo e di appartenenza, Internet sta funzionando esattamente come un sistema di perfetta reclusione dogmatica e settaria.
Il fenomeno di imbecillità aggressiva di massa che va sotto il nome di Tea Party nasce anche dal fatto che Internet è rigorosamente settato sul sito della tua setta (spero vi piaccia l’allitterazione). Lo stesso accade nei paesi arabi dove Internet dà vita a un fenomeno che si potrebbe definire ciberclanismo (l’espressione è di Wassim). Ciascun clan ha il suo sito e chi fa parte del clan accende il computer come se entrasse in una chiesa, o nello spazio reclusivo del clan.
Cerco di capire qualcosa di più sul ruolo delle televisioni e sulla composizione sociale, culturale, etnica, dei professionisti della comunicazione. Secondo Wassimo (che in questo campo ha esperienza diretta) Al Jazeera rappresenta la classe media scolarizzata soprattutto sunnita. Rari gli sciiti, pochi i cristiani. Le donne non sono poche e all’inizio non portavano il velo. Poi c’è stata una polemica su questo punto e adesso buona parte delle corrispondenti di Al Jazeera sono velate.
I regimi autoritari, anzitutto quello di Moubarak, hanno favorito l’emergere di predicatori televisivi islamisti non salafiti per fronteggiare la crescita dell’islamismo radicale. Barbuti più coglioni e aggressivi ancora dei salafiti sono serviti per contenere l’opposizione contro il regime. Poi è successo quello che è successo, e gli islamisti televisivi pro-Moubarak come Amr Haled sono passati dalla parte della rivoluzione. Naturalmente continuano a fare il loro sporco mestiere di predicatori della violenza dogmatica, ma si sono convertiti al neoliberismo, e fingono di appoggiare la rivoluzione anti-moubarakista però ne criticano gli estremismi che potrebbero danneggiare l’economia.
Appena rientrato da Davos – dove naturalmente è stato ricevuto da quel fior di rivoluzionari che sono i rappresentanti politici ed economici della dittatura finanziaria mondiale, Amr Haled è andato a blaterare in una televisione per informare gli egiziani delle sue scoperte. I grandi del mondo, ha riferito, sono d’accordo con la rivoluzione egiziana perché ci ha liberato di un tiranno (che fino a un anno fa pagava a lui lo stipendio ed era riverito dai grandi democratici che si riuniscono a Davos) portandoci così la democrazia. Ma i saggi consulenti delle agenzie finanziarie del mondo riuniti a Davos criticano l’estremismo che sta danneggiando l’economia.
Per un dogmatico seguace di Allah non è difficile intendersela a perfezione con i dogmatici adoratori del saggio d’interesse.
Franco Berardi “Bifo”
Fonte: http://uninomade.org
Link: http://uninomade.org/il-rumore-che-si-avvicina-reportage-da-beirut/
16.02.2012