DI MASSIMO FINI
Il gazzettino
Pubblico integralmente questa lettera perché contiene molti motivi di riflessione.
“Caro Fini, sono un uomo di 66 anni. Sono andato in pensione l’anno scorso. Avrei potuto farlo molto prima perché ho quasi quarant’anni di lavoro alle spalle, ma ho preferito uscire il più tardi possibile dal mondo del lavoro per non sentirmi un ferrovecchio. Ciò nonostante la mia pensione è modesta. Mi consente appena di sopravvivere. Anzi, dopo i recenti aumenti di tutti i generi di prima necessità, sarei al gancio se non fossi stato una formichina che, in tutta la sua vita, concedendosi pochissimo, ha accumulato risparmi per garantirsi almeno una vecchiaia serena. Questi risparmi li ho messi in banca. Non ho comprato azioni, obbligazioni, partecipazioni in Fondi e tantomeno prodotti “derivati” – non ho un’animo speculativo – li ho semplicemente depositati su un conto corrente.
I miei risparmi, che costituiscono, dopo tanti anni, un gruzzolo piuttosto consistente (almeno per me), sono depositati in una grande banca di prestigio nazionale e internazionale. Per la verità, all’inizio, li avevo messi in una piccola banca regionale (abito in provincia), ma in seguito alle varie fusioni mi sono trovato depositario in questo grande Istituto di credito. Pensavo di essere al sicuro. Non si dice sempre che il modo più sicuro, anche se poco remunerativo, è mettere in soldi in banca (è quasi un modo di dire)? Sono soldi miei che io ho semplicemente affidato a una banca perché li custodisse. Purtroppo questo grande, prestigiosissimo istituto, a causa del crack dei mutui americani, vacilla, è sull’orlo del fallimento. La cosa non mi dovrebbe riguardare, io non ho fatto investimenti a rischio ho solo affidato i miei soldi alla banca perché li custodisse. Purtroppo non è così. Se questo grande, prestigiosissimo Istituto di credito crolla, a causa di speculazioni sbagliate cui, per quanto riguarda i semplici correntisti come me, nulla lo autorizzava, svaniscono anche i miei risparmi. Svaniscono quindi, in un amen, i quarant’anni di lavoro, ogni garanzia per la mia vecchiaia. Questo dramma, che certamente non riguarda solo me, ma decine, forse centinaia di migliaia di risparmiatori italiani, si consuma in mezzo a “Isole dei famosi” i cui protagonisti vengono pagati con cifre superiori a quanto io ho messo da parte in una vita. Briatori trionfanti, Venture strillanti, sempiterne diatribe fra Berlusconi e Veltroni, dichiarazioni quotidiane dei vari Gasparri, Bocchino, Cicchitto, Finocchiaro, D’Alema e Fini, che mi ammoniscono a rimboccarmi ancora una volta le maniche mentre loro, a quanto ne so, non hanno fatto un solo giorno di lavoro nella loro vita. Io non posso, a 66 anni, rimboccarmi ancora le maniche, sono stanco, sono sfinito, sono esaurito. Mi aspetta una vita sotto i ponti, senza che io riesca a riconoscermi alcuna responsabilità, perché ho lavorato, ho pagato le tasse, non ho speculato e i miei poveri quattrini li ho messi in un luogo, la Banca, che tutti, economisti, politici, commentatori, mi dicevano essere il più sicuro del mondo: la Banca. Le chiedo: a chi devo dir grazie? Per lei mi firmo, ma mi permetta, per il pubblico, l’anonimato”.
Le responsabilità sono di tutti e di nessuno, come sempre. il discorso è troppo lungo e complesso per poterlo fare in qeusta sede. Si legga, se vuole consolarsi o incavolarsi ulteriormente, il mio «Il denaro “Sterco del demonio”» del 1998.
I risparmiatori sono le vittime istituzionali del sistema del denaro. Perché sono dei poveri che, attraverso l’intermediazione delle banche, prestano soldi ai ricchi perché diventino sempre più ricchi. Se costoro, poi, sbagliano, le conseguenze non ricadono sulla loro testa ma su quelle dei risparmiatori (è da quel dì che l’imprenditore ha smesso di rischiare denari suoi). Inoltre il risparmiatore, il lavoratore, è lo “schiavo salariato”, la bestia da soma che deve tenere in piedi tutto l’ambaradan per trovarsi, come Lei, alla fine della vita con un pugno di mosche. Ma lei, come tutti quelli della sua generazione e di quelle immediatamente successive, è ormai troppo vecchio per avere le energie e per ribellarsi. E i giovani sono troppo giovani per poter capire che faranno la sua stessa brutta fine. Da quando il sistema del denaro, non più utilizzato come mezzo per evitare le triangolazioni del baratto si è trasformato in merce, questa storia si è ripetuta infinite volte. E lei non è solo una vittima, ma un complice perché non si è mai ribellato. Nemmeno quando era giovane, pieno di energie, e poteva farlo.
Massimo Fini
Fonte: www.massimofini.it
Uscito su “Il gazzettino” il 03/10/2008