IDENTITA’ NAZIONALE: IL NEMICO CINESE

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DI RAFFAELE RAGNI
Rinascita Nazionale

Da quel tragico 11 settembre, ci hanno abituati allo scontro di civiltà, reale o immaginario, col mondo islamico. Dopo la rivolta della chinatown a Milano, che è la prima del genere in Italia, sorge una domanda: esiste anche una minaccia cinese alla sicurezza e all’identità nazionale? La risposta è sì, esiste un nemico cinese, ma non sono gli immigrati.

In genere i cinesi sono lontani dallo stereotipo del migrante tanto caro alla sinistra ed a certi settori dell’associazionismo clericale. Non mendicano per strada, non frequentano i centri sociali, al rap preferiscono le arti marziali, non si fanno convertire al comunismo perché lo conoscono, se diventano cristiani lo fanno per scelta e non per fame. Sono lavoratori infaticabili, commercianti onesti, pagano sempre i debiti. Sono fieri di essere cinesi, non vogliono diventare italiani. Forse ci disprezzano, e non hanno torto.

Chi è allora il nemico cinese? E’ un intreccio perverso di affari e politica, silenzi e complicità, interessi contigui di borghesie e mafie cosmopolite.Il nemico cinese sono quegli imprenditori italiani che, invece di assumere connazionali, comprano a buon mercato manodopera cinese dalle teste di serpente, i mafiosi orientali che commerciano schiavi. Ma soprattutto quegli imprenditori che, sempre per beneficiare di forza lavoro a basso costo, producono e fanno produrre merci in Cina, all’interno di zone franche militarizzate, dove avvengono continue violazioni dei diritti umani.

Le Special Economic Zones (SEZ) cinesi sono la versione aggiornata delle Export Processing Zones (EPZ) contestate dai no global. Gli investitori cosmopoliti beneficiano di esenzioni fiscali e della libertà di inquinare. Gli orari sono estenuanti: dalle 7.00 alle 23.00, con un giorno di riposo ogni 2 settimane. Si utilizza lavoro minorile. Gli operai dormono ammassati in capannoni malsani. Violenze ed abusi sessuali sono la regola.

Circa 43 milioni di persone schiavizzate lavorano in oltre 3.000 EPZ diffuse in 116 Paesi del Terzo Mondo. In Cina un operaio delle SEZ guadagna meno di un dollaro l’ora. In aggiunta, il regime comunista offre al mercato globale manodopera gratuita. Sono i 6.800.000 detenuti dei 1.100 campi di concentramento ufficialmente censiti, i famigerati Laogai. Le fabbriche militarizzate e i lager comunisti sono il grande vantaggio competitivo delle imprese transnazionali che investono in Cina.

Il nemico cinese sono quei funzionari portuali che fanno transitare illegalmente le merci provenenti dalla Cina. Non c’è da meravigliarsi, considerato che armatori cinesi, consorziati con armatori locali, gestiscono direttamente il traffico nei porti italiani. E’ il caso della Cosco-Msc che, nel porto di Napoli, dispone di oltre 950 metri di banchina, 130.000 mq di terminal container, 30.000 mq esterni. Qui il 60% delle importazioni cinesi sfugge al controllo della dogana, il 20% delle bolle non viene controllato, l’evasione fiscale ammonta a 200.000.000 Euro a semestre.

Il nemico cinese è il governo di quel Paese che opprime il popolo cinese. Non importa stabilire se il modello cinese sia una forma evoluta o degenere di comunismo in rapporto all’ideale marxista. Qualunque cosa sia, la Cina si autodefinisce Stato comunista. Il presidente della Repubblica Popolare Cinese è anche segretario generale del Partito Comunista Cinese. L’esercito svolge anche funzioni di polizia. Fino al 2000 gestiva direttamente numerose imprese commerciali, ora dirette dai militari in pensione. Sono negate le fondamentali libertà di parola, stampa, riunione, associazione, religione. I sindacati formalmente esistono, ma chi vi aderisce viene schedato come dissidente.

In nome del materialismo, lo Stato cinese è ufficialmente ateo. Tutte le religioni sono perseguitate: taoisti, buddisti, cristiani, musulmani. La repressione di massa più recente, denunciata da Amnesty International e dall’ONU, riguarda il Falun Gong, un movimento spirituale laico che predicava verità, compassione, tolleranza. Dal 1999 ad oggi sono stati assassinati ben 2.730 suoi aderenti.

Imponendo un figlio per famiglia, vengono incoraggiati l’aborto e la sterilizzazione come metodi anticoncezionali. L’infanticidio colpisce soprattutto le figlie femmine, considerate meno produttive dei maschi. Vige la pena capitale. Ogni anno sono condannate a morte circa 10.000 persone. Gli organi dei condannati a morte sono espiantati prima dell’esecuzione e venduti al 30% in meno rispetto a quelli provenienti da Bulgaria, Colombia, Russia Sudafrica.

Nel 1989 la pacifica protesta di Piazza Tiananment fu repressa dall’esercito con un bilancio di 5.000 morti e 10.000 feriti.

Ogni giorno avvengono almeno 300 manifestazioni di protesta soffocate nel sangue, di cui non viene data notizia. La maggioranza dei cinesi non sa quanto accade nel Paese e nel resto del mondo. Attualmente, su 1.000 persone, 291 hanno un televisore, 342 una radio, 376 leggono un quotidiano. Internet conta 79.500.000 utenti, appena il 6,1% della popolazione. Gli studenti universitari sono 18.000.000, pari al 1,4%. Il 23,1% dei cinesi è analfabeta.

Persone rapite e scomparse, arresti arbitrari, lunghe detenzioni in isolamento, torture nelle carceri, sono fatti denunciati da numerose organizzazioni per la tutela dei diritti umani. Il regime risponde alle accuse affermando il suo diritto alla crescita del prodotto interno lordo ed ha istituito circa 2.000 zone franche dove le multinazionali producono – direttamente, tramite joint ventures, o su licenza – merci e servizi per il mercato globale.

Malgrado la Cina registri il più alto tasso di crescita del PIL al mondo, tra il 7% ed il 10% annuo, esistono enormi squilibri nella distribuzione della ricchezza. I miliardari sono 300.000 e acquistano una quota pari al 3% di tutti i beni di lusso venduti al mondo. I benestanti, che guadagnano 30.000 dollari annui, sono 5 milioni. In totale miliardari e benestanti, quasi tutti funzionari “comunisti” asserviti all’oligarchia mondialista, sono lo 0,4% della popolazione. Circa 900 milioni di cinesi sopravvivono con un reddito medio di 250 dollari annui.

Il potere usuraio governa la Cina. Aderendo nel 2001 alla World Trade Organization (WTO) la Cina ha cominciato ad applicare le politiche monetariste di macrocontrollo imposte dalle Istituzioni Finanziarie Internazionali (IFI). Per evitare che il rallentamento del ciclo produca deflazione, il governo favorisce le esportazioni, che crescono ad un ritmo superiore al 30% annuo. Solo vendendo più merci all’estero, le aziende cinesi, gravate da sovracapacità produttiva, possono alleggerire le scorte e far quadrare i bilanci. Gli aggiustamenti strutturali suggeriti dalle IFI hanno prodotto il licenziamento di oltre 60 milioni di lavoratori, fra cui 37 milioni espulsi dalle aziende di Stato in perdita.

L’invasione di merci cinesi causa il fallimento di tante nostre piccole e medie imprese, soprattutto nel tessile-abbigliamento e nel settore calzaturiero. Il miracolo cinese nasce dal dumping sociale ed ambientale, da una svalutazione monetaria del 45%, da sussidi statali all’export fino al 25% del valore delle merci. L’enorme surplus commerciale cinese viene investito in valuta americana. Attualmente la Cina ha riserve in dollari per 274.000 milioni di dollari, più del doppio di Italia, Francia, Germania, Inghilterra e Russia messe insieme. La moneta cinese, legata al dollaro fino a luglio 2005, viene fatta fluttuare del 3% rispetto a tutte le valute, ma solo dello 0,3 rispetto al dollaro, orientando quindi la speculazione verso euro e yen.

Una quota rilevante del crescente PIL cinese viene investito per potenziare l’esercito e la polizia. Le spese militari cinesi ammontano ufficialmente a 30 miliardi di dollari, pari al 1,7% del PIL. Ma non comprendono gli acquisti all’estero, la ricerca e sviluppo in nuovi armamenti, il finanziamento delle milizie di partito. Secondo stime aggiornate, il totale oscilla tra 42 e 90 miliardi di dollari, una percentuale compresa tra il 2,3% ed il 5% del PIL. Si consideri che Inghilterra ed USA, i gendarmi del mondo, spendono rispettivamente il 2,7% ed il 3,9% del PIL. E la a Cina ha anche la bomba atomica.

Il nemico cinese sono quei politicanti, di centrosinistra come di centrodestra, che fingono di non sapere tutto ciò e affermano che la Cina rappresenta una grande opportunità per l’industria italiana. Organizzano missioni commerciali e fanno affari con quel governo. Sulla pelle dei popoli, italiano e cinese.

Raffaele Ragni
Fonte: http://www.rinascita.info
Link: http://www.rinascita.info/cogit_content/rq_attualita/Identit_nazionale_il_nemic.shtml
16.04.2007

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