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La Redazione

 

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I ''LIBERI'' IRACHENI STANNO ASPETTANDO CHE IL VENTO CAMBI

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A cura di Davide
Il 3 Febbraio 2005
35 Views

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“Per avere un pasto decente dobbiamo andare a un funerale.”

DI ROBERT FISK

Baghdad – Ieri il vento è penetrato a Baghdad, ha strappato i manifesti affissi ai muri, ha provocato mille mulinelli fra i negozi con le serrande abbassate di Rashid Street, ha fornito una nuova giustificazione per i cappucci e le maschere nere indossate dai poliziotti a Tahir Square.
Tahir, “indipendenza”, è la parola per la quale domenica molti hanno votato, non si è trattato di “democrazia”, come hanno riferito i media occidentali, ma si tratta di libertà, libertà di parola, libertà di voto, libertà dagli americani.
Gli americani erano a Baghdad anche ieri, a Kerada circolavano con i loro Humvees , sopra la città volavano con gli Apache e con gli elicotteri da ricognizione Sioux, simili a vespe.
Per conoscere il risultato delle elezioni dovremo aspettare vari giorni. Però un portavoce dello Shia Iraki National Alliance è stato citato dal New York Times per aver riferito che gli americani e gli inglesi gli hanno detto che il suo partito ha vinto con più del 50% dei voti – la Repubblica Shiita è ormai adulta – In tutta Baghdad non si parla che di questo dopo aver sentito le emittenti arabe del Golfo. Ma gli americani come fanno a sapere che INA ha già preso più della metà dei voti?

In fondo alla strada Jumhuriya, una squadra di poliziotti in borghese aspetta sopra un camioncino, con i fucili puntati contro di noi, alcuni sono incappucciati. A mezzogiorno c’è ancora il coprifuoco!

Tutti stanno in casa, i negozi sono chiusi. E’ come se, dopo la votazione, gli Shiiti stessero aspettando una punizione sotto forma di uno tsunami politico, mentre i Sunniti stanno semplicemente prendendo il loro tempo.

Lo shish kebab del mio menù-preferito ristorante a Baghdad ha il sapore del cartone. Nessuna meraviglia se il mio amico Haidar dice che per avere un buon pasto bisogna andare a un funerale.

In Nidhal Street troviamo un “haj” (pellegrinaggio) che ci segue in autobus. Davanti c’è una bandiera irachena con una scritta, ben evidenziata, della destinazione: La Mecca. Bloccati dal coprifuoco per le elezioni i pellegrini stavano riprendendo il loro lungo viaggio verso sud.

Contro la guerriglia, le elezioni, l’eterno ottimismo senza speranza di Bush e Blair, ecco l’ancora più eterno rito della fede e delle preghiere Mussulmane.

Il mio agente di viaggio libanese era in “haj”, così l’ho chiamato da Baghdad per assicurarmi che fosse arrivato sano e salvo a casa – i pellegrini purtroppo hanno la cattiva sorte di finire calpestati a morte – così ebbi immediata la sensazione di cosa significhi, per un iracheno intrappolato nel proprio paese, fare una chiamata all’estero.

Dopo pochi giorni di claustrofobia in Baghdad una telefonata all’estero equivale a una boccata di ossigeno. “Si, mi conferma Ahmed, a Beirut fa freddo, c’è la neve sulle montagne, mia moglie ha chiuso le finestre e anche lei ha concluso il viaggio felicemente.

La televisione della mia stanza è accesa. L’ex uomo della CIA, attuale Primo Ministro “ad interim”, Iyad Allawi,–probabilmente anche prossimo Primo Ministro “ad interim” – sta dicendo agli iracheni che il voto di domenica significa “la disfatta dei terroristi”.
E’ meglio che indossi subito il giubbetto anti proiettili. Perché questa gente – gli Inglesi facevano lo stesso nell’Irlanda del Nord – vuole provocare nuovi attacchi? Questo è lo stesso Allawi che, dal suo bunker della “zona verde”, invitava il suo popolo indifeso ad andare a votare due giorni fa.

Sempre più sento come sia grande, cosmica, la distanza fra il paese reale e il paese di fantasia di Washington e Londra. Osservo Blair che parla nervosamente, con il linguaggio del corpo sulla difensiva, i suoi occhi sullo spirituale, mentre ci racconta quale stupendo successo siano state le elezioni di domenica. Però domenica sera, quando ha parlato, ha preferito tenere segreta fino all’ultimo la tragedia dell’Hercules. Così perché dovremmo meravigliarci se gli americani e gli inglesi non rivelano il numero degli iracheni che vengono uccisi ogni giorno?

A Baghdad ogni mattina si sentono due forti esplosioni. Sento i colpi di uno scontro a fuoco dalle parti di Sadr City. Ma la radio locale non dà nessuna spiegazione.

Sul tardi due macchine della polizia mi sorpassano a sirene spiegate. I Kalasnikov fuori dai finestrini puntati contro gli autisti, i poliziotti imprecano contro chiunque blocchi loro la strada. Ancora nessuna spiegazione. Ecco la realtà, incappucciata e non identificabile. Polvere che si innalza velocemente.
Come il vento.

Robert Fisk

Fonte:www.independent.co.uk/
1.02.05

Traduzione per Comedonchisciotte.net a cura di Vichi

DI ROBERT FISK LEGGI ANCHE:

IN IRAK, TRIONFO E TRAGEDIA


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