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I MOSTRI SONO QUA

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A cura di Truman
Il 19 Luglio 2007
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blankDI JASON MILLER

Best Cyrano

L’America non va all’estero in cerca di mostri da distruggere
John Quincy Adams

Anche se non è certamente a questo che pensava, l’affermazione di Adams ci ricorda una verità che ogni giorno ci viene riproposta da un oceano di lacrime, da fiumi di sangue e da una montagna di resti umani. Lasciandosi dietro una scia di morti, caos e miseria, l’America “va all’estero“, ma non, come dice Adams, “in cerca di mostri da distruggere“: anche se viveva nel bel mezzo del genocidio degli aborigeni americani e dell’ignobile traffico di schiavi, Adams non si rese conto che la stessa America è un mostro.

E proprio come la maggior parte dei mostri che vivono al di fuori dei confini dell’immaginazione, dei testi scritti, della celluloide o della realtà digitale, gli Stati Uniti e i suoi abitanti sembrano a prima vista innocui e banali. In effetti, sarebbe forse più corretto dire che un buon numero di persone ci vedono ancora come degli eroi, rivestiti come siamo da una illusoria patina di libertà e democrazia.

Dovreste chiedervi perché siamo così sorpresi quando scopriamo che il presunto killer BTK [a Wichita] risulta essere qualcuno che vive tra di noi, lavora nella nostra parrocchia ed è un capo scout”, afferma Daryl Koehn, docente di etica all’Università St. Thomas di Houston e autrice del recente volume “La natura del diavolo”. “Vogliamo che il diavolo sia un mostro”, sostiene, “perché se è un mostro allora per definizione non assomiglia a noi“.
“Calling Evil by Name” in Christian Science Monitor (3/10/2005)

[Pastello su Carta: “Consumismo rapace” di Ric Hall e Ron Schmitt]
La locuzione “vita, libertà e ricerca della felicità” usata da Jefferson nella nostra Dichiarazione d’Indipendenza rappresenta in effetti un’evoluzione di altre due: “vita, libertà e proprietà” di Locke e “vita, libertà e ricerca della proprietà” di Adam Smith. Quest’ultima era ancora presente nella Dichiarazione dei diritti coloniali elaborata dal Primo congresso continentale del 1774. Negli Stati Uniti agiamo in modo mostruoso perché, nonostante la nuova formulazione di Jefferson, non abbiamo abbandonato le visioni di Locke e di Smith e sentiamo un legame inestricabile tra la nostra felicità e il livello di successo materiale che abbiamo ottenuto.

Formatosi nel contesto del capitalismo, diventato brutale al di là di ogni possibile comprensione mentre lotta contro la sua inevitabile autodistruzione, il nostro incessante attaccamento all’ “inalienabile diritto” alla “vita, libertà e ricerca della felicità” mira soprattutto a migliorare la nostra esistenza (e che gli altri vadano al diavolo!), a riempire con tutto il “ciarpame” che riusciamo a procurarci le case per il cui acquisto ci siamo indebitati fino al collo, a soddisfare qualsiasi capriccio edonistico consentito dalla legge, e oltre.

Difficilmente perseguiamo quella forma spirituale di felicità cui probabilmente alludeva Jefferson. In un paese in cui è ben raro che l’Io venga posposto al Noi e in cui i diritti di proprietà prevalgono sull’umanità, noi statunitensi ci concentriamo interamente su “me” e siamo determinati a risultare vincitori, avendo a disposizione quanti più ammennicoli possibile.

Ogni giorno, circa 24.000 persone muoiono di fame o per malattie legate alla fame. I tre quarti sono bambini di età inferiore ai 5 anni“.
—The Hunger Project, Nazioni Unite, autunno 2003

In questo paese potete orientarvi usando i chioschi di hamburger come i navigatori usano le stelle“.
—Charles Kuralt

Pensate per un momento a questi 24.000 esseri umani: ogni giorno per malnutrizione e fame muoiono tre volte più uomini di tutti quelli che abbiamo perso durante la nostra illegale e sanguinaria invasione dell’Iraq dal 2003 in poi. E, come ha sottolineato Charles Kuralt, negli Usa le cibarie non mancano: ristoranti fastfood, progenitori di numerosi demoni, tra cui imprese agricole, Mcjob, corporativizzazione della cultura, e imprese “dei rifiuti“, sono praticamente dappertutto. Noi yankee “amiamo” a tal punto questa situazione che le fermate alle pese sulle autostrade potrebbero diventare obbligatorie: 4 milioni di cittadini sono obesi e altri 3 sono molto grassi.

Ironia della sorte, siamo estremamente egoisti e concentrati su noi stessi: non solo usiamo il nostro immenso peso militare ed economico per estorcere e obbligare il resto del mondo a destinare alla nostra percentualmente esile popolazione uno scandaloso quarto delle risorse mondiali, ma permettiamo che affamati e senzatetto esistano in seno alla nostra stessa società!

La televisione – al tempo stesso la nostra finestra su un mondo deformato e il richiamo ammaliatore che lacera viziosamente le nostre anime sulla costa dentellata dell’Isola dell’avarizia, dove finiamo per ritrovarci spiritualmente divorati dalla bestia chiamata Consumismo – agisce da potente catalizzatore dell’adorazione americana per lo shopping.

Mentre le multinazionali violentano e sfruttano i paesi in via di sviluppo, l’insana e superfinanziata macchina di morte diffonde massicciamente il terrore con spirito di vendetta, gli illustri rappresentanti a Wall Street riforniscono di uomini i bastioni del capitalismo predatorio, il quasi completamente corrotto governo protegge e mette in primo piano gl’interessi di una plutocrazia cinica (con i media a coprirle le spalle), noi statunitensi ignoriamo la nostra coscienza (resa comunque virtualmente impotente dopo che ci è stato propinato il concetto dell’Eccezionalità americana) e perseguiamo la “felicità” con acquisti in serie. Quale miglior sistema per iniettare nelle nostre vite una massiccia dose di nirvana istantaneo senza aggiungerci ai 300.000 utilizzatori di droghe leggere che riempiono le carceri americane?

Indipendentemente dalla sua legalità, la bellezza dello shopping sta nella facilità con cui possiamo ottenere il meglio di quanto viene offerto. Basta munirci di un pugno di carte di credito (facili da ottenere se trascuriamo ovviamente gli interessi da usura che dobbiamo accettare), saltare nel nostro SUV (in origine pensato per il trasporto pubblico ma che a un certo punto si è trasformato in strumento di trasporto privato), e precipitarci verso il più vicino smisurato e accogliente centro commerciale (chi ha detto che la scala verso il paradiso ha solo tre scalini?)

Una volta sul posto è probabile che viviate una profonda esperienza mistica, ad esempio:

Dopo essere entrati nel centro commerciale, la vostra attenzione viene catturata da un chiosco che espone costosi occhiali da sole. Un paio in particolare attirano la vostra attenzione. Cedendo a un impulso di narcisistica beatitudine, li inforcate e date uno sguardo alla vostra immagine riflessa in uno dei tanti specchi che il venditore mette generosamente a vostra disposizione. Sorridendo con soddisfazione, vi dite che questo modello da 300 dollari di Dolce e Gabbana vi ha trasformato in un “killer”. I principi di Madison Avenue con cui siete stati indottrinati vi convincono che ve li meritate e che ne avete bisogno per far capire alla gente quel che valete. Così, ovviamente, li comprate. Miei cari amici, siete appena passati a un livello dell’esistenza più elevato nel paradiso degli acquisti.

In un giorno di shopping veramente buono, ci troviamo nel bel mezzo di un mondo incantato in cui la linea di separazione tra realtà e Sogno americano diventa molto sfumata. Un sofisticato centro commerciale nell’America suburbana è il posto giusto dove passare il pomeriggio del fine settimana, se sognate di essere una “persona in“: bianca, finanziariamente solida, attraente, una delle poche persone al mondo che realmente contano.

E comunque, per tutti gli altri – per quelli che rifiutano di lasciare la presa mortale sul biglietto perdente della lotteria che il nostro pensiero incantato ci fa credere essere quello vincente – resta un sacco di spazio. Perché non siamo disposti a staccarci da un sogno irrealizzabile? Perché ci vediamo come una nazione piena di emuli di Horatio Alger. “La bella vita” è dietro l’angolo, basta lavorare duro per arrivarci. Questa perniciosa menzogna è talmente potente che devono strapparci il metaforico biglietto della lotteria dalle nostre “fredde e morte mani“.

Con l’ostentazione, gli ornamenti, lo stile di vita, il comportamento, osservando e facendosi osservare, e soprattutto compiendo scrupolosamente il proprio patriottico dovere verso Dio, il paese e i commercianti, questo “meraviglioso popolo” indica la strada a tutti noi altri. È difficile pensare a qualcosa che ci “ispiri” più di questi individui, straviziati e privilegiati, che stipano le loro Hummer con sacche griffate e riempite di capi come Abercrombie, Neiman Marcus, the Limited, Nordstrom, e Saks, che consentono loro di essere in prima linea nel campo della moda, usare i gadget elettronici più moderni, essere migliori dei vicini, e avere più cose per smorzare l’eco nelle loro case, opulente ma comuni, abbastanza grandi da poter ospitare cinquanta persone ma spesso riempite solo da pochi individui.

Che facciamo o meno parte di questa “elite benedetta” dell’umanità, come cittadini statunitensi e buoni patrioti abbiamo l’obbligo di comprare. Ricordate? Comprare è stata la prima “misura antiterroristica” dopo l’11 settembre. Il nostro stile di vita dipende dai nostri portafogli e dalla nostra voglia di spalancarli.

Se veniamo meno al sacro dovere di indulgere ai nostri desideri a spese dell’umanità e della Terra, miei cari lettori, il mondo che conosciamo cadrà nelle mani delle “orde islamiche“, dei “comunisti senza Dio” e degli “invasori ispanici“.

Fino a quando ingordigia, autocompiacimento, egoismo e consumismo continueranno ad essere così profondamente radicati nella nostra struttura socioculturale, l’intera collettività americana sopravviverà come testimonianza vivente dell’osservazione di Victor Hugo “le avversità forgiano gli uomini, la prosperità i mostri“.

Jason Miller , uno schiavo salariato dell’Impero americano che si è liberato delle sue catene intellettuali e spirituali, è editore associato di Cyrano’s Journal Online (http://www.bestcyrano.org/) al cui interno cura il Thomas Paine’s Corner (http://www.bestcyrano.org/THOMASPAINE/). Potete contattarlo all’indirizzo [email protected].

Fonte: www.bestcyrano.org
Link: http://www.bestcyrano.org/THOMASPAINE/?p=124
6.07.07

Traduzione per www.comedonchisciotte.org di CARLO PAPPALARDO

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