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I FONDAMENTI STORICI ED IDEOLOGICI DEL RAZZISMO “RISPETTABILE” DELLA “SINISTRA” FRANCESE

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A cura di Davide
Il 28 Aprile 2015
80 Views

DI SAID BOUMAMA

bouamamas.wordpress.com

L’affrancamento della parola e dei passaggi all’atto islamofobico dopo gli attentati di gennaio 2015 rilevano l’ampiezza del “razzismo rispettabile” all’interno della sinistra francese. Questo ci porta a riproporre uno dei nostri testi pubblicato nell’aprile 2012 nella rivista Que faire.

Presa di posizione in favore di una legge sul velo a scuola nel 2004, sostegno più o meno dato e più o meno netto agli interventi imperialisti in Afghanistan, Iraq, Libia, tematica dell’integrazione per riflettere sulle questioni legate all’immigrazione, approccio dogmatico della laicità scissa dalle questioni sociali, etc.

Questi recenti esempi di posizioni prese da organizzazioni e da partiti che si definiscono di “sinistra” o di “estrema sinistra” fanno eco ad altri più lontani: assenza o denuncia ambigua della colonizzazione, assenza o ambiguità del sostegno alle lotte di liberazione nazionali negli anni Cinquanta, silenzio assordante protratto nei decenni circa i massacri coloniali dalla conquista del 17 ottobre 1961 passando per i crimini del Madagascar (1947), del Camerun (1955-1960), etc. Le costanti tra ieri ed oggi sono tali che ci sembra necessario ricercarne le cause ideologiche e materiali. Esistono dei retaggi ingombranti che conviene rendere visibili, altrimenti la riproduzione delle stesse trappole ideologiche ricondurrebbe alla stessa cecità ed agli stessi impasse politici.

Un’egemonia culturale in corso dal XIX secolo.

L’egemonia culturale è un concetto proposto da Antonio Gramsci per descrivere la dominazione culturale delle classi dominanti. Il concetto s’inscrive nell’analisi delle cause di non sviluppo delle rivoluzioni annunciate da Marx per i paesi industrializzati d’Europa, a dispetto della verifica delle conclusioni economiche di Marx (crisi cicliche, impoverimento della classe operaia, etc.). L’ipotesi di Gramsci è che questo “fallimento” delle rivoluzioni operaie è spiegabile dalla presa della cultura della classe dominante sulla classe operaia e le sue organizzazioni. La classe dominante esercita sicuramente il suo potere con la forza ma anche attraverso il consenso dei dominati culturalmente prodotti. L’egemonia culturale della classe dominante agisce attraverso lo Stato e tramite i suoi strumenti culturali egemonici (scuola, media, etc.) per far sì che la classe dominata accetti gl’interessi della classe dominante.

La radicalità delle lotte di classe nella storia francese (Rivoluzione antifeudale radicale nel 1789/1793, Insurrezione del luglio 1830, Rivoluzione del febbraio 1848 e soprattutto la Comune di Parigi) ha portato la classe dominante a comprendere molto presto che il suo potere non poteva essere assicurato unicamente con la forza delle armi ed attraverso la repressione (quello che Gramsci chiama dominazione diretta). Il processo di costruzione di un “romanzo nazionale” fu messo in opera al fine di assicurare l’egemonia culturale della classe dominante (dominazione indiretta). Gli ingredienti di questo romanzo nazionale sono essenzialmente la diffusione di “leggende nazionali”: pensiero degli illuministi, Rivoluzione francese e dichiarazione dei diritti dell’uomo, scuola repubblicana e laicità, etc. A differenza del mito la leggenda si appoggia su qualche fatto storico riscontrabile ed assolutizzato. La creazione della leggenda si realizza con l’occultamento delle contraddizioni e delle questioni sociali, la negazione della storia e la trasformazione dei risultati storici (con le loro incoerenze, i loro limiti, etc.) in caratteristiche permanenti e specifiche della “francesità”, del “genio francese”, della “specificità francese”, del “modello francese”, etc.

Essendo l’obiettivo dell’egemonia culturale quello di produrre consenso in favore delle classi dominanti, la produzione e la diffusione delle leggende nazionali (modello francese di laicità, modello francese d’integrazione, pensiero degli illuministi come caratteristica tipicamente “francese”, abrogazione della schiavitù come volontà dello stato francese e non come risultato della lotta degli schiavi, colonizzazione francese proposta come differente per i suoi aspetti “umanitari e civilizzatori”, etc.) è chiaramente rivolta all’attenzione delle classi dominate. La questione non è quindi ad esempio quella del giudizio dei fatti, degli uomini e delle opinioni del pensiero degli illuministi o della Rivoluzione francese. Questi eventi e le successive valutazioni sono scritti nella storia e gli uomini di queste epoche, non potevano riflettere sul mondo se non con le loro conoscenze. In opposizione a questo, anche il mantenimento di un approccio non critico, non storicizzato, essenzializzato di questi processi storici è da investigare nella contemporaneità attraverso lo studio delle sue cause e nei suoi effetti disastrosi. Senza un approccio critico, le leggende della classe dominante, s’inscrivono come fatti certi nella lettura della realtà contemporanea, divenendo rappresentazioni sociali che deformano la realtà producendo delle logiche di pensiero che impediscono di distinguere le questioni sociali e le loro contraddizioni. Senza essere troppo dettagliati affrontiamo due delle leggende dell’egemonia culturale costruita nel XIX secolo che hanno fortemente impregnato le organizzazioni di “sinistra”.

L’assolutizzazione del pensiero degli Illuministi e della Rivoluzione francese.

L’ Illuminismo designa una corrente di idee filosofiche in Europa che hanno conosciuto il loro apogeo nel XVIII secolo. Questa corrente si caratterizza per un richiamo alla razionalità e per la lotta contro l’oscurantismo. Liberando l’uomo dall’ignoranza e dalla superstizione, si tratta di farlo pensare con la propria testa e di farlo diventare adulto. Queste dimensioni comuni alle differenti filosofie degli Illuministi non impediscono la sua eterogeneità. La filosofia degli Illuministi è percorsa da “correnti” corrispondenti ai diversi interessi sociali dell’epoca. L’assolutizzazione del pensiero degli Illuministi comincia così dall’omogeneizzazione di un pensiero contraddittorio. Ma la filosofia degli Illuministi è comunque storicamente circoscritta.

Il pensiero si distribuisce non come puramente logico, ma come logica di pensiero inscritta in un’epoca precisa. D’altronde questa è la prima critica che gli è stata mossa da Marx ed Engels i quali la mettono in corrispondenza con gli interessi sociali che la originano e la incoraggiano: “i filosofi francesi del XVIII secolo che, prepararono la Rivoluzione, richiamando la ragione come giudice unico di tutto ciò che esisteva. Dovevamo instituire uno Stato ragionevole, una società ragionevole; tutto ciò che contraddiceva la ragione eterna doveva essere eliminato senza pietà. Abbiamo visto, comunque, che questa ragione eterna non era in realtà null’altro che la comprensione idealizzata del cittadino della classe media, la cui evoluzione faceva giustamente allora un borghese. Ora, quando la Rivoluzione francese ebbe realizzato questa società di ragione e questo Stato di ragione, le nuove istituzioni erano così razionali che in rapporto alle condizioni precedenti non apparivano per nulla ragionevoli. Lo Stato di ragione aveva fallito completamente”[1]. I diritti dell’uomo sono caratterizzati come i diritti di un uomo astratto, borghese ed egoista: “l’ uomo reale non è riconosciuto che sotto l’aspetto dell’individuo egoista e l’uomo vero che sotto l’aspetto del cittadino astratto” [2].

Dopo questa prima critica dell’universalismo degli Illuministi altre sono venute a completarla: la critica femminista ha sottolineato “i presupposti androcentrici, razzisti, economici ed antropologici della filosofia europea del secolo degli Illuministi” [3]; il carattere etnocentrico del carattere degli illuministi è stato ugualmente denunciato sottolineando che “ là dove noi leggiamo “uomo”, “umanità”, “cittadinanza”, é dell’umanità bianca ed europea che ci parlano gli Illuministi. Certo, gli Illuministi, portarono i primi bagliori dei nostri valori. A condizione d’ignorare la tratta, la negritudine, lo schiavismo” [4]. L’universalismo degli Illuministi appare così davvero poco universale che questo sia all’interno (universalismo maschile del diritto di voto fino al dopoguerra della seconda Guerra Mondiale, universalismo escludente gli operai dal diritto di voto fino al 1848) e all’esterno (codice nero, codice dell’indigenato, etc.).

Attraverso l’assolutizzazione del pensiero degli Illuministi e della Rivoluzione francese, la classe dominante mira a presentare la storia francese non come risultato dei confronti sociali ma come risultato dello sviluppo di un “genio” e/o di una “specificità” francese trasversale alle differenti classi sociali. Ci saranno così delle caratteristiche propriamente francesi che porranno questa nazione al di sopra delle altre, più avanti delle altre e come avanguardia dell’emancipazione della civilizzazione. In sintesi si tratta di produrre un complesso sciovinista per canalizzare le lotte sociali nel momento in cui si schiererà la colonizzazione violenta del mondo. L’offensiva ideologica mirante ad ancorare l’idea dell’eccezionalità/superiorità francese, purtroppo, è in gran parte riuscita. Ecco come, per esempio, Karl Marx deride la pretenziosità della “sinistra francese” dell’eccezionalità linguistica e repubblicana: “i rappresentanti (non operai) della “Jeune France” sostenevano che tutte le nazionalità e le nazioni erano “pregiudizievoli ed antiquati”. Stirnerianismo proudhonizzato: ripartire tutto in piccoli “gruppi” o “comuni” che formano in seguito un’“associazione” e non uno stato. E mentre si produce quest’individualizzazione della società e si sviluppa l’adeguato mutualismo, la storia degli altri paesi deve sospendere il suo corso ed il mondo intero aspetterà che i francesi siano maturi per mettere in atto una rivoluzione sociale. Allora effettueranno sotto ai nostri occhi quest’esperienza ed il resto del mondo, soggiogato dalla forza dell’esempio, farà lo stesso. (…) Gli inglesi hanno ben riso quando ho iniziato il mio discorso dicendo che il nostro amico Lafargue e coloro che con lui sopprimevano le nazionalità, si riferivano a noi in francese, cioè in una lingua che i 9/10 dei presenti non comprendeva. In seguito, ho segnalato che Lafargue, senza rendersene conto, apparentemente, intendeva per negazione delle nazionalità, il loro assorbimento dalla nazione francese modello”[5].

L’universalismo degli Illuministi appariva così poco universale che questo sia all’interno: universalismo maschile del diritto di voto etc. [o] all’esterno codice nero, codice dell’indigenato, etc.

La costruzione del consenso colonialista.

L’offensiva ideologica della classe dominante ha creato la condizione mentale che ha permesso il processo di colonizzazione. L’immagine delle altre culture e delle altre civiltà diffusa dal pensiero degli illuministi ed amplificata dalla Terza Repubblica, così come l’idea di essere l’avanguardia dell’umanità, hanno preparato gli animi alla conquista: “esiste una condizione mentale che, in una certa maniera, preesiste all’instaurazione dell’ordine coloniale, condizione essenzialmente costituita da schemi di pensiero attraverso i quali è ricostruita la rottura tra gli occidentali e gli Altri – gli schemi Puro/Impuro, Bene/Male, Sapere/Ignoranza, Dono d’amore/Bisogno d’amore. La percezione dell’Altro come un essere ancora nell’infanzia dell’umanità, confinato alle tenebre dell’ignoranza, come ad esempio l’incapacità a contenere le sue pulsioni, distorce il pensiero coloniale e la conoscenza antropologica” [6].

Di fatto l’opposizione alle guerre di conquista coloniale fu sia debole che tardiva. Le poche voci anticoloniali come quelle di Georges Clémenceau e di Camille Pelletan restano isolate e marginali. La fecondazione coloniale è profonda come testimonia il rapporto adottato all’unanimità al congresso interfederale dell’Africa del Nord dal partito comunista nel settembre 1922: “L’emancipazione degli indigeni d’Algeria non potrà essere che la conseguenza della rivoluzione in Francia(…). La propaganda comunista diretta verso gli indigeni algerini é attualmente inutile e pericolosa. La propaganda è inutile perché gli indigeni non hanno ancora raggiunto un livello intellettuale e morale che gli permette di accedere alle concezioni comuniste (…). La propaganda è pericolosa (…) perché causerà le dimissioni dei nostri gruppi”[7].

Sicuramente queste posizioni furono condannate dalla direzione del PCF e, poco dopo, i militanti comunisti donarono un esempio d’internazionalismo nell’opposizione alla guerra del Rif del 1925, ma la loro semplice esistenza è testimone della fecondazione dell’immaginario coloniale fino all’interno della sinistra più radicale dell’epoca. Il resto è conosciuto: abbandono della parola d’ordine d’indipendenza nazionale a partire dal Fronte Popolare, promozione dell’Unione Francese dal 1945, voto di poteri speciali nel 1956. In dispetto a queste posizioni, il PCF è stato il solo ad aver avuto dei periodi anticolonialisti conseguenti. La S.F.I.O. dalla sua parte è apertamente colonialista : “all’eccezione di qualche individualità “anticolonialista”, la maggioranza del partito socialista si è radunato attorno all’idea di una colonizzazione “umana, giusta e fraterna” e rifiuta di sostenere i nazionalismi coloniali che agitano l’odio dei popoli, favorendo i feudali o la borghesia indigena” [8].

Eredità ingombranti e ancora vive.

Al centro del pensiero degli illuministi e del discorso coloniale troviamo un approccio culturalista che divide il mondo in civiltà gerarchizzate, spiegando la storia e i suoi conflitti eliminando i fattori economici e giustificando gli interventi militari “per il bene” dei popoli così aggrediti. Si tratta quindi di emancipare l’altro malgrado se stesso e, se necessario, con la violenza. Questo è quello che noi abbiamo chiamato in altri scritti il “razzismo rispettabile”, un razzismo che non si giustifica “contro” il razzializzato ma si argomenta di grandi valori supposti ad emanciparlo.

Si constata con forza che questa logica di ragionamento è molto lontana dall’essere scomparsa nella “sinistra” francese. Anzi, si è anche estesa al di fuori delle questioni internazionali poiché agisce ugualmente nelle questioni legate ai francesi usciti dalla colonizzazione. Diamo qualche esempio. Il primo è quello della logica integrazionista ancora fortemente presente a “sinistra”. Questa logica rileva interamente il culturalismo binario presente nel pensiero degli illuministi. Le difficoltà subite dai cittadini usciti dalla colonizzazione, che siano francesi o stranieri, non sono spiegate nell’integrazionismo per le ineguaglianze che subiscono o per le loro condizioni d’esistenza materiali. Al contrario sono i fattori culturali ad essere sottolineati: ostacoli culturali all’integrazione, integrazione insufficiente, islam in contraddizione con la repubblica e la laicità, difficoltà di adattamento culturale, etc.

Si tratta di emancipare l’altro malgrado lui stesso e se necessario con la violenza. E’ il “razzismo rispettabile” un razzismo che non si giustifica “contro” il razzializzato ma si argomenta di grandi valori supposti ad emanciparlo.

Da allora l’obiettivo dell’azione non è l’eliminazione delle ineguaglianze ma la trasformazione delle persone, ovvero di civilizzarli incorporandoli. Non è un azzardo se il termine integrazione, nei quartieri popolari, è rifiutato ed è percepito come un’aggressione. Questo è quello che Abelmalek Sayad chiama lo “sciovinismo universale” come lo è stato quello degl’illuministi : [I bambini di genitori immigrati saranno] allora, secondo una rappresentazione comoda, senza passato, senza memoria, senza storia (…), e con la stessa innocenza, facilmente manipolabili, acquisiti in anticipo da tutte le imprese incorporazioniste, anche le più vecchie, le più arcaiche, le più retrograde o, nei casi migliori, le meglio intenzionate, mutate da una specie di “sciovinismo universale””[9].

Se la destra è interamente in quello che Sayad chiama le imprese “di vecchio stampo”, la “sinistra” è, ancora e fortemente, in quello che chiama “sciovinismo universale”. Questi due approcci riportano a quelli del “colonialismo violento” e del “colonialismo umanitario” dell’epoca coloniale. Basati su di una divisione binaria tra due entità omogenee (un “Noi” omogeneo di fronte ad un “Loro” omogeneo) che è un altra delle caratteristiche dell’etnocentrismo degli illuministi e del processo coloniale che non smette di esser riproposto parlando di comunitarismo o di “rimedio comunitario”. Ascoltiamo ancora Sayad sul processo di omogeneizzazione : “In fondo, non permettiamo di pregiudicare, identificando gli uni con gli altri tutti gli immigrati di una stessa nazionalità, di una stessa etnia o di un gruppo di nazionalità (i Magrebini, gli Africani neri, etc.), per far passare nella realtà e per mettere in opera nella pratica, in tutta legittimità ed in tutta libertà, l’illusione comunitaria ? Così, la percezione ingenua e molto etnocentrica che abbiamo degli immigrati come tutti uguali, si trova al principio di questa comunità illusoria”[10]. Sayad parla d’immigrati ma la stessa logica è funzionale per i francesi usciti dalla colonizzazione. Allo stesso modo l’omogeneizzazione si è estesa ai “mussulmani”.

Quando i membri del “Loro” non percepiscono i loro interessi, conviene emanciparli malgrado loro stessi. Questa logica ha giustificato sia le guerre coloniali ieri, le aggressioni imperialiste contemporanee come, per esempio, quella d’Afghanistan, così come l’affare interno della legge del 2004 di interdizione del velo nelle scuole. Ieri come oggi, questa logica è presente, sicuramente a destra, ma egualmente a “sinistra”. E’ per emancipare che bisognava colonizzare, è per liberare le donne afgane che bisognava intervenire militarmente in Afghanistan, bisognava liberare le donne per instaurare un’educazione ai costumi. L’eredità è pesante e ancora viva. Questo retaggio forma un ostacolo epistemologico alla comprensione dei temi economici e politici del mondo contemporaneo e delle lotte sociali che li caratterizzano.

Le difficoltà subite dai cittadini usciti dalla colonizzazione non sono spiegate nell’integrazionismo con le ineguaglianze che essi subiscono, ma al contrario, sono dei fattori culturali ad essere messi in evidenza.

Prendiamo ad esempio le rivoluzioni che hanno scosso la Tunisia e L’Egitto. Queste sono state massicciamente salutate come un segno positivo dall’insieme della sinistra. Bisognava caratterizzarle in maniera significativa sono fiorite, allora, dell’espressioni che le comparavano al 1789 . “Il 1789 del mondo arabo”. Di nuovo lo standard resta la Francia come sottolineava sarcasticamente già Marx più di un secolo fa. Lo storico Pierre Serna commenta: “No, la Tunisia non è nel 1789! Per pietà, smettiamo di strumentalizzare la Storia misurando la storia del mondo al piano della storia della Francia. La visione cosciente o no di Jean Tulard, nell’articolo di Le Monde del 18 gennaio, che insiste a considerare i Tunisini di fronte al loro 1789, rileva una lettura post-coloniale accondiscendente per non dire insultante. I tunisini avrebbero 220 anni di ritardo sulla storia della Francia e scoprirebbero infine le virtù della libertà conquistata. E bene no! La libertà non è conquistata da nessun popolo, ed a loro modo i francesi devono lottare passo a passo per le loro antiche conquiste in questi tempi di ritorno sistematico del patto repubblicano. Siamo noi che dobbiamo apprendere dai tunisini e non il contrario. Noi siamo rimasti mentalmente in un 1789 mitizzato e statico. I tunisini, loro, sono nel 2011” [11].

L’insulto o la condiscendenza, il paternalismo, il maternalismo, o il fraternalismo da una parte e la condanna indignata dall’altra parte, la diabolizzazione o l’infantilizzazione, etc. sono, nell’analisi sui quartieri popolari e sui loro abitanti, delle attitudini politiche estremamente frequenti sia “sinistra” che nell’ “estrema sinistra”. Queste attitudini sono state ben presenti nei momenti di dibattito sulla legge d’interdizione del velo nella scuola, durante le rivolte dei quartieri popolari nel novembre del 2005, nel corso dei molteplici dibattiti sulla rivendicazione di una regolarizzazione di tutti i clandestini, etc. Le stesse attitudini erano egualmente presenti nei commenti dei risultati elettorali in Tunisia e in Egitto come lo erano durante le aggressioni contro l’Iraq, l’Afghanistan o la Libia.

Nel nostro approccio materialista, i pensatori illuministi sono il risultato della loro epoca, del loro stato di conoscenza e dei loro limiti storici. Lo sguardo non critico e dogmatico sul pensiero degli illuministi è da molto tempo un’arma delle classi dominanti ed un’eredità ingombrante per i dominati.

Said Bouamama

Fonte: https://bouamamas.wordpress.com

Link: https://bouamamas.wordpress.com/2015/03/04/les-fondements-historiques-et-ideologiques-du-racisme-respectable-de-la-gauche-francaise/

4.03.2015

Tradotto per www.comedoncuisciotte.org da IKATE (www.lacadutadeglidei.wordpress.com)

Note

[1] Friedrich Engels, Socialisme utopique et Socialisme scientifique, Éditions sociales, Paris, 1950, p. 35.

[2] Abdelmalek Sayad, « Le mode de génération des générations immigrées », Migrants-formation, n° 98, septembre 1994, p. 14.

[3] Jennifer Chan-Tiberghien, « La participation féministe au mouvement altermondialiste : Une critique de l’Organisation Mondiale du Commerce », Recherches Féministes, volume 17, n° 2, 2004, p. 199.

[4] Louis Sala-Molins, « Le Code Noir, Les Lumières et Nous », dans Valérie Lange-Eyre (dir), Mémoire et droits humains : Enjeux et perspectives pour les peuples d’Afrique, Éditions d’En Bas, Lausanne, 2009, p. 38.

[5] Karl Marx, « Lettre à Friedrich Engels du 20 juin 1866 », Correspondances, tome VIII, Éditions sociales, Paris, 1981.

[6] Eric Savarèse, L’ordre colonial et sa légitimation en France métropolitaine : oublier l’autre, L’Harmattan, Paris, 1998, p. 134.

[7] Cité dans René Galissot, « Sur les débuts du communisme en Algérie et en Tunisie : socialisme colonial et rupture révolutionnaire », dans Collectif, Mélanges d’histoire sociale offerts à Jean Maitron, Éditions ouvrières, Paris, 1976, p. 101.

[8] Philippe Dewitte, Les mouvements nègres en France, 1919-1939, L’Harmattan, Paris, 1985, p. 62.

[9] Abdelmalek Sayad, « Le mode de génération des générations immigrées », Migrants-formation, n° 98, septembre 1994, p.14.

[10] Abdelmalek Sayad, « Le foyer des sans-familles », dans L’immigration et les paradoxes de l’altérité, De Boeck Université, Paris-Bruxelles, 1991, pp. 91-92

[11] Pierre Serna, Les tunisiens ne sont pas en 1789 ! ou impossible n’est pas tunisien, Institut d’histoire de la révolution française, Université Panthéon-Sorbonne.

Source : Investig’Action

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