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La Redazione

 

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I LAVORI SONO OBSOLETI?
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A cura di supervice
Il 12 Settembre 2011
46 Views

DI DOUGLAS RUSHKOFF
CNN

L’U.S. Postal Service

sembra essere l’ultima vittima della lenta ma costante sostituzione

per la tecnologia digitale dei lavori umani. Senza che arrivi una fonte

esterna di finanziamento, l’azienda postale dovrà concentrare la

scala delle sue operazioni in modo drastico, o semplicemente chiudere

tutto. Si tratta di 600.000 persone che saranno senza lavoro e altri

480.000 pensionati che dovranno affrontare un aggiustamento delle prestazioni.

Possiamo incolpare la destra per il

tentativo di sminuire il lavoro, o la sinistra per cercare di difendere

i sindacati in seguito ai tagli delle aziende e del governo. Ma il reale

colpevole, almeno in questo caso, è l’email. Le persone stanno

mandando il 22% in meno di articoli postali di quanto facevano cinque

anni fa, optando per i pagamento elettronici e altri mezzi possibili

grazie alla rete al posto di buste e francobolli.Le nuove tecnologie stanno devastando

i dati sull’occupazione, dai raccoglitori di pedaggi alle automobili

con guida automatica controllata da Google che rendono i tassisti obsoleti.

Ogni nuovo programma per computer sta in pratica facendo qualche cosa

che veniva fatto da una persona. Ma il computer la fa più velocemente,

in modo più preciso, per meno soldi, e senza costi sanitari da dover

sostenere.

Ci piacerebbe credere che la risposta

appropriata sia quella di addestrare gli uomini per lavoro di più alto

livello. Invece di incassare i pedaggi, il lavoratore formato dovrà

riparare e programmare robot che incassano i pedaggi. Ma non funziona

mai a questo modo, dato che non sono necessarie così tante persone

per produrre i robot di quanti ne vadano a sostituire.

E allora il presidente va in televisione

a dirci che l’argomento fondamentale del nostro tempo è il lavoro,

il lavoro, il lavoro, come se la ragione per costruire treni ad alta

velocità e sistemare i ponti fosse quella di riportare la gente al

lavoro. Ma a me sembra che ci sia qualcosa di arretrato in questa logica.

Mi ritrovo a chiedermi se dobbiamo accettare una premessa che invece

merita di essere messa in discussione.

Ho paura persino a chiederlo, ma da

quando la disoccupazione è davvero un problema? Capisco che tutti

vogliamo una busta paga, o almeno soldi. Vogliamo del cibo, una casa,

dei vestiti e tutte le cose che i soldi ci comprano. Ma davvero tutti

vogliamo i lavori?

Stiamo vivendo in un’economia l’obbiettivo

non è più la produttività, ma l’occupazione. Questo è perché,

a un livello davvero fondamentale, abbiamo quasi tutto quello di cui

abbiamo bisogno. L’America è abbastanza produttiva da poter alloggiare,

nutrire, educare e persino curare la sua intera popolazione solamente

con una frazione delle persone che oggi lavorano.

In base alla Food and Agriculture Organization delle Nazioni Unite, c’è abbastanza cibo prodotto per fornire

a ognuno 2.720 chilocalorie al giorno. E questo anche dopo che l’America

macera migliaia di tonnellate di raccolti e di prodotti caseari solo

per tenere i prezzi alti. Nel frattempo, le banche americane traboccanti

di proprietà ricevuti in ipoteca stanno demolendo le abitazioni vuote

per togliere le case dai propri libri contabili.

Il nostro problema non è che

non abbiamo abbastanza cose, ma che non abbiamo modi sufficienti per

far lavorare le persone e provare che meritino tutta questa roba.

I lavori, in quanto tali, sono un concetto

relativamente nuovo. Le persone hanno sempre lavorato, ma fino all’avvento

delle corporazioni nel primo Rinascimento, la maggior parte delle persone

lavorava per sé stessa. Facevano scarpe, spennavano le galline o creavano

valore in qualche modo per altra gente, che poi scambiavano o pagavano

per questi beni e servizi. Dalla fine del Medioevo, la gran parte dell’Europa

fioriva con questi sistemi.

Gli unici a perdere ricchezze erano

gli aristocratici, che dipendevano dai propri titoli per distogliere

soldi da chi lavorava. E così inventarono il privilegio del monopolio.

Per legge le piccole attività in molte delle più grandi industrie

furono chiuse e le persone dovettero lavorare per le corporazioni sancite

in modo ufficiale. Da allora, il lavoro passò al significato di “occupazione”.

L’Era Industriale si occupò di rendere

questi lavori sempre più semplici e meno qualificati. Le tecnologie

come la catena di montaggio non erano importanti tanto per rendere più

veloce la produzione, quanto per rendere questa più a basso costo e

i lavoratori più sostituibili. Ora nell’era digitale, stiamo usando

la tecnologia allo stesso modo: per aumentare l’efficienza, licenziare

più persone e aumentare i profitti aziendali.

Anche se è certamente un male

per lavoratori e sindacati, mi devo chiedere quanto sia davvero un male

per la gente. Non è il motivo per cui tutta questa tecnologia è stata

realizzata? La domanda che ci dobbiamo porre non è come impiegare tutte

le persone che abbiamo reso obsolete con la tecnologia, ma come possiamo

organizzare una società su qualcos’altro che non sia l’occupazione?

Potremmo sviare lo spirito di iniziativa che correntemente associamo

alla “carriera” verso qualcosa di totalmente più collaborativo,

propositivo e persino significativo?

Invece stiamo tentando di usare la

logica di un mercato insufficiente per negoziare sulle cose che abbiamo

alla fine in abbondanza. Quello che manca non è il lavoro, ma un modo

per distribuire correttamente i beni che abbiamo generato con le nostre

tecnologie, e un modo per creare significato in un mondo che ha già

prodotto troppe cose.

La risposta comunista a questa domanda

era quella di distribuire tutto in modo uniforme. Ma ciò toglie forza

alla motivazione e non ha mai funzionato nel modo annunciato. All’opposto,

la risposta libertaria (e il sistema che sembra essere in funziona proprio

ora) sarebbe quella di lasciare soffrire quelli che non riescono a prendere

la propria parte di ricchezza. Tagliare i servizi sociali assieme ai

loro lavori, sperando che scompaiano all’orizzonte.

Ma ci sarebbe ancora un’altra possibilità,

qualcosa che non ci potevamo immaginare prima dell’era digitale. Da

pioniere della realtà virtuale, Jaron Lanier ha di recente evidenziato

che non dobbiamo più produrre cose per fare i soldi. Possiamo invece

scambiare prodotti basati sull’informazione.

Partiamo con l’accettare che il cibo

e la casa siamo diritti umani basilari. Il lavoro che facciamo, il valore

che creiamo, è per le altre cose che desideriamo: le cose che rendono

la vita divertente, significativa e propositiva.

Questa sorta di lavoro non è

occupazione, ma è un’attività creativa. Diversamente dall’occupazione

dell’Era Industriale, la produzione digitale può essere fatta da

casa, in modo indipendente, e persino in modo peer-to-peer senza

dover aver a che fare con grandi aziende. Potremmo realizzare giochi

per gli altri, scrivere libri, risolvere problemi, educare e ispirarci

l’un l’altro, tutto con i bit invece che con le cose. E potremmo

pagarci usando gli stessi soldi che usiamo per comprare gli oggetti

reali.

In questo tempo, mentre stiamo lottando

con quella che sempre essere un rallentamento economico globale distruggendo

il cibo e demolendo le case, potremmo voler fermarci a pensare al lavoro

come aspetto fondamentale delle nostre vite che vogliamo proteggere.

Può essere un mezzo, ma non è un fine.

**********************************************

Fonte: Are jobs obsolete?

07.09.2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

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