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“Estradizioni speciali” organizzate dal governo Usa e dalla Cia per far scomparire prigionieri accusati di legami con Al Qa’ida. Il ruolo dell’Italia

DI SERGIO FINARDI

L’8 Ottobre del 2002 un jet privato proveniente da Washington fa scalo a Roma, nella sua rotta verso Amman, Giordania. All’interno, vi sono un prigioniero, Maher Arar, cittadino canadese di origine siriana, e una squadra “speciale” statunitense addetta al “prelievo” e deportazione di presunti terroristi in Paesi ove – lontano da occhi indiscreti – i prigionieri vengono torturati, in particolare Giordania, Siria, Egitto, Uzbekistan e Marocco. Roma non obietta, anche se le operazioni connesse a quell’aereo stanno violando ogni norma di diritto internazionale sulla detenzione e sulla tortura. Un aereo differente ma, come vedremo, con simile uso – non è noto se con prigionieri o senza – decolla dall’aeroporto di Firenze Galileo Galilei l’1 Gennaio 2002 alla volta di Mildenhall (Gran Bretagna), via Francoforte. Nel 2003, nella seconda metà di febbraio, ancora l’Italia vede un altro caso simile, con il rapimento a Milano dell’imam egiziano Abu Omar, prelevato da agenti segreti e trasportato in una base militare italiana e poi “avviato” in Egitto con uno di quegli aerei speciali, evento ora oggetto di indagine da parte della Procura di Milano (Paolo Biondani, Corriere della Sera, 15 novembre 2004). Al governo, interrogato al proposito dagli onorevoli Deiana e Giordano di Rifondazione Comunista a metà novembre e (il manifesto 16 novembre 2004) dal senatore Falomi (Lista Di Pietro-Occhetto), tutto ciò non è noto, naturalmente. Più che altro finge che “non gli sia noto” che gli accordi stipulati dall’Italia, come da molti altri governi europei e non, con il governo statunitense in relazione alla collaborazione contro il terrorismo, hanno dato carta bianca all’Amministrazione statunitense. Tali accordi, contro ogni legge internazionale e nazionale, appoggiano un programma “speciale” di deportazione di sospetti terroristi che, già presente all’epoca di Clinton (Intelligence Support Activity o Isa), è stato modificato e potenziato dopo gli eventi dell’11 Settembre 2001. Occorre riferirsi alla Convenzione Onu contro la Tortura per comprenderne la natura*.

Deportazioni made in Usa

Il 13 novembre 2001, due mesi dopo l’attacco dell’11 Settembre, il presidente G. W. Bush firma il “Military Order on the Detention, Treatment, and Trial of Certain Non-Citizens in the War Against Terrorism” (detenzione, trattamento e processo di certi non-cittadini nella lotta contro il terrorismo), che apre le porte ai tribunali militari speciali (le cui sentenze, inclusa la pena di morte, non possono essere appellate) e alla indefinita detenzione senza obbligo di prova o processo di chiunque sia sospetto di aver nascosto un membro di al-Qa’ida o di essere «coinvolto o aver tramato atti di terrorismo internazionale». La “legislazione” ricalca quella speciale del ventennio fascista e i metodi che consente (ad esempio le prove segrete che non vengono mostrate all’imputato) sono quelli della Germania nazista e dell’Urss staliniana. Il 21 marzo 2002, il ministro della Difesa Rumsfeld emette le disposizioni che regolano l’attuazione di quell’ordine ed ora sappiamo che poco prima, il 7 febbraio, un memorandum segreto firmato da Bush dava carta bianca a torturatori e sequestratori di Stato: «Ho determinato che nessuna delle disposizioni di Ginevra (la Convenzione sul trattamento dei prigionieri di guerra, ndr) si applica al nostro conflitto con al-Qa’ida in Afghanistan o in qualsiasi altra parte del mondo». Il presidente, inoltre, autorizzava Rumsfeld a formare una unità segreta all’interno del Pentagono, di cui solo pochissimi erano informati alla Casa Bianca e alla Cia. Vi contribuiranno elementi “scelti” delle forze speciali dell’Esercito (Delta), della Marina (DevGroup) e paramilitari della Cia. Il suo primo obiettivo è la “cattura” di presunte figure-chiave del terrorismo internazionale. Sarà appoggiata da una flottiglia di aerei per le Operazioni Speciali.

Al tempo dell’ordine di Bush, comunque, il Congresso ha già fatto passare la legge nota con l’acronimo di Usa Patriot Act (“Uniting and Strengthening America by Providing Appropriate Tools Required to Intercept and Obstruct Terrorism”). Disposizioni liberticide, articolate in lunghi e complessi testi che sono già pronti una settimana dopo gli attentati. Vengono in certa misura da un tentativo fallito di far passare una legge anti-terrorismo simile nel 1996. Se lo Stato di Polizia è già in atto nelle questioni interne con il Patriot Act (si leggano al proposito le 25 sezioni del Titolo II e le 8 del Titolo V della legge, disponibili al sito della Camera dei Rappresentanti statunitensi), la guerra in Afghanistan e l’ordine militare presidenziale del Novembre producono all’estero una realtà da Stato di Polizia Internazionale.

Gli aerei della morte

Già il 23 Ottobre 2001 (Masood Anwar, The News International, Pakistan, 26 Ottobre; Alissa Rubin, Los Angeles Times, 28 ottobre) un’unità speciale statunitense si fa consegnare dai servizi segreti pakistani lo studente yemenita dell’Università di Karachi, Jamil Qasim Saeed Mohammed, sospettato nel caso dell’attentato contro la nave Uss Cole. Nella notte, arriva all’aeroporto di Karachi il Gulfstream-V (un aereo “business” dalle eccezionali prestazioni e capace di lunghi viaggi intercontinentali, ancora più lunghi nella sua versione militare) che porta il numero di registrazione N379P (N sta per Stati Uniti) e riparte con il prigioniero alla volta di Amman (Giordania). Dopo quella data nessuno saprà più niente di lui. Altre scomparse si succedono in rapida sequenza e persino il Washington Post (Rajiv Chandrasekaran e Peter Finn, 11 marzo 2002) ne scrive con toni assai critici al proposito di due altri “prelievi” illegali operati dalle stesse unità, in Bosnia e a Jakarta nel gennaio 2002 e relativi il primo a cinque cittadini algerini e uno yemenita e il secondo a un cittadino egiziano-pakistano, Muhammad Saad Iqbal Madni. Nel giugno 2002 il cittadino tedesco Mohammad Zammar, anch’egli sospetto di legami con al-Qa’ida e oggetto di una inchiesta dal 1998, viene preso in “custodia” dagli agenti statunitensi, portato in Marocco e poi in Siria, ove è imprigionato tuttora. Nell’Ottobre del 2002, in Malaysia, vengono sequestrati e portati in Egitto con le stesse modalità Abu Hani, Abdul Gafar e Sabri Ghila (Paolo Biondani, Guido Olimpio, Corriere della Sera, 2 dicembre 2004). Nel novembre 2002, ancora lo stesso Gulfstream-V vola a Banjul, Gambia, e porta agenti della Cia che “interrogheranno” quattro uomini fermati all’aeroporto dai servizi segreti, tra cui vi è un cittadino britannico, Wahab Al-Rawi, cui viene negata illegalmente ogni assistenza consolare e che verrà in seguito rilasciato, mentre il fratello Basher, cittadino iracheno, verrà deportato a Guantanamo e lì lasciato senza elevargli alcun capo d’accusa.

Nel tempo, la cosa assume proporzioni tali che le principali organizzazioni umanitarie si mobilitano, ad esempio con la circostanziata denuncia di Michael Ratner del “Center for Constitutional Right” di New York nel Marzo 2003 e, nell’agosto, di Amnesty International (United States America: The Threat of a Bad Example). Si susseguono altre denunce, tra cui quelle di Human Rights Watch e dello New Zeland Herald (Andrew Buncombe e Kim Sengupta, 13 maggio 2004), in cui vengono elencati molti dei Paesi d’origine dei “prigionieri” posti in carceri segrete dagli Stati Uniti e calcolati nell’ordine dei diecimila.

La serie La Promessa Spezzata – del programma “Kalla Fakta” (Freddi Fatti) della TV4 svedese (17 e 24 maggio, 13 settembre, 22 novembre 2004) – aggiunge poi decisivi particolari a tutta la vicenda e minuziosamente documenta la complicità delle autorità svedesi e dei servizi segreti nell’illegale “estradizione speciale” di Muhammed Al Zery e Ahmed Agiza, cui era stato garantito l’asilo perchè perseguitati e torturati in Egitto. I due, portati all’aeroporto di Stoccolma (Bromma) il 18 dicembre 2001, verranno consegnati ad un’unità statunitense che li porterà nelle braccia degli egiziani dove, nell’infame prigione di Masra Tora, a sud del Cairo, verranno ripetutamente torturati. Prove manipolate o inventate, documenti distorti, vergognosi tentativi di depistaggio durante le inchieste di TV4, ancora quell’aereo N379P, dato in leasing al Pentagono e alla Cia da una società statunitense, la Premier Executive Transport Services, con uno degli autori del programma, Fredrik Laurin, riesce brevemente a parlare. Dopo due anni e mezzo nell’inferno delle carceri egiziane, nell’ottobre 2003 Muhammed Al Zery viene prosciolto da ogni accusa, mentre Ahmed Agiza viene condannato a 15 anni da un tribunale militare egiziano (15 minuti di camera di Consiglio) sulla base di una precedente condanna in absentia in un maxi-processo intentato nel 1999 contro dissidenti islamici del regime di Mubarah.

Una storia nota da tempo

Difficile sostenere che gli eventi legati alle azioni delle squadre statunitensi non siano noti da tempo. I temi dell’inchiesta svedese vengono infatti variamente ripresi in conferenze pubbliche e da molti organi di stampa, tra cui lo statunitense Znet (Tony Johansson, 25 Maggio); il londinese Guardian (9 Settembre) e ancora il Guardian (13 Settembre) con un articolo del famoso giornalista statunittense Seymour Hersh (che nel 1969, durante il conflitto vietnamita, espose il massacro di civili a My Lay e i tentativi di insabbimaneto di un giovane vice-assistente dello stato maggiore statunitense a Chu Lai, Colin Powell); il Village Magazine irlandese (Michael McCaughan, 2 Ottobre, sull’uso dell’aeroporto di Shannon per le operazioni speciali); il Sunday Times (Scott Millar, 3 Ottobre); ancora Seymour Hersh in una infuocata conferenza a Berkeley (8 Ottobre) che anticipa i temi del suo ultimo libro “Chain of Command: the road from 9/11 to Abu Ghraib” (Penguin Press); l’International Herald Tribune (Reed Brody, 11 Ottobre), varie pubblicazioni su Internet; il Washington Post (Dana Priest, 24 Ottobre) sul memorandum segreto con cui nel Marzo 2004 il dipartimento della Giustizia statunitense esprimeva alla Cia un parere favorevole alle “estradizioni speciali” dall’Iraq; infine ancora il Sunday Times, con un articolo-inchiesta di Stephen Grey il 14 Novembre, subito variamente ripreso anche in Italia, tra altri, dal Corriere, da il manifesto e dalla Stampa.
Nell’articolo di Grey, basato sull’acquisizione dei documenti di volo dell’N379P e su informazioni relative ad un altro aereo con simili incarichi, l’N313P (un Boeing 737-7ET), si afferma che l’N379P avrebbe volato verso 49 diverse destinazioni (di cui si dà un parziale elenco relativo a otto Paesi) fuori del territorio statunitense, per un totale di 300 voli. Nello stesso articolo si riprendono le rivelazioni della TV4 svedese rispetto alla proprietà dell’N379P e si aggiunge che anche l’N313P è stato dato in leasing al Dipartimento della Difesa (e alla Cia) dalla stessa società, la Premier, con entrambe gli aerei abilitati ad atterrare in basi militari usa.

Il codice cancellato

L’articolo di Grey, tuttavia, non dice niente sul cambio di registrazione dell’ex-N379P, operato nel gennaio 2004, e invano oggi si cercherebbe un aereo con la registrazione di cui hanno parlato tutti i giornali, nonostante un bravo bloggista Internet, Gordon Housworth (Intellectual Capital Group) avesse già posto il 14 novembre stesso su un sito la notizia del cambio di registrazione e avesse correttamente individuato il nuovo numero: N8068V.

Stranamente, nemmeno un successivo articolo di Farak Stockman (Boston Globe, 29 Novembre) sulla Premier riporta il nuovo numero di registrazione, sebben dica che esso è avvenuto dopo che il 29 gennaio 2004 la fantomatica vicepresidente della società, Coleen A. Bornt, aveva scritto alla Faa (Federal Aviation Administration) richiedendo il cambio, data la pubblicità fatta dalle varie inchieste menzionate al vecchio numero di registrazione. Tutto ciò che si sa della Premier, dice l’articolista, è che essa è una società fantasma con indirizzo in Massachusetts, a Dedham (339 Washington St., suite 202). L’indirizzo della società – incorporata nel 1994 nel paradiso fiscale dello stato del Delaware, indi in Massachusetts nel 1996 – non era tuttavia altro che quello di un agente legale, Dean Plakias, che rappresentava la società (ma che non aveva sottoposto allo Stato la richiesta documentazione annuale sull’attività del cliente dal 2000). Ancora secondo l’articolo, il presidente della Premier sarebbe stato un tal Bryan P. Dyess, con solo una casella postale assegnata al suo stesso nome in Arlington, Virginia, 7 miglia dal Pentagono. Sfortunatamente, anche la vicepresidente, Coleen Bornt non aveva altro che una casella postale in Maryland come indirizzo. La Bornt e Dyess, nonostante i loro 54 e 48 anni di età rispettivi, avevano ricevuto il loro numero di Social Security (l’unico documento di identità ufficiale) a metà degli anni 90, segno evidente che gli era stata assegnata una “nuova” identità in quel periodo.

E’, tuttavia, dal gennaio 2004 che chi si occupa professionalmente di queste cose, come chi scrive, aveva registrato il cambio del Gulfstream da N379P a N8068V, dato che tale cambio è documentato in varie fotografie ed è scritto per il 18 gennaio nei ruolini di presenza dell’aeroporto di Francoforte (scalo molto frequente per questi aerei) e per il 26 in quelli dell’aeroporto di Ginevra (quindi anche prima della presunta lettera citata dal Boston Globe).

Manco a dirlo, mentre uno degli aerei, il Boeing 737-7TE, rimane registrato con la Premier, l’altro – il Gulfstream V con la registrazione N8068V – viene “passato” l’1 Dicembre 2004 ad una società dell’Oregon, un’altrettanto fantomatica Bayard Foreign Marketing LLC, domiciliata in 921 SW Washington Street a Portland, presso uno studio legale (Jordan, Caplan & Etter). Scott D. Caplan ne è dato come legale rappresentante e un certo Leonard T. Bayard come membro. Anche il signor Bayard non ama i seccatori, dato che non ha un indirizzo o un numero di telefono noti intestati a suo nome in tutti gli Stati Uniti.

Un deputato statunitense del Massachusetts, il Democratico Edward J. Markey, ha da tempo promosso – insieme a molti gruppi umanitari, tra cui Human Rights Watch – una campagna per introdurre in Congresso una legge che renda esplicito il divieto delle “estradizioni speciali” e proprio in questi giorni la campagna ha ripreso vigore in occasione del passaggio della nuova legge sui servizi segreti.

E in Italia? Il governo “non sa”. Forse perchè in Italia non c’è bisogno di aerei speciali, di destinazioni esotiche, o di essere sospetti terroristi per morire in carcere, massacrati di botte dalle squadrette speciali. Tra molti altri, Francesco Romeo, carcere di Reggio Calabria, 1997, “caduto” da un muro per le auotirità, ma con segni evidenti di tortura sul corpo; e Marcello Lonzi, Luglio 2003, carcere-lager delle Sughere a Livorno, “trovato” in cella in un mare di sangue, il corpo coperto di manganellate, un cranio violentemente percosso, ma per le autorità morto “per infarto dopo aver picchiato la testa contro un termosifone”, caso archiviato. Un’idea che piacerebbe molto ai servizi egiziani se solo avessero i termosifoni.

Sergio Finardi 
Fonte:www.liberazione.it
14.12.04

  

Partenze e destinazioni dei voli della tortura
Gli aerei

*Boeing 737-7ET (BBJ), numero di registrazione N313P, numero di serie 33010 (2001), in ordine alla NetJets e come N313P registrato da Stevens Express Leasing e dalla Premier Executive Transport Services (Massachusetts) in leasing al Flight Department della Occidental Petroleum, operato dalle unità speciali.

*Gulfstream V, numeri di registrazione successivi N581GA, N379P, N8068V, numero di serie 581 (1999), in leasing dalla Premier alle unità speciali, passato il 1 dicembre 2004 alla Bayard Foreign Marketing LLC (Oregon).

I voli

Sono documentati una sessantina di passaggi dall’Ottobre 2001 al Dicembre 2004 in vari aeroporti (Francoforte; Ginevra-Cointrin; Glasgow-Prestwick; Karachi; Malta-Luga; Oporto; Palma de Mallorca; Praga, Shannon, Irlanda; Stuttgart; Tulsa Oklaoma), ivi compreso il passaggio in provenienza da Firenze Galilei con destinazione Mildehall (G. B.) l’1 Gennaio 2002.

Frequenti origini/destinazioni gli aeroporti di Washington Dulles; Andrew Air Force Base a Camp Springs (Maryland); Bangor Int. Airport e Brunswick Naval Air Station (Maine); San Francisco, negli Stati Uniti. Indi: Abu Dhabi (Emirati); Amman International e Amman-Marka (Giordania); Amsterdam-Schiphol (Olanda); Baghdad (Iraq); Baku (Azerbaijan); Dubai (Emirati); Diyarbakir (Turchia Orientale); Islamabad (Pakistan); Karachi (Pakistan); Kuwait City (Kuwait); Praga (Repubblica Ceca); RAF Northolt (Gran Bretagna); Rabat (Marocco); Riyadh (Arabia Saudita); Tashkent (Uzbekistan); Tripoli (Libia).

Quasi sempre compresenti all’aeroporto di Francoforte aerei militari come il C37A (versione militare del Gulfstream V), il C-20G (Gulfstream IV), l’ UC35A (Citation 560 Ultra V); aerei cargo come il C-17ª (Globemaster) e il C-5A/B Galaxy.

*Cosa dice la Convenzione contro la Tortura

L’Italia (1989) e gli Stati Uniti (1994), oltre ad un’altra settantina di Paesi sono firmatari della “Convenzione contro la Tortura ed altri Metodi di Trattamento e Punizione Crudeli, Inumani e Degradanti”, entrata in forza nel Giugno del 1987 in ambito ONU. In tale Convenzione, l’articolo 1 dice tra l’altro: “Per i fini di questa Convenzione, il termine ‘tortura’ indica ogni atto dal quale possa derivare intenso dolore o sofferenza,, sia psichica che fisica, intenzionalmente inflitto su una persona al fine d’ottenere da quella o da una terza persona una informazione o una confessione [… ]”. L’articolo 2 afferma; “Ogni Stato firmatario si impegna a prendere [ogni] misura per prevenire atti di tortura nel proprio territorio. [… ] Nessuna circostanza eccezionale, stato di guerra o minaccia di guerra, instabilità interna o alcun altra emerenza pubblica, può essere invocata come giustificazione della tortura [… ] Un ordine da un superiore o da una autorità pubblica non può essere invocato come giustificazione della tortura”. L’articolo 3 recita: “Nessuno Stato firmatario espellerà, ritornerà o ordinerà l’estradizione di una persona verso un altro Stato per cui vi sia prova sufficiente per credere per la persona sarà in pericolo d’essere torturata. ” Tuttavia, la totalità degli Stati verso cui i sequestrati dalle unità speciali statunitensi e dai servizi segreti dei vari Paesi sono stati mandati per “essere interrogati” sono inclusi – come gravi violatori di diritti umani e praticanti la tortura sui prigionieri – nel rapporto che il Dipartimento di Stato statunitense prepara annualmente sulla condizione dei diritti umani nel mondo. Il programma di “Extraordinary Rendition”, come è chiamato (Estradizione Speciale), viola in modo flagrante la Convenzione contro la Tortura e la stessa Costituzione degli Stati Uniti, che sino ad ora nemmeno le norme liberticide contenute nel famoso Patriot Act hanno modificato.

Se così dunque stanno le cose, la “collaborazione” in atti di illegale “estradizione” di persone, siano esse innocenti o non innocenti, verso Paesi che praticano la tortura (ed è soltanto questa la ragione per cui i “prigionieri” vi vengono avviati, chè altrimenti non vi sarebbe alcuna ragione di non trattenerli eventualmente nel Paese ove si trovano) è collaborazione con atti di pirateria internazionale e come tali dovrebbero essere trattati. Nient’affatto. Oltre all’Italia, altri Paesi firmatari della Convenzione, come la Svezia, la Gran Bretagna, l’Egitto, la Giordania, la Germania, il Marocco, l’Uzbekistan, la Siria, la Spagna, il Portogallo, la Repubblica Ceca, l’Olanda, Singapore, per citarne solo alcuni, hanno collaborato attivamente a quegli atti.

LEGGI ANCHE:L’“AEREO DELLE TORTURE”

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