Di CAROLYN BAKER
carolynbaker.net
Intervista a James Howard Kunstler
“Tutti hanno un piano, finché non gli arriva un pugno in faccia.”
Mike Tyson
“Un modo conciso per definire dove si trova ora il nostro Paese, e forse l’intero mondo civilizzato”, nota lo scrittore James Howard Kunstler (nella foto).
Siamo già oltre la boa del picco del petrolio mondiale, dice Kunstler nel suo nuovo libro, Too Much Magic: Wishful Thinking, Technology and the Fate of the Nation (Troppa magia: il pensiero illusorio, la tecnologia e il destino della Nazione) e ci aspettiamo che la tecnologia venga a salvarci. Sia nel caso che il nostro stile di vita, tenuto in piedi dal petrolio a buon mercato, crolli in un sol soffio come un castello di carte, sia che esso si sfasci lentamente come un motore che perde colpi, di una cosa Kunstler è sicuro: stiamo per finire al tappeto.
Siamo decisamente entrati nell’epoca che Kunstler definisce “la lunga emergenza”, una lunga era di contrazione economica e tensioni sociali, causata dalla diminuzione delle nostre risorse. Ancora ci rifiutiamo di vederlo, in gran parte a causa dei poderosi sistemi di magie tecnologiche che ci tengono ammaliati. Il picco del petrolio ti preoccupa? Tranquillo, il tuo IPad lo faremo funzionare con nuove, inesauribili fonti di energia ancora da scoprire.
Gli scrittori Paul Smyth e Judy George hanno discusso con Kunstler la fine dell’era dei combustibili fossili, e i possibili sviluppi.
Lei parla del Pensiero Magico in due modi: non solo pensiamo di poter risolvere tutti i problemi energetici con le nuove tecnologie, ma viviamo addirittura questa credenza come una fede assoluta.
Le due idee sono correlate, e credo che gli elementi di entrambe debbano essere contestualizzati storicamente. Negli ultimi 150 anni abbiamo assistito ad una galoppata di prodigi e meraviglie tecnologiche, tale da auto programmarci letteralmente a pensare che la galoppata continuerà all’infinito. La sequenza di eventi – il telefono, la lampadina, corrente elettrica in ogni casa, l’aereo, figure in movimento, la televisione, il computer e mille altre acquisizioni del genere umano- ci hanno programmati a pensare che esiste un’infinita sorgente di magie tecnologiche che può superare qualsiasi ostacolo.
Penso che stiamo arrivando alla fine dell’era tecnologica così come l’abbiamo conosciuta -nel senso di come l’ho appena descritta, l’aspettativa di un’infinita magia. E credo che per la nostra cultura sarà uno shock enorme.
Perché uno shock?
Non penso che quello che stiamo fronteggiando ora sia paragonabile all’età medievale, successiva al crollo dell’impero Romano. Il Medioevo era caratterizzato da profusa ignoranza e mancanza di conoscenza e tecnica in tutti i campi, dalla produzione di ceramica alla stessa, concreta modalità di organizzazione del lavoro.
La nostra attuale situazione è potenzialmente molto più pericolosa per la cultura, proprio perché il nostro condizionamento alla credenza tecnologica è così estremo. La delusione sarà tremenda, nel momento in cui diventerà palese che non possiamo risolvere i nostri problemi energetici con secrezioni di alghe marine, solare, eolico o altri combustibili alternativi -o meglio, che di sicuro non faremo mai funzionare Disney World, la rete autostradale, i grandi magazzini Walmart o l’apparato militare con una qualsiasi combinazione di energie alternative.
Quindi che cosa succederà?
Questa situazione implica una potenziale distruzione del nostro senso della realtà. E’ difficile prevedere che tipo di reazione possa innescare, ma credo che avremo una società talmente sfiduciata nei confronti della scienza e della tecnologia, da piombare in un nuovo Medioevo di superstizione.
Cos’è cambiato oggi rispetto al 2005, l’anno del suo primo libro, La lunga emergenza?
Per prima cosa è chiaro che i problemi attuali di concentrazione di capitali e crollo del sistema bancario stanno mettendo in secondo piano quelli di scarsità di risorse e picco del petrolio, nel senso che stiamo rapidamente perdendo la capacità di finanziare la ricerca e la produzione di quelle nuove fonti energetiche, che si sperava avrebbero compensato il picco del petrolio.
In secondo luogo, avevo già osservato in La lunga emergenza quanto fosse avanzato il grado di delirio raggiunto da quelli che si scontrano con la difficile realtà. Quando leggi in un articolo del New York Times, ovvero il giornale più letto in assoluto, che nei prossimi anni gli Stati Uniti potrebbero diventare un paese esportatore energia, ti rendi conto che c’è un grosso problema, che probabilmente coinvolge l’intera classe intellettuale degli Stati Uniti.
In che senso?
Quando la società subisce forti stress, il pensiero delirante aumenta. Siamo esattamente in questa fase.
Quando entri nel pensiero delirante, inizi a raccontarti un mare di bugie e di cose inventate. E’ un processo pericolosamente contagioso. E una volta che cominci ad applicarlo ad argomenti come sistema bancario e produzione di denaro, e a svilupparlo nella forma pratica di una frode contabile, la tua società e la tua cultura sono davvero in pericolo.
Questo problema influenza tutte le aree dell’esistenza pratica, incluse politica, mondo degli affari, media, educazione – così vai a finire, ad esempio, con il presidente degli Stati Uniti che sostiene pubblicamente che abbiamo riserve di gas naturale per 100 anni. Pura invenzione. E come conseguenza, hai una società che non riesce a prepararsi per la realtà, il vero futuro.
Se accettiamo il picco del petrolio come realtà -e il dibattito ancora infuria-, significa che ci servirà qualcos’altro per tenere accese le luci. In La lunga emergenza, lei ripone le sue speranze nel nucleare, per supportare una transizione verso quello che giudica un inevitabile declino.
Già nel 2005 avevo impressioni contrastanti sull’uso dell’energia nucleare. Ovviamente, i rischi erano monumentali. Il punto su cui mi concentrai allora era il fatto che, probabilmente, il nucleare sarebbe stato l’unico modo di mantenere in funzione la corrente elettrica dopo un certo punto, e credo che sia ancora assolutamente vero.
Ma ora non penso sia più possibile farlo, per più di un motivo. Una è il fiasco di Fukushima, che ha creato un clima di opposizione totale, anche in tempi di crisi. Ma allora c’era ancora in questione una finestra di opportunità per la creazione di un programma nucleare con nuovi impianti, finestra che ora si sta chiudendo, se non è già chiusa.
Un altro sviluppo inaspettato è il fatto che, con i problemi di formazione del capitale così estremi che abbiamo avuto negli ultimi cinque anni, anche se avessimo il consenso e la volontà di progettare impianti di nuova generazione, probabilmente non avremmo modo di finanziarli.
Il suo messaggio -che stiamo andando verso un riassetto della società in comunità rurali, e che vivremo in modi che non vediamo più da svariate centinaia di anni- spesso non viene recepito correttamente. Lei come si è preparato per il futuro che vaticina?
Io credo nell’affrontare il futuro con speranza. Mi sono trasferito da una cittadina, piccola ma di un certo successo, Saratoga Town, in un ancora più piccolo e decrepito villaggio contadino a 15 miglia verso est. Ho comprato tre acri di terra con l’intenzione di coltivarci un sacco di cibo. Ho messo su un piccolo orto di sussistenza su cui sto ancora lavorando.
Ho scelto di vivere in un posto che mi piace. Passo molto tempo a fare musica con i miei amici. Sto anche mettendo un impegno continuo nel creare una rete di rapporti sociali. Sto pensando di creare un piccolo business che potrebbe vertere su caffè e prodotti locali, ma per il momento si trova allo stadio larvale.
Carolyn Baker
Fonte: http://carolynbaker.net
Link: http://carolynbaker.net/2012/09/09/our-years-of-magical-thinking-an-interview-with-james-howard-kunstler/
9.09.2012
Traduzione a cura di PUNDAMYSTIC per www.comedonchisciotte.org