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I RAPITORI ALGERINI E IL CASO DELLA D.SSA AAFIA SIDDIQUI

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A cura di Davide
Il 20 Gennaio 2013
92 Views

DI YVONNE RIDLEY
counterpunch.org

La sola cosa che mi ha sorpreso quando ho sentito che i rapitori algerini hanno chiesto la liberazione della d.ssa Aafia Siddiqui è che non fosse successo prima.

Non fraintendetemi, io sono stata un ostaggio e in nessun modo accetto le azioni che succedono in un angolo remoto del deserto algerino.

Va da sé che in nessun modo i rapitori, sia che abbiano motivi politici sia criminali, possono essere giustificati nelle loro azioni.
Il mio cuore è con le famiglie di quelli che hanno perso una persona cara nel dramma che si svolge con l’assedio all’impianto petrolifero di cui l’organizzatore sarebbe Mohktar Belmokhtar. Il famigerato militante algerino guercio con, a quel che sembra, legami con al Qaeda ha assunto la responsabilità dell’attacco lanciato mercoledì.Ma un’ingiustizia è un’ingiustizia e, come unica giornalista occidentale che sia andata in Afghanistan apposta per investigare il caso della d.ssa Aafia Siddiqui, devo dire che la sua condizione è diventata una “cause célèbre” in tutto il mondo islamico.

Ho l’impressione che altri occidentali saranno rapiti e i loro rapitori chiederanno la liberazione della d.ssa Aafia Siddiqui, che io ho definito la donna cui è stato fatto più torto al mondo.

Allora, chi è la d.ssa Aafia Siddiqui e perché un gruppo di nordafricani chiede il suo rilascio?

È ben facile diventare emotivi rispetto a una donna musulmana cui è stato fatto torto presa nella Guerra al Terrore, ma non sostengo il mio caso con l’emozione, solo su fatti concreti e prove legali… o la loro mancanza, ma parlerò dopo di questa storia bizzarra.

La sua famiglia non sarà certo contenta che un gruppo di terroristi algerini ha chiesto il suo rilascio, perchè darà l’impressione a certi ambienti che Aafia debba essere un’estremista islamica. È la storia che sostiene l’intelligence USA, anche se si deve dire che al suo processo l’arringa iniziale del pubblico ministero ha detto molto chiaramente che lei non è di al Qaeda nè simpatizzante dei terroristi.

Il caso di questa madre di tre bambini è ben noto in ogni casa del Pakistan, dalla più religiosa alla più laica, e la maggior parte di loro da anni chiede il suo rimpatrio. Ora lei è nota come la Figlia della Nazione anche se la sua storia è circolata ben oltre i confini del Pakistan.

Migliaia di bambine islamiche hanno avuto il suo nome per tutto quello che lei simboleggia. Tutto quello che lei rappresenta deriva dalle ingiustizie create dalla Guerra al Terrore dell’America: rapimenti, “rendition”, tortura, stupri, e waterboarding.

La brillante studiosa, educata nelle migliori università americane, ora langue in una prigione in Texas condannata a 86 anni con l’accusa di aver cercato di uccidere soldati americani.

Il fatto che loro le hanno sparato a corta distanza e l’hanno quasi uccisa è spesso ignorato.

A loro eterna vergogna, i soldati USA di stanza in Afghanistan hanno detto in aula sotto giuramento che la piccola, fragile professoressa gli è saltata addosso da dietro la tenda di una cella, strappandogli di mano una delle loro armi per sparare e ucciderli. Era una storia artefatta che qualunque avvocato difensore decente avrebbe fatto a pezzi.

Lo scenario mostrato alla corte era incredibile e soprattutto, le prove erano inesistenti: nessuna traccia di sparo sulle sue mani o vestiti, nessun bossolo, nessuna impronta digitale di Aafia sull’arma… altre prove vitali rimosse dai militari dalla scena sono scomparse prima del processo. Suvvia, abbiamo visto tutti i telefilm di CSI, la scienza non mente.

Dopo essere stata ricucita nell’ala medica di Bagram, lei è stata portata in America per essere processata per un presunto crimine commesso in Afghanistan. In violazione delle convenzioni di Vienna e di Ginevra, lei non ha avuto contatto col consolato se non il giorno della sua prima apparizione in aula.

Il processo si è svolto a New York, a breve distanza da dove si ergevano le torri gemelle, rendendo impossibile evitare il collegamento all’11 settembre, data che per alcuni ha trasformato gli islamici per sempre nel Nemico Pubblico Numero Uno.

Una mediocre squadra legale imposta alla d.ssa Aafia dalle autorità americane non è riuscita a convincere la giuria della sua innocenza, nonostante la schiacciante evidenza legale che lei non avrebbe potuto strappare l’arma al soldato, e meno ancora premer il grilletto.

Sono andata nella cella poche settimane dopo la sparatoria, nel luglio 2008, e ho scoperto che i soldati erano stati presi dal panico e hanno crivellato la stanza di pallottole mentre cercavano di scappare. La prova è sul film che ho girato nel corso della mia visita e che ho dato ai difensori.

Vedere la d.ssa Aafia che usciva senza manette e senza cappuccio da dietro una tenda ha causato un panico cieco ai giovani soldati a cui l’FBI aveva detto che andavano ad arrestare una delle donne più pericolose al mondo.

Ho intervistato testimoni, funzionari di polizia afgani esperti e tutti mi hanno detto cosa è successo. Eppure il solo afgano portato in aula a testimoniare contro di lei era il traduttore dell’FBI, che ora ha avuto la carta verde e vive a New York con la famiglia.

Alla giuria non è stato detto che la d.ssa AAfia e i suoi tre figli, tutti sotto i cinque anni all’epoca, erano stati rapiti da una strada presso la loro casa a Karaci e scomparsi dal 2003.

L’FBI ha circolato una storia all’epoca che lei era andata a fare la jihad in Afghanistan, una storia grottesca e senza fondamento e, come sa ogni madre di bambini piccoli, solo andare a fare spese con i bambini è un’impresa, e quindi andare a combattere in Afghanistan con carrozzina, passeggino e bambino in collo è semplicemente inconcepibile. La storia dell’FBI è stata distrutta da Elaine Whitfield Sharp di Boston, un avvocato assunto dalla famiglia Siddiqui quando Aafia è scomparsa per la prima volta.

Gli anni mancanti della sua vita rivelano una storia che ora sanno tutti nel mondo islamico, che la considera una vittima della Guerra al Terrore di George W. Bush.

Quando lei ha cercato di dire alla giuria di come è stata tenuta in prigioni segrete, senza assistenza legale, tagliata fuori dal mondo dal 2003, con tecniche di interrogatorio brutali usate per spezzarla, è stata messa a tacere dal giudice che ha detto che era interessato solo all’incidente della sparatoria in cella.

Il giudice Richard Berman, un piccolo uomo modesto con molto di cui essere modesto, ha insistito che non era interessato agli anni mancanti, e ha insistito che non avevano alcuna rilevanza col caso.

Lei ha testimoniato che dopo avere completato i suoi studi di dottorato aveva insegnato a scuola, e che il suo interesse era coltivare le capacità dei bambini dislessici e con altri problemi. È risultata essere un’educatrice con amore per il suo prossimo, una gentile e insieme decisa ricercatrice della verità e della giustizia.

Mentre le prove crescevano abbiamo scoperto che lei non sapeva dove erano i suoi tre bambini, qualcosa di sensazionale per quelli che sapevano la storia vera. Ha detto della sua paura e timore di essere riconsegnata agli americani quando è stata arrestata a Ghazni e trattenuta dalla polizia.

Temendo che ci fosse un’altra prigione segreta che la aspettava, ha rivelato come si è affacciata alla tenda in quella parte della stanza dove gli afgani e gli americani stavano parlando e come quando un soldato americano si è accorto di lei, è saltato su urlando che la prigioniera era libera e le ha sparato allo stomaco. Ha descritto come un’altra persona le ha sparato al fianco, e ha anche descritto come dopo essere ricaduta sul letto nella stanza è stata violentemente sbattuta in terra e ha perso conoscenza. Questo collima perfettamente con quello che mi ha detto il capo della polizia anti-terrorismo che ho intervistato in Afghanistan nell’autunno 2008, mi ricordo che rideva mentre mi diceva come i soldati americani erano stati presi dal panico e hanno sparato a casaccio in aria mentre scappavano dalla stanza in un panico cieco.

Naturalmente è impossibile che un gruppo di soldati ammetta di avere avuto paura, ma secondo quelli che ho intervistato per il mio film “In search of Prisoner 650  in Afghanistan” questo è esattamente quello che è successo.

Due dei suoi bambini scomparsi da allora sono stati trovati e riuniti alla sua famiglia a Karaci. Non è ancora chiaro dove siano stati tenuti i bambini quando sono stati rapiti in una strada di Karaci, ma si sente il loro accento americano… forse preso dai loro carcerieri.

Allora perchè l’FBI voleva parlare alla d.ssa Aafia e perchè la dipingevano come una pericolosa terrorista in fuga? Se lei era la persona che dipingevano, perchè non è stata accusata di terrorismo e perchè il pubblico ministero si è impegnato a precisare che lei non era di al Qaeda?

Il punto essenziale è che la d.ssa Aafia Siddiqui non dovrebbe essere in prigione e fino a che questa ingiustizia continuerà, lei diventerà un punto focale per tutti quelli che vogliono contrastare l’America.

Riconoscere questa ingiustizia e riportare la d.ssa Aafia alla sua casa in Pakistan non fermerà gli estremisti che causano il terrore, ma si potrebbe rendere molto più sicura la vita dei cittadini americani se questo torto fosse rimediato.

Yvonne Ridley è una giornalista inglese e presidente dell’ European of the International Muslim Women’s-Union e vice presidente dell’ European Muslim League.

Fonte: www.counterpunch.org
Link: http://www.counterpunch.org/2013/01/18/the-algerian-kidnappers-and-the-case-of-dr-aafia-siddiqui/
18/20.01.2013

Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da ROBERTO

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