IL BLUFF DELLA LEGA

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DI ALESSIO MANNINO
ilribelle.com

“Un bluff: questo si è rivelata essere la Lega Nord. Un movimento sano, popolare, con l’indiscutibile merito di aver dato nuova linfa all’esangue politica italiana nel momento in cui essa crollava sotto le macerie della Prima Repubblica, che dopo vent’anni dalla sua ascesa ha compiuto la parabola dell’imborghesimento dissolvendosi nel corrotto sistema romano”. Era il dicembre 2008 quando anticipavamo ciò che per noi era già evidente e che oggi, dopo tre anni, lo è diventato per tutti: il partito di Bossi, che aveva mosso i primi passi con l’impeto rivoluzionario, anche se un po’ sgangherato, delle prime Leghe indipendentiste e autonomiste, si è venduto al bengodi del finanziamento pubblico e alle sue sirene corruttrici.

Vizio originario

Con una peculiarità tutta sua, però: l’odore dei soldi ha reso metastasi il vizio d’origine del Carroccio, quello per cui il leghismo ha perduto anno dopo anno, uno dopo l’altro, esponenti anche storici come il fondatore della Liga Veneta, Franco Rocchetta, assieme a molti altri, ovvero l’accentramento dittatoriale nella figura del Gran Capo, che cacciava ed espelleva chi non si metteva sull’attenti, degenerato dopo l’ictus del 2004 in conduzione familistica, col “cerchio magico” a fare e disfare linee politiche e bonifici della cassa, fino a innalzare l’ex autista di Biondi, tale lombrosiano Belsito, al rango di tesoriere, deputato, sottosegretario e vicepresidente di Federmeccanica (sic!). Cose che neanche il Psi dei nani e ballerine di craxiana memoria.

Il repulisti di Maroni, al di là della condanna etica ed eventualmente giudiziaria degli indagati vicini all’Umberto e a sua moglie Manuela, significherà che nella lotta di potere interna alla Lega la corrente maroniana conquisterà il partito (ed è plausibilissimo, questo va detto, che chi ha fatto partire le indagini sia stato uno dei suoi). La loro vittoria equivale ad una normalizzazione – qualcuno dice “democristianizzazione” – che abbandonerà giocoforza i residui cascami della retorica bossiana (urla rauche, insulti, annunci-shock) relegandola a ricordo nostalgico, e mirando al sodo per tutto quanto riguarda il resto: al presidio del territorio, dove la Lega ha ancora una nutrita schiera di amministratori, e alla sopravvivenza politica e materiale vera e propria, perchè in gioco c’è appunto il vivere o morire, per una Lega che ha stufato ma che dispone ancora di uno zoccolo duro di fedelissimi. In questa ostinazione va dato atto che c’è un che di nobile. Ma è la nobiltà degli sconfitti, che sconfitti rimangono.

Bilancio fallimentare

La Lega Nord, partita come movimento per l’indipendenza e poi ammorbiditasi su un più moderato federalismo, dopo venticinque anni di storia, tre partecipazioni al governo, un ribaltone, una secessione mancata, la devolution mai attuata e una riforma federale, Monti o non Monti, che di federale aveva poco o nulla, ha un bilancio oggettivamente negativo. Gli ultimi giapponesi del leghismo, i meno sbracati maroniani, restano pur sempre fedeli ad una forza politica che ha mancato l’obbiettivo, e il loro attaccamento all’ideale può essere sentimentalmente comprensibile ma è politicamente illusorio.

L’errore fondamentale è stato l’abbraccio mortale con Berlusconi. Che esso sia stato “oliato” da una compravendita del simbolo da parte del Cavaliere, poco cambia: dopo aver fatto la cosa giusta nel ’94, cioè farlo cadere, Bossi ha scelto l’alleanza permanente con l’ex “mafioso di Arcore”, posizionando definitivamente la Lega nel sistema partitocratico contro cui aveva combattuto agli inizi. Il fisiologico deteriorarsi dello slancio primigenio, tipico di ogni movimento di rottura, è stato aggravato da una funesta, umana troppo umana avidità di posti, prebende e comodità romane. In cambio, all’alleato-padrone hanno permesso tutto: le porcate ad personam, il salvataggio statalista di Roma e Catania, le cordate amiche in Alitalia, l’assistenzialismo forestale in Calabria, una politica finanziaria di occultamento, giusto per citare le cose peggiori. Il bluff è scoperto. Chi vuole continuare la partita è un baro, che ne sia consapevole o meno, che l’accetti oppure no.

Il buono resta

Un vero leghista dovrebbe star fuori da una Lega irrimediabilmente destinata a dissolversi, anche se rimessa a nuovo e resa ripresentabile dal restyling del moralizzatore Maroni (che difendeva il lombardo Boni sotto inchiesta per malversazione). Perché le idee di fondo rimangono valide, per chi le trova giuste. Il federalismo come autodeterminazione decisionale, sul piano fiscale e in alcune materie politiche, è un meccanismo responsabilizzante e massimamente libertario di cui si avrebbe gran bisogno contro le spinte centralizzatrici e mondializzanti della finanza anonima e delle tecnocrazie apolidi (come la Bce). La concezione di un popolo come un gruppo con caratteristiche storiche, linguistiche, economiche e tradizionali dai confini ben precisi è l’antidoto alla globalizzazione che livella, appiattisce, desertifica, uniforma. Vedere lo Stato come fornitore di servizi essenziali ed efficienti e non come un onnipresente padrone, se declinato non secondo la prospettiva individualista liberale ma secondo quella comunitarista e civica, farebbe riscoprire il senso della comunità locale (in un percorso di decrescita non soltanto in economia, ma anche nelle istituzioni).

Un nuovo inizio

Se questi temi sono in circolo lo si deve alla Lega, c’è poco da fare. Purtroppo Bossi&Co li hanno mischiati ad un becero razzismo prima anti-meridionale, poi xenofobo in generale e ultimamente anti-islamico, che per quanto fosse più verbale che fattivo (la stessa legge Bossi-Fini ricalca una visione economicista dell’immigrazione, l’uomo come merce, che non razziale) ha reso il leghismo odioso ai più. Per non parlare dell’ossessione per la sicurezza, questo spauracchio in gran parte ingiustificato, o della sostanziale acquiescenza verso l’Europa bancaria e iper-regolamentatrice (nel 2007 anche la Lega votò a favore del Trattato di Lisbona, architrave dell’Eurocrazia). I tempi eroici delle martellate alla partitocrazia, dell’appoggio al pool Mani Pulite, della democrazia dei gazebo sono finiti da un pezzo. Ma è da quelle battaglie che bisognerebbe ricominciare. In questo senso Maroni ha ragione quando indica ai leghisti di ripartire dal 1991. Solo che lui è ben poco credibile, perché è lì, a fianco di Bossi, da sempre, e perciò responsabile del declino quanto lui. Rivolgersi agli espulsi e ai transfughi rimasti con le idee e le mani pulite, piuttosto. Come ad esempio il gruppo del giornale online “L’Indipendenza” di Facco e Oneto o gli innumerevoli piccoli movimenti che al Nord sono spuntati come funghi per reagire alla romanizzazione dei dané e delle trote.

Un consiglio: nella storia non si torna indietro. Quel patrimonio ideale vale come ispirazione, ma c’è bisogno di ben altro che di una Lega 2. Abbiamo già dato.

Alessio Mannino
www.ilribelle.com/
19.04.2012

Per gentile concessione de “La Voce del Ribelle”

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