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La Redazione

 

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IL BELL'ANTONIO E L'ORRIDO GIORGIO

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A cura di Davide
Il 5 Febbraio 2012
59 Views
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(E SIRIA E IRAQ E LIBIA E NAPOLITANO E…)

DI FULVIO GRIMALDI
fulviogrimaldi.blogspot.com

It’s easier to kill a million people than it is to control them. E’ più facile uccidere un milione di persone che controllarle. (Zbigniew Brzezinski)

La nostra società è governata da dementi per obiettivi demenziali. Credo che siamo governati da maniaci per scopi maniacali e credo che rischio di essere rinchiuso come matto per averlo detto. Questa è la follia. (John Lennon)

Primavera vera

L’unica primavera che ancora resiste nel mondo arabo è quella siriana, nazionale, socialista di Stato, antimperialista, laica. L’altra che non si rassegna a essere schiacciata dal perpetuo inverno della globalizzazione in versione colonialista, è quella egiziana, la più genuina e matura tra quelle così chiamate (ma non scordiamoci la rivoluzione altrettanto di massa nello Yemen, la cui definitiva vittoria viene ora rallentata dai massacri dei droni governati da consolle negli Usa, dove ha trovato asilo anche il despota carnefice Ali Saleh). Tanto che nemmeno il passaggio di consegne dai dittatori protetti dall’Occidente agli integralisti islamici all’Occidente graditi, per ora riuscito in Tunisia e in Marocco, grazie anche all’inconsistenza delle sinistre, è riuscito a svuotare Piazza Tahrir e le analoghe piazze in tutte le città egiziane.

L’escalation dei criptomubaraqisti della giunta militare con a capo il Gauleiter Nato, Tantawi, escalation che ha assunto la faccia a noi familiare della strategia della tensione con la programmata strage di 73 tifosi a Port Said (Port Said come Piazza Fontana e come le Torri Gemelle), invariabilmente rispondono i milioni della rivoluzione “25 Gennaio”. A spegnere il salvifico incendio non sono bastati repressione feroce, stragi terroristiche di regime, sequestri di persona, tortura sistematica, stupri di attiviste, processi militari farsa. Accanto ai militanti del cambio radicale di questo Egitto corrotto, poliziesco, prostrato ai piedi dell’Occidente neoliberista e antidemocratico, stavolta anche le brigate di riserva dell’ìimperialismo, i Fratelli Musulmani, seccati per non aver ancora potuto assumere il ruolo dei generali, per quanto investitine dalle elezioni, con l’OK degli sponsor in Occidente. Le speranze arabe sono appese alla resistenza di questi rivoluzionari, come a quella dei giovani libici, iracheni, yemeniti, sauditi (non ci raccontano delle proteste in atto nell’Est saudita e delle ripetute uccisioni di quei manifestanti), del Golfo, e del popolo siriano che non si piega alla congiura internazionale.

Retate

Nel giro di due giorni i rottweiler da combattimento, in toga o in divisa, addestrati all’annichilimento della resistenza umana, hanno tolto dalla scena due miei carissimi amici, due ottime persone, due combattenti della politica e della morale. In Iraq, gli strateghi Iran-Nato (qui in collusione) del socicidio e spappolamento nazionale e i loro fantocci locali stanno tentando in tutti i modi di offuscare l’incredibile rilancio della Resistenza riscatenando la guerra civile sunniti-sciti a forza di attentati ai mercati e alle moschee e di criminalizzazione degli esponenti sunniti, tutti descritti come saddamisti. I dirigenti della coalizione laico-sunnita e anti-iraniana “Al Iraqiya” sono in fuga e, il premier Al Maliki, burattino di Tehran, ma anche degli Usa (i cui miliziani si sono rintanati nel Kuweit, lasciando quanto resta da distruggere e rapinare agli ascari locali e ai contractors), minaccia di appenderli tutti al cappio col quale sta compiendo il primato mondiale di esecuzioni in un anno.

Iraq

Era il 2003, marzo, i masskiller Usa-UE erano tornati ad avventarsi su un Iraq prostrato dalla prima guerra e dall’embargo, entrambi di sterminio. Da vecchie visite nell’Iraq prospero, forte e irriducibile, conoscevo Riyadh al-Addadh, medico, punto di riferimento sanitario, morale, politico della comunità di Adhamiya, un quartiere popolare, di piccole, aggraziate casette, non lontano dal Tigri. Lì, anni prima, quando embargo e bombe di Bush e Clinton avevano minato alla base uno dei servizi sanitari, oltreché gratuiti, tra i più avanzati del mondo, Riyadh aveva creato una clinica popolare, accessibile a tutti gli abitanti del quartiere. Mi ricordo, mancavano pochi giorni all’ingresso a Baghdad dell’ennesima ondata di barbari della sua storia, quell’ambulatorio sempre strapieno e i due medici, Riyadh e la giovane moglie, che si dannavano a stare appresso a tutti e, al tempo stesso, incitavano a tener duro contro l’invasore. Tante volte sono stato a cena a casa loro, con le due figlie adolescenti e il figlio più grande che non abbandonava per un istante il Kalashnikov, da opporre a eventuali irruzioni. Le bombe cadevano ininterrotte, anche nelle vicinanze, ma nessuno si impressionava. Si andava in strada a valutare dal fumo che serpeggiava verso il cielo chi potesse avere sofferto l’impatto. Il Tigri, non ancora avvelenato dai rifiuti e cadaveri che le milizie barbare, dette Marines, hanno poi continuato per 9 anni a scaricare nel fiume, forniva quel pesce che rimediava alla graduale scomparsa di viveri e che veniva consumato su grandi tavolate serali, sotto lucette colorate appese alle palme. Una comunità che, anche con la normalità del vivere, sapeva sfidare l’aggressore. Una delle ultime immagini che mi porto dietro da quel paese frequentato, ammirato e amato da decenni, era una corsa in macchina, tra crateri vicini ed esplosioni un po’ più lontane, con la quale le figlie di Riyadh, anche loro sfidando con risate e scherno i barbari, mi accompagnarono all’albergo, per l’ultima mia notte a Baghdad. Una delle presenze più calde e vibranti del mio docufilm “Iraq: un deserto chiamato pace” era questa nobile e dolce famiglia irachena.

La notte prima della mia partenza da Baghdad, con gli invasori che già avevano iniziato la bonifica terroristica della società irachena, un manipolo di questa feccia umana aveva fatto irruzione nella casa di Riyadh e s’era portato via il figlio. L’ho saputo dopo e non so come la vicenda sia andata a finire. Ma oggi il dottor Riyadh è in mano ai criminali che, per conto dei loro mandanti, stanno finendo di sfasciare l’Iraq. Lo hanno accusato di aver finanziato un gruppo terroristico attivo nel quartiere di Abu Ghraib. Non so se l’abbia fatto, può darsi che curare gratis un patriota, o anche solo un cittadino sunnita, per definizione “terroristi”, venga considerato “finanziamento di gruppi terroristi”. E’ con questi trucchi che Al Maliki, dittatore fantoccio e terrorista capo sotto le insegne dei suoi burattinai, sta cercando di liquidare, a partire dal presidente sunnita del Parlamento, Al Hashemi, rifugiatosi in Kurdistan, lo schieramento laico sunnita che aveva vinto le elezioni.

Libia

In Libia i ratti stanno torturando a morte, a partire dall’ex-ambasciatore all’ONU, Dora, chiunque si ritenga “associato” alla Libia di Gheddafi. E’ un lavoro di lunga lena: devono occuparsi di quasi sei milioni di libici su sei. Intanto, il CNT del rinnegato Jalil ha dato prova di meritare la qualifica di governo democratico, di cui lo onorano gli esportatori di democrazia e i loro compari dirittoumanisti, negando, dopo aver installato la Sharìa, che chiunque associato al vecchio regime possa candidarsi alle elezioni. Per trovare candidati dovranno ricorrere a comparse qatariote. Ma né per le vittime della de-baathificazione in Iraq, né per quelle della de-ghedaffizzazione in Libia, processi che tecnicamente si chiamano genocidi, né per i patrioti palestinesi prigionieri torturati e in sciopero della fame, dalle nostre parti si muove foglia. Né si muovono altre foglie da noi dove, spaventati ad arte dall’uragano di minacce di guerre all’Iran, nessuno si cura della guerra effettiva, mediatica e armata, in atto contro la libera e laica Siria, con episodi di atrocità Al Qaida pari a quelle che conoscemmo in Libia (e che ora, quanto tardivamente!, vengono denunciate da Amnesty e HRW, preoccupate per le sorti dei loro partner nel CNT, il cui buon nome viene messo a rischio dagli eccessi degli ex-“giovani rivoluzionari”).

Internamento senza processo

A Oakland, Obama, faro della rinascita etico-politica-intellettuale americana dopo le depravazioni di Bush (come da noi Monti, dopo Berlusconi), fa spaccare ai soliti sbirri sadici di tutte le democrazie le teste inermi degli Occupy più in gamba dell’Occidente, con il plusvalore al femminile delle poliziotte che usano il taser, la pistola elettrica, sulle manifestanti. 50.000 volt per toglierti ogni dubbio che Bashar El Assad possa essere meglio di Barack Obama, o anche di Gingrich e Romney che, alla democratizzazione missilistica di Palestina, Afghanistan, Iran, vogliono aggiungere Cuba. Tutto il mondo è paese, è la globalizzazione, bambino. Non sorprendetevi se il Trio Medusa (quella che impietrisce con lo sguardo) Draghi-Napolitano-Monti, succursale Goldman Sachs-Cia-Mossad, farà sbarcare sui nostri lidi i campi di concentramento dettati da Obama per la “più grande democrazia del mondo” e per i cui internati, senza processo e senza fine detenzione, la FEMA (Protezione Civile Usa di stampo bertolasiano), sta allestendo lager in 50 Stati dell’Unione.

Antonio libero!

Ne abbiamo i primi assaggi. Antonio Ginetti e gli altri 25 No Tav arrestati e i 15 mandati al domicilio coatto da giudici tipo quello del paese degli Acchiappacitrulli (libero il ladro, in carcere il derubato), vanno restituiti alla giustizia e alla libertà. Subito. Come oggi pastori, contadini, studenti, operai, disoccupati a milioni e pensionati, che resistono all’essere rasi al sottosuolo perché su quel suolo possa banchettare la criminalità organizzata mafiosa e politica, in Valdisusa sono stati bastonati e inondati da gas tossici per aver tentato di opporsi all’uccisione di un territorio e di una comunità. Ora li rinchiudono perché hanno insistito a non morire di botte e CS. Come il “baratro” economico, col quale ci hanno frantumato da mesi i coglioni per ridurci a pecoroni sotto la finanzdittatura, così, fabbricando terrorismo vero e terroristi fasulli, vogliono far passare su corpi, terre e acque le armate dei razziatori. Capostipite e modello, l’11 settembre. A criminalizzarli servivano un ex-BR settantenne, allora di quelli non infiltrati e collusi, è un ex-Prima Linea, esente da ogni reato e che da decenni ha trasformato in battaglia civile la sua resistenza al fine-corsa intimato dalle associazioni a delinquere che si succedono nel nostro paese.

L’Antonio del titolo è Antonio Ginetti, sequestrato nella retata montiana dei No Tav. L’aggettivo “bello”, non è ironico come quello del libro di Brancati e del film di Bolognini. Significa bello nel senso proprio. I greci dicevano kalos kai agathos. Antonio è una bella persona e un grande compagno, da decenni impegnato con instancabile generosità a fianco dei giusti e aggrediti. Antonio è mio amico e un uomo di  intelligenza, integrità e passione rivoluzionaria. Un incorruttibile da qualsiasi mancia o lusinga, un resistente a qualsiasi sopruso. Siamo nello stesso Circolo di Italia-Cuba. Eravamo insieme a Caracas, nel Festival Mondiale dei giovani e studenti, né giovani più, né studenti, ma, al pari delle migliaia accorsi da tutto il mondo e dei giovani venezuelani, entusiasti di una rivoluzione da riportare a casa. Cosa che lui non ha mancato di fare. Nelle veline dei segugi giudiziari del capitale figurano al massimo le insolenze commesse da Antonio nell’organizzare manifestazioni pacifiche, incontri (anche con i miei documentari) in cui si tratta in termini diversi un mondo adulterato dalle falsificazioni di regime. Sono persone come Antonio, vero punto di riferimento per la migliore Pistoia, i nodi che tengono insieme i fili di un tessuto sociale che per la dittatura oligarchica del Nord del mondo va disintegrato. Il loro reato è tutto qui. E dunque guai a chi non sostiene questi nodi. Nella catastrofe di una sinistra, o fattasi destra, o pacifinta, questi connettori sono i primi a impedire che si finisca a brandelli.

L’orrido Giorgio

All’ultimo “Infedele”, il canarino natosionista Lerner si è azzardato a invitare tre studentesse dell’esaltante genìa che, finalmente, a Bologna, facendoci colmare i polmoni di un formidabile sospiro liberatorio, hanno detto a Napolitano quel che va detto a Napolitano. Stracciatone allori, ghirlande e bolsa retorica da imbonitore di sciroppii, a questo esecutore per conto BCE e Wall Street, a questo embedded della tirannia plutomassonica, hanno fatto capire di che lacrime grondi e di che sangue il suo orrendo settennato, il più reazionario e in armi della storia repubblicana (alla faccia dell’uomo-Gladio, che ritenevamo insuperabile). E gli hanno risparmiato, per carità di patria (è il caso di dirlo), i paralleli tra la passione fascista con cui inneggiò alla spedizione contro i barbari slavi dell’URSS e l’analogo entusiasmo, oggi, per i nostri interventi subcoloniali a far carne di porco dei popoli extra-atlantici. Noi non vorremmo invece risparmiargli quello che il nostro diritto e quello internazionale esigono: un bel processo alla Norimberga, non però celebrato da vincitori che non erano migliori degli accusati, ma dai milioni delle vittime della sua demolizione della Costituzione, del suo berlusconismo e del suo golpe in patria, come di quelle di cui ha autorizzato e promosso lo sterminio in giro per il mondo. Intelligenza, competenza, serrata argomentazione di queste ragazze sui vent’anni, ci hanno dato alcuni minuti di alta televisione, alta comunicazione, alta informazione, individuando nell’istituzionale Difensore della Costituzione, il garante di tutte le malefatte berlusconian-montiane. Di quel bombardamento dei diritti e delle libertà che tale Costituzione ha ridotto a paravento della dittatura del 10% che possiede il 50% della nostra ricchezza e ora sta azzannando il resto. Arrancava a distanza il sindacalista, portavoce degli operai rimasti sotto le macerie della Fincantieri: “Mi basta che ci ridiano il lavoro, poi Monti o non Monti, che se la vedano loro”. Più o meno così. Così, come 35 anni di arretramenti sono riusciti a estinguere nella classe operaia qualsiasi visione complessiva, qualunque approccio strategico che andassero oltre il disperato appiglio alla zattera salariale. Se c’è un’avanguardia politica oggi a sinistra, qui e in tutte le primavere, a rappresentarla sono quelle ragazze, non l’operaio della Fincantieri. C’è solo da sperare che le prima riescano a tirarsi dietro un giorno anche il secondo.

Il Cyborg, o organismo bionico, scaturito dalla provetta dello scienziato pazzo, non è da meno del suo creatore. Sarà pure una fanfaluca (gli scienziati pazzi sono sempre commissari prefettizi della Cupola) che la data dell’11/11/11, le cui cifre sommate danno 33, massimo grado della massoneria, sia stata scelta apposta per l’ingresso al potere di Mario Monti, ma non sono fanfaluche queste frasi da lui sputate in faccia al nostro volgo disperso che nome non ha. “La ricchezza è un valore, i ricchi italiani dovrebbero essere più orgogliosi, il posto fisso che monotonia!”. Già, troppo modesti e umili i Marchionne, Ligresti, Passera, Berlusconi, Briatore, coglioni sui Suv e sui panfili. Diamogli coraggio. Qui alla proterva stupidità di un tecnico d’accatto si unisce una spudoratezza da far impallidire i garanti di Ruby nipote di Mubaraq. L’uomo dal posto a vita assicuratogli da Napolitano ha così risposto alla rabbia, disperazione, fame, che sta attanagliando un intero popolo. Al confronto Maria Antonietta, con il suo non hanno pane, dategli brioches!, era un campione di giustizia sociale. Non potevano non farlo, Monti, “Uomo dell’anno”.

Siria

Il marasma provocato dalle rilevazioni degli osservatori della Lega Araba (ora clandestinizzate), che in Siria hanno trovato e denunciato la violenza di insorti locali e miliziani infiltrati e il sistematico rifiuto delle opposizioni a ogni apertura di Assad, riequilibrando così drasticamente la narrazione per cui ogni vittima siriana era da attribuire al solito “dittatore sanguinario”; la ragionevole e credibile proposta russa di mediare a Mosca tra le parti in conflitto, anch’essa istantaneamente respinta dai volenterosi insorti; l’ennesima cattura di mercenari infiltrati dal confine turco; la provata – anche da un prestigioso Istituto di sondaggi a Doha – adesione al proprio presidente da parte della stragrande maggioranza dei siriani, tutto questo ha costretto l’alleanza tra despoti democratici e despoti wahabiti ad accelerare. Con in testa lo screditatissimo cappuccio ONU, si vuol calare sulla Siria la mannaia “Fuori Assad, dentro il suo vice e subito governo di unità nazionale con dentro tutte le opposizioni”. Un governo che riscatti ratti vari: il Consiglio Nazionale Siriano che a Istanbul si alimenta di fondi Cia e delle vittime attribuite da anonimi ad Assad; i Comitati di Coordinamento che, all’interno, sparano cifre oniriche di “martiri del regime”, riportate all’esterno dall’Osservatorio Siriano dei diritti umani (sotto tutela MI6 a Londra); e la “Free Syrian Army”, la congerie di alqaidisti e briganti di ventura che anche gli ignavi del “manifesto” insistono a definire “disertori dell’esercito siriano”, onde nobilitarne in azioni militari gli orrori terroristici. Divisione del lavoro, gioco delle parti.

Se gli uni, per farsi agevolare dagli spiriti animali della sottoumanità in SUV e droni, invocano l’intervento militare della “comunità internazionale”, gli altri, per convincere e arruolare i perplessi del pacifintismo, promettono di non cercare tale intervento e così, a loro volta, contano di arrivare a una Siria regressiva, denazionalizzata, desocializzata, teocratica, a forza di terrorismi chiamati “guerra civile”, ma sottobraccio ai nostrani amici del giaguaro e utili idioti. L’amore degli insorti per il loro paese ha espressioni varie: particolarmente benevola è in questi giorni la “guerra del pane e dell’acqua”, finalizzata a far esplodere una fin qui introvabile collera del popolo contro il governo. I ratti prelevano grandi quantità di pane ovunque siano in grado di imporlo, svuotano negozi e forni e, una volta distribuito il necessario alle proprie bande, ne gettano tonnellate nelle fognature. Quanto all’acqua, il governo ha dovuto staccarla a Damasco per alcune ore e fare delle analisi, di fronte alla minaccia degli islamisti di avvelenarla alle sorgenti. Minaccia credibilissima, visto che la stessa marmaglia aveva già compiuto questo crimine a Sirte, in Libia. Gli attentati terroristici contro civili, restano l’arma preferita, come in tutte le “rivoluzioni” fomentate dall’Occidente utilizzando il presunto nemico ed effettivo ascaro “Al Qaida”. Obiettivi sono, come in Iraq, luoghi affollati di gente, e poi soldati, strutture militari, statali, giudiziarie, oleodotti, ferrovie, sequestri di persona, assassinii mirati (a Homs cinque scienziati uccisi e quattro ingegneri iraniani, da anni impegnati nella centrale elettrica, rapiti e fatti passare per pasdaran infiltrati, col chiaro scopo di implicare Tehran e depistare dalle provate interferenze Nato, turche e del Golfo, con i loro campi di raccolta e addestramento di mercenari in Turchia e Giordania).

A tutto questo la Siria decente e libera risponde con le ininterrotte manifestazioni di massa pro-Assad in tutte le città, con il necessario intervento di difesa del paese e, pochi giorni fa, con la suggestiva commemorazione delle vittime del terrorismo celebrata in significativa unità dal Gran Mufti siriano (gli islamisti gli hanno ammazzato un figlio per non essersi il padre schierato con Al Qaida), dal Metropolitano della Chiesa Ortodossa, e dal Priore del monastero cattolico. Tra i fedeli delle varie confessioni, come tra tutti i laici del paese, soprattutto tra le donne (ma di queste nessuna femminista occidentale si cura) è ben presente cosa capiterebbe a questa società aperta, solidale, unita, libera, se dovessero prevalere gli sgherri bigotti che l’Occidente ha spedito a distruggere la Libia. A maggio, con la nuova legge sul pluripartitismo e sulla libertà dei media, con i nuovi mezzi d’informazione sorti negli ultimi mesi, si terranno, sotto osservazione internazionale neutrale, le elezioni parlamentari. Lo strepitìo con cui all’ONU e nella Lega Araba dei tagliamano e lapidatori si invoca la dipartita di Assad e un governo di unità nazionale, che includa le opposizioni con peso determinante, ha proprio lo scopo di impedire quelle elezioni, sicuro appannaggio del Baath e dei sette partiti opposti alla destabilizzazione, e rimandarle al momento in cui potranno essere manipolate alla maniera afghana, irachena, e perfino statunitense.

Al Consiglio di Sicurezza, dove il gaglioffo capo del Consiglio Nazionale Siriano è giunto in compagnia dell’uomo del Qatar (!), in queste ore si assediano i governi perché acconsentano allo sfracello. Si usa la sacrosanta offensiva del governo contro i terroristi, che erano arrivati ad imperversare nei sobborghi della capitale, con le sue inevitabili vittime, come la pistola fumante che dovrebbe sollecitare bombardamenti e invasione e assicurare il consenso di un’opinione pubblica rimasta senza difese nello tsunami delle menzogne mediatiche. Si parla dell’opinione pubblica occidentale, dato che, checché ne dica lo slavofobo Astrit Dakli del “manifesto”, impegnato da mane a sera a sbertucciare la Russia che resiste – “L’opinione pubblica mondiale non ha una gran simpatia per il regime siriano” – i miliardi che vivono tra noi e il Polo Sud non hanno una gran simpatia per chi quel regime, e il resto del mondo, attacca. Speriamo che Russia e Cina tengano duro col loro rifiuto.

Ripresi i sobborghi di Damasco

Visto che gli insorti che ammazzano a destra e manca chi non sogna una Siria qatarizzata, è d’uopo che se ne occultino gli aspetti che escono dal quadretto dei “rivoluzionari”, “martirii” e “disertori”, proiettato dalle spie del londinese Osservatorio Siriano. Così non si deve assolutamente tappare al mondo le orecchie mentre sulla Siria risuona l’incitamento lanciato da Omar Bakri, famoso predicatore siro-anglo-libanese, che, galvanizzato dalle imprese dei suoi in Libia, trovandosi “a rota” di sangue, incita i Fratelli Musulmani ad attentati suicidi contro Assad e contro il parlamento siriano “quando è pieno di baathisti”. Va nel particolare, Omar Bakri, suggerendo “bombe pizza da consegnare ancora calde”. Con particolare attenzione ai cristiani. Sapete qual’ è l’urgenza degli esportatori di democrazia alla saudita? Quella di evitare a ogni costo le elezioni che il governo siriano ha programmato entro due mesi. Anatema! Ne uscirebbe, lo sanno tutti, un verdetto democratico: maggioranza assoluta per il Baath e i partiti alleati e non venduti. Come da quel sondaggio di Doha che ha confermato le peggiori apprensioni di monarchi e atlantosionisti fascistizzanti. E affermazione anche di un’opposizione corretta, pronta a mettere alla prova le proposte di riforma avanzate dal governo fin dall’inizio della crisi. Quel Bakri è stato arrestato a Londra e poi a Beirut, dove fu condannato per istigazione all’omicidio, rapina, terrorismo. In entrambi i casi è stato messo fuori dopo pochi giorni. Non per nulla si è dichiarato di Al Qaida. I propri agenti i servizi occidentali non li abbandonano.

Mashaal, ministro esteri Qatar, re Abdallah, ad Amman

E neanche Israele abbandona il campo dei suoi amici. Non c’è solo la recente visita del feldmaresciallo arabo e satrapo qatariota Hamid bin Khalifa Al Thani in Israele. C’è anche la discreta ma stretta collaborazione di contractors paramilitari israeliani con Abu Dhabi, sotto l’etichetta della “sicurezza dei giacimenti petroliferi e delle frontiere”, nonché la condivisione tra emirati e nazisionisti di satelliti di comunicazione, utilissimi per guidare sul bersaglio proiettili e truppe. Turba non poco, su tale sfondo, la visita di Khaled Mashaal, capo di Hamas, insieme al ministro degli esteri qatariota (ovviamente fratello del re), al re travicello giordano Abdullah, altro manutengolo di Nato e Israele. Venendo nella scia delle voci di un trasferimento della direzione di Hamas da Damasco ad Amman e anche delle sciagurate prese di posizione di organizzazioni palestinesi contro Gheddafi e Assad, corredate dal plauso idiota dei filopalestinesi nostrani, il cattivo odore di opportunismo non è facilmente dissipato. Che fine ha fatto la “rivoluzione palestinese”, quella dei Fedayin, di George Habbas, Najef Hawatmeh e anche del primo Arafat? Sepolta sotto i 30 denari degli emiri?

Appello e contrappello

Ricordate l’ineccepibile appello contro le minacce di guerra e gli embarghi a Siria e Iran lanciato in Germania, assunto dal Comitato dei Diritti Umani del Bundestag, che io ho tradotto e messo in rete e che poi un numero di prestigiosi compagni ha diffuso sui giornali? Ebbene non bastava, non convinceva, non tornava all’arcipelago nel soffice rosa del tramonto dei nostri buonisti cerchiobottisti. Non sia mai che ti identificano con quei “dittatori sanguinari” di Assad e Ahmadinejad! Bisognava intervenire, farsi sentire, distinguersi. E così Marinella Correggia, buona giornalista dell’immancabile “manifesto”, ha pubblicato un altro di appelli, a costo di dividere le firme in due, confondere il colto e l’inclita, annacquare. Dice questo appello: La situazione sul campo da mesi vede violenti scontri tra truppe governative e le truppe (sic) di insorti armati… in un crescendo di violenze che ha già provocato enormi perdite anche di civili, delle quali entrambe le parti recano responsabilità. Dopodichè, i firmatari fanno una pia richiesta di tregua, mediazione,  fine alle interferenze straniere, stop alle sanzioni, invio di osservatori neutrali. Benissimo. Senza peraltro menzionare che ogni proposta di Assad, rispondente alle richieste “ufficiali” delle opposizioni, è stata trattata come il moccio che sgocciola dal naso. Ma, porco Obama, la responsabilità di tutto questo di chi diavolo e?!
Le firme annoverano gli Us citizens for peace and justice, prìncipi storici dell’ambiguità perbenista, Contropiano, Rete Disarmiamoli, Lega Internazionale delle Donne per la pace e libertà, quei collusi del Ponte per, Fiom, Ecoistituto Alex Langer (buono quello, quando invocava le bombe sulla Serbia), Assopace (la “fate i buoni”- Morgantini), filo palestinesi al traino dei palestinesi che inveiscono contro Gheddafi e Assad e altri. Potete firmare questo rosario di buone intenzioni. Che con la rettifica delle infamie razziste e colonialiste rovesciate sulla Siria non hanno niente a che fare.

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La situazione a Damasco vista da Chehayed Rustam
Venerdì 27 gennaio 2012

Dopo tutti questi mesi dall’inizio della crisi siriana ormai e’ innegabile la presenza del terrorismo, della minaccia e dell’intimidazione a fini politici da parte dei gruppi d’ opposizione.

Questi episodi sono prevalentemente concentrati nelle zone periferiche della capitale, mentre all’interno della città e nelle zone centrali e’ evidente un clima di tensione degli abitanti a causa dei recenti attentati come quello di Kafer Suse e del Midan. Anche oggi nella zona del Midan si e’ verificata l’esplosione di una bomba artigianale con comando a distanza che ha causato la morte di un giovane di 12 anni di nome Ibrahim Mabrouk e il ferimento di altre 12 persone; lo stato d’animo della popolazione e’ portato all’esasperazione da questo tipo di episodi sempre più all’ordine del giorno, realizzati dagli oppositori al governo che hanno lo scopo di mantenere alta la tensione e terrorizzare la gente.
Non si sono registrate manifestazioni di protesta oggi a Damasco come viene invece fatto credere dai soliti canali satellitari. In questo preciso momento mi trovo nel quartiere Barzee, vicino al Caboun, dove la situazione e’ da diversi mesi indubbiamente tranquilla e sotto controllo, sporadicamente si verificano piccoli episodi di proteste all’uscita dalle moschee il venerdì, con piccoli gruppetti di circa 50 persone. Manifestazioni che durano sempre solo pochi minuti (giusto il tempo per fare qualche ripresa sotto commissione e inviarla alle emittenti satellitari del Golfo che ormai da tempo provvedono ad ingigantire e diffondere una realtà falsificata degli avvenimenti).
Si registrano, inoltre, episodi di intimidazione, con tentativi di attacco a edifici pubblici e abitazioni private dei rappresentanti dell’amministrazione pubblica, ormai sempre più nel mirino dei gruppi di terroristi armati.

Come misure precauzionali il governo ha istituito posti di blocco all’entrata e all’uscita della città e raddoppiato il personale di guardia, fortificando con sacchi di sabbia e barriere le strade circostanti degli edifici pubblici considerati più sensibili agli attentati – in particolare a possibili autobombe.

L’energia elettrica viene staccata 3 ore al giorno: circa 2 ore al pomeriggio e 1 ora la sera, con varianti a seconda del quartiere. Questa mancanza di elettricità comprende anche le sedi ministeriali e il palazzo presidenziale, che comunque usano generatori a gasolio in alternativa, ed e’ la conseguenza degli attentati che hanno interessato centrali elettriche, oleodotti e gasdotti nel paese , oltre all’effetto delle sanzioni economiche imposte dai paesi occidentali che vogliono mettere in ginocchio il paese e che impoveriscono palesemente la popolazione, uccidendone l’economia.

Nonostante questa situazione e il malcontento generale, la popolazione continua a scendere in piazza numerosissima per mostrare il suo sostegno al presidente siriano e ai suoi piani di riforma.

Nelle zone periferiche, invece, l’energia elettrica viene staccata per 3 ore al pomeriggio e 3 ore la sera indifferentemente se la zona sia prevalentemente abitata da oppositori o sostenitori del governo.

Le zone periferiche sono quelle nelle quali si concentrano le bande armate di oppositori, quelle che alcuni chiamano esercito libero composto da disertori, ma che a tutti gli effetti comprende prevalentemente ex criminali, delinquenti comuni, trafficanti di droga, elementi poco istruiti o fanatici religiosi.

Questi gruppi, che sono finanziati dall’opposizione e dai loro alleati internamente ed esternamente, a loro volta creano fortificazioni, barriere e posti di blocco all’entrata e all’uscita della zona periferica sotto il loro controllo.

Si tratta di gruppi che non esitano a derubare o uccidere i civili che non sono schierati dalla loro parte, che non chiudono i loro negozi in segno di protesta o che continuano a mandare i loro figli a scuola;

oltre a commettere i più svariati reati (come, ad esempio, rapimenti, sequestri di persona) per avere denaro, auto e mezzi per quella che loro definiscono ipocriticamente una “rivoluzione per la libertà e la democrazia”.

Nelle manifestazioni di protesta contro il governo questi gruppi armati sono mescolati ai manifestanti, e, tra i loro slogan in questi giorni, mi hanno colpito particolarmente quelli che definiscono la nuova costituzione in programma una “presa in giro”, dal momento che la loro nuova costituzione deve essere unicamente il Corano.

Simili manifestazioni in genere vengono tollerate finché rimangono all’interno delle zone periferiche. Recentemente, nella zona di Zamalka, un corteo di protesta si è diretto verso la strada principale che la collega a Damasco; una volta arrivati al posto di blocco dell’esercito regolare all’ingresso della capitale è stato imposto l’ALT. A quel punto i manifestanti hanno reagito colpendo con pietre i soldati, i quali, per disperdere il gruppo, hanno dovuto sparare alcuni colpi in aria. Una volta che il corteo di protesta ha indietreggiato, sono comparsi i gruppi armati che non hanno esitato a sparare e colpire a morte sei giovani soldati dell’esercito regolare e solo dopo l’arrivo dei rinforzi, cui è seguita una lunga sparatoria, sono fuggiti verso la periferia.

Questa tolleranza da parte delle forze di sicurezza non è condivisa da buona parte della popolazione, che si trova così a soffrire maggiormente a causa della presenza di questi gruppi criminali di opposizione e che desidererebbe un intervento più duro da parte dei militari in grado di eliminare definitivamente la presenza di queste bande armate criminali.

Alla luce di questa situazione, anche molti degli indecisi, in un primo momento non schierati né con il governo né con gli oppositori, si stanno sempre più orientando dalla parte dei sostenitori del governo e delle riforme promesse, dal momento che, con il passare del tempo, risulta sempre più evidente che l’obbiettivo degli oppositori non sono libertà e democrazia, ma caos, fanatismo religioso e divisioni settarie. Sempre con maggior evidenza, infatti, stanno emergendo le continue falsificazioni e fabbricazioni ad hoc degli eventi, più volte smascherate, e i continui crimini commessi da questi gruppi, come l’uccisione di innocenti dopo aver estorto loro false dichiarazioni volte ad incolpare e mettere in cattiva luce le forze di sicurezza e il governo, debitamente filmate e poi trasmesse dalle solite tv satellitari menzognere del Golfo, complici, nonché, probabilmente, mandanti di questi crimini.

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Fonte: Il bell’Antonio e l’orrido Giorgio (e Siria e Iraq e Libia e Napolitano e Monti e…)

03.02.2012

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