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DI MASSIMO FINI
Il Gazzettino

Il 92% degli italiani, secondo un sondaggio, vuole la riforma della Giustizia . La vuole il governo. La vuole l’opposizione. Ma quale riforma ? Questo è io problema. Proverò a dire la mia, immodestamente.
1) La questione di fondo della Giustizia in Italia è l’abnorme durata dei processi che oltre a essere iniqua in sè – perché una giustizia che arriva tardi è sempre, come dicevano i la tini, «denegata giustizia », sia che assolva sia che condanni – ha tutta una serie di ricadute: sulla certezza della pena, sui termini della carcerazione preventiva, sull’impossibilità di tutela re il segreto istruttorio. Il nostro Codice di procedura penale prevede possibilità, pressoché illimitate di ricorsi, di controricorsi, di impugnazioni, di eccezioni, di rilievi di incompetenza (per territorio, materia, funzione), di ricusazioni, spalmate su tre gradi di giudizio (primo grado, appello, Cassazione) che rallentano tutte le procedure. Questo Codice, di derivazione bizantina (Gaio, Giustiniano), dopo «Mani Pulite» è stato ulteriormente appesantito da norme cosiddette «garantiste» che in realtà garantiscono solo i colpevoli, il cui interesse è che la sentenza definitiva arrivi il più tardi possibile, meglio se mai, mentre l’interesse dell’innocente è esattamente l’opposto. Quindi via tutte le norme – e sono infinite – che hanno un rilievo puramente formale. Perché è vero che in diritto la forma è sostanza. Ma un accesso di formalismo finisce per uccidere la sostanza. La Cassazione dovrebbe tornare ad essere un organo di controllo solo della legittimità formale degli atti e non un terzo giudice di merito com’è diventata attraverso il grimaldello della «congruità» della motivazione rispetto al dispositivo. Inoltre la presunzione di innocenza dovrebbe fermarsi all’appello.
L’abnorme durata dei processi ha poi pesantissime ricadute sui termini della carcerazione preventiva. In questi anni, sull’onda di questa o quella emozione, abbiamo allungato o accorciato a dismisura questi termini, col rischio, nel primo caso, di tenere in galera, per anni, degli innocenti, nel secondo di fare uscire dei delinquenti certi. Processi brevi significano anche detenzioni preventive brevi. Oltre che certezza della pena.

La lunghezza interminabile dei processi impedisce anche di tutela re il segreto istruttorio che va ripristinato com’era nel vecchio Codice Rocco. Perché nella fase delle indagini preliminari delicata e necessariamente incerta, possono essere coinvolte, a qualsiasi titolo, persone che poi risulteranno del tutto estranee al procedimento ma la cui esistenza sarà stata nel frattempo fracassata dai media. Dopo il rinvio a giudizio arriveranno al dibattimento, pubblico, solo gli atti effettivamente utili al processo. Qui l’interesse privato alla riservatezza cede il passo all’interesse pubblico all’amministrazione della giustizia . Il segreto istruttorio, con pene pesanti per chi lo viola , pubblico ufficiale o giornalista, risolverebbe anche la dibattuta questione delle intercettazioni telefoniche. In una società complessa come la nostra le intercettazioni sono indispensabili non solo, come si dice, nei reati di mafia e terrorismo ma in molti altri casi (negli Stati Uniti il governatore dell’Illinois è stato sbattuto in galera, senza tanti complimenti, sulla base di intercettazioni).

2) Nomine dei dirigenti degli uffici. Attualmente queste cariche, di spettanza del Csm, vengono attribuite non per merito ma attraverso una vergognosa lottizzazione fra le varie correnti del l’Associazione magistrati. Queste correnti vanno proibite per legge. Ma non si risolve certamente il problema del merito inserendo nel Csm, come si vorrebbe da parte del governo, altri membri «la ici» di nomina politica perché questi operano secondo le stesse logiche lottizzatrici.

3) Rapporti fra potere giudiziario e politica. Gli uomini politici devono essere sottoposti alle leggi come tutti gli altri cittadini, senza guarentigie, privilegi, meccanismi di autotutela . Perché queste guarentigie avevano senso ai primi del Novecento quando un ministro si suicidava perché accusato di aver portato via un po’ di cancelleria dal suo ufficio, ma non lo hanno più oggi in una democrazia dove la cla sse politica è ampiamente corrotta e in Parla mento siedono settanta pregiudicati.

Massimo Fini
Fonte: http://www.massimofini.it/
Uscito su “Il gazzettino” il 12/12/2008

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