DI MANLIO DINUCCI
ilmanifesto.it
Come dono emblematico della rinnovata «amicizia italo-libica», ad opera dei nuovi governi dei due paesi, il premier Mario Monti ha riportato in Libia la testa di Domitilla, che qualcuno aveva rubato vent’anni fa decapitando un’antica statua. Di teste tagliate, Monti in effetti se ne intende. Prima di ricevere l’investitura dal presidente Napolitano, ha fatto parte per anni della banca statunitense Goldman Sachs, le cui speculazioni (tra cui la truffa dei mutui subprime) hanno provocato tagli di posti di lavoro e di vite umane (con l’aumento dei prezzi dei cereali).
Come consulente, scrive Le Monde, egli aveva «l’incarico di apritore di porte, per sostenere gli interessi della Goldman Sachs nei corridoi del potere in Europa». Interessi non solo economici ma politici: i padroni della banca fanno parte della onnipotente élite finanziaria, organizzata quale governo ombra transnazionale, nelle cui stanze segrete si decidono non solo le grandi operazioni speculative, come l’attacco all’euro, ma anche quelle miranti a sostituire un governo con un altro più utile.
È qui che è stato deciso di far cadere policamente la testa di Berlusconi: un affarista molto utile per lo smantellamento della cosa pubblica e le «liberalizzazioni», resosi però inviso per i suoi accordi economici con la Libia di Gheddafi e la Russia di Putin. Divenuto scomodo quando, come rivela il Washington Post, si è infuriato per la mossa della Francia di attaccare per prima la Libia il 19 marzo, minacciando di togliere agli alleati l’uso delle basi italiane.
Richiamato dalla Clinton, è rientrato nei ranghi e l’Italia, stracciato il trattato di non-aggressione con la Libia, ha svolto «con onore» il suo ruolo nella guerra. Ciò non ha però salvato Berlusconi: abbandonato e deriso dagli alleati, ha dovuto mettere lui stesso la testa sotto la ghigliottina quando, con la regia del governo ombra transnazionale, i «mercati» hanno minacciato di far crollare il suo impero economico. E in queste stesse stanze segrete è stato deciso di far cadere la testa di Gheddafi, materialmente, demolendo lo stato da lui costruito e assassinandolo.
Non a caso la guerra è iniziata con l’assalto ai fondi sovrani, almeno 170 miliardi di dollari che lo stato libico aveva investito all’estero, grazie ai proventi dell’export petrolifero che affluivano per la maggior parte nelle casse statali, lasciando ristretti margini alle compagnie straniere. Fondi investiti sempre più in Africa, per sviluppare gli organismi finanziari dell’Unione africana (la Banca di investimento, il Fondo monetario e la Banca centrale) e creare il dinaro d’oro in concorrenza al dollaro. Progetto smantellato con la guerra, decisa, prima che dai governi ufficiali, dal governo ombra di cui fa parte la Goldman Sachs. Nella quale oggi non ha più, formalmente, alcun incarico quel Mario Monti che, in veste di capo del governo italiano, è sbarcato a Tripoli, accompagnato dall’ammiraglio Di Paola, oggi ministro della difesa, che, come presidente del Comitato militare della Nato, ha svolto un ruolo di primo piano nella guerra alla Libia. Hanno portato in dono la testa di Domitilla a un «governo» creato artificiosamente dalla Nato, con il compito di tagliare (materialmente) le teste di quanti vogliono una Libia indipendente dal nuovo colonialismo.
Manlio Dinucci
Fonte: www.ilmanifesto.it
24.01.2012