DI MASSIMO FINI
Il Gazzettino
Le inchieste giudiziarie a Pescara, in Abruzzo, in Basilicata, a Napoli, in Campania, dove sono coinvolti amministratori e politici prevalentemente, ma non esclusivamente di sinistra (così come ai tempi di Mani Pulite erano prevalentemente, ma non esclusivamente di centrodestra) spiegano bene perché la classe dirigente ha così fretta di varare una riforma della Giustizia. Non si vuole migliorare il servizio ai cittadini (tanto è vero che nei progetti fatti circolare non ci sono norme, se non marginali, per snellire il processo e quindi abbreviarne drasticamente la durata, che, come ho scritto tante volte, è il vero problema della Giustizia in Italia), si vuole mettere la mordacchia alla Magistratura, sottometterla, in un modo o nell’altro, al potere esecutivo, impedire le intercettazioni telefoniche per la concussione e la corruzione, i reati tipici di «lorsignori», e insomma sottrarre la classe dirigente al controllo di legalità perché possa continuare a fare tranquillamente i suoi traffici.
L’onorevole Gaetano Pecorella, ex avvocato di Berlusconi, capovolge completamente la questione. Queste inchieste avrebbero il solo scopo di impedire la riforma della Giustizia. Un’accusa gravissima secondo la quale quattro o cinque Pm agirebbero all’unisono non sulla base di ipotesi di reato ma per fini che con l’amministrazione della giustizia non hanno nulla a che fare. Una vera e propria eversione. Eversore a mio avviso, è chi fa illazioni del genere senza lo straccio di un indizio e senza andare a denunciare i responsabili alla stessa magistratura (a meno che non si ritenga che l’intera Magistratura italiana è fellona). Illazione assurda anche perché molte di queste inchieste sono cominciate in tempi in cui la riforma della magistratura a colpi di modifiche costituzionali era di là da venire.
Nella foto: Ottaviano Del Turco
La realtà è un’altra, sta sotto gli occhi di tutti e non saranno gli Azzeccagarbugli a poterla nascondere. La nostra classe dirigente, con le debite e anche le molte eccezioni di singole persone che però sono impotenti di fronte a quello che è un sistema, è corrotta fino al midollo. Questa corruzione è grave perché drena un’enorme quantità di denaro pubblico, cioè di nuovi cittadini, a favore di illeciti lucri privati. Ma forse è ancor più grave perché, come emerge chiaramente dall’inchiesta sul sindaco di Pescara D’Alfonso, questi gruppi di potere, affiliati ai vari partiti, elargiscono ai loro adepti incarichi, impieghi, privilegi mortificando le legittime ambizioni e perfino ledendo il diritto al lavoro di tutti coloro che, conservando il rispetto di se stessi, non intendono assoggettarsi a questi umilianti infeudamenti. E poi hanno la spudoratezza di venirci a parlare del merito.
Le democrazie sono, notoriamente, i sistemi più corrotti. Ma la nostra ha superato ogni limite fisiologico. Ogni decenza. Come si è potuti arrivare a questo punto? Perché gli uomini politici invece di capire la lezione di Mani Pulite ne hanno tratto un sordo rancore verso la Magistratura che, dopo decenni di impunità, aveva osato chiamare anche loro al rispetto di quella legalità cui tutti siamo tenuti. Così, passata la buriana del 1992-94, la classe politica (e in particolare, bisogna pur dirlo, Forza Italia) con un imponente spiegamento di media ha convinto gli italiani che i veri colpevoli non erano i ladri ma i magistrati. I ladri, o i loro amici, sono diventati giudici dei loro giudici. E adesso si apprestano a dare il colpo definitivo all’indipendenza della Magistratura italiana come non era riuscito nemmeno il fascismo che dovette creare i Tribunali speciali.
Si è riusciti a convincere («i costi della politica») gli italiani che era giusto derubarli (perché poi gli imprenditori, scaricavano il costo delle tangenti sui prezzi). Giuliano Cazzola ha calcolato che la corruzione accertata da Mani Pulite con sentenza definitiva (che, come per tutti i reati, non è che una parte infinitesima di quella rimasta nascosta e impunita) ci è costata 630 miliardi delle vecchie lire, un quarto del debito pubblico. Qualcuno, in futuro, si prenderà la briga di calcolare quanto ci è costata dal 1994 al 2008, sempre che questo rimanga un Paese libero.
Spero che i cittadini che hanno sentimenti di destra non si sentano sollevati dal sapere che la corruzione sta anche a sinistra. Una corruzione non ne sana un’altra, si somma ad essa. Mal comune, qui, non fa mezzo gaudio. Almeno non lo fa per il popolo italiano e per il nostro Paese.
Massimo Fini
Fonte: www.massimofini.it
Uscito su “Il gazzettino” il 19/12/2008