DI ROBERT FISK
L’obitorio di Baghdad è un luogo atroce di caldo, fetore e dolore con le grida dei parenti che riecheggiano nella stretto, fetido corridoio alle spalle del Centro Medico di mattoni giallastri dove le autorità hanno l’archivio informatico. I cadaveri che giungono all’obitorio sono talmente tanti che i resti umani vengono accatastati gli uni sugli altri. I corpi non identificati debbono essere sepolti nel giro di qualche giorno per mancanza di spazio – ma il numero degli omicidi in città è tale che il Comune non è più in grado di fornire automezzi e personale per portare i resti nei locali cimiteri.
Luglio è stato il mese più sanguinoso della storia moderna di Baghdad – in totale sono arrivati all’obitorio 1.100 cadaveri; per lo più giustiziati, sventrati, pugnalati, uccisi a randellate o torturati a morte. Ma il dato è segreto. Non dovremmo sapere che il mese scorso il numero dei morti nella capitale irachena è stato di appena 700 unità inferiore al totale dei caduti americani in Iraq dall’aprile 2003. 963 erano uomini – molti con le mani legate, gli occhi bendati e i proiettili in testa – e 137 erano donne.
I dati sono vergognosi quanto tragici. Si tratta infatti degli uomini e delle donne che saremmo venuti a ‘liberare’ – e del cui destino poco ci importa.
I dati relativi a questo mese, ovviamente, non sono ancora noti. Ma domenica scorsa sono giunti all’obitorio i cadaveri di 36 uomini e donne tutti morti di morte violenta. Alle otto di lunedì mattina erano giunti altri nove corpi. A mezzogiorno i cadaveri erano già 25. «La considero una giornata tranquilla», mi ha detto con voce calma uno dei funzionari dell’obitorio mentre stavamo in piedi accanto ai morti. Quindi nel giro di appena 36 ore – dall’alba di domenica a mezzogiorno di lunedì, sono stati uccisi 62 civili, abitanti di Baghdad. Nessun funzionario occidentale, nessun ministro del governo iracheno, nessun impiegato dello Stato, nessun comunicato stampa da parte delle autorità, nessun giornale ha parlato di questi tragici dati. I morti dell’Iraq – come accade dall’inizio della nostra invasione illegale – non figurano nel copione. Ufficialmente non esistono.
Di conseguenza nulla si è saputo del fatto che nel luglio 2003 – a tre mesi dall’invasione – 700 cadaveri sono stati portati all’obitorio di Baghdad. Nel luglio 2004 i morti sono stati 800. L’archivio dell’obitorio di Baghdad ha registrato nel mese di giugno di quest’anno 879 morti – 764 uomini e 115 donne. Degli uomini, 480 erano stati uccisi da colpi di arma da fuoco; la stessa sorte è toccata a 25 donne. Tra il 10 e il 20% dei corpi non vengono mai identificati – le autorità mediche dal mese di gennaio di quest’anno hanno dovuto seppellire 500 morti non identificati e non reclamati dai congiunti. In molti casi i resti sono stati resi irriconoscibili dalle esplosioni – spesso ad opera di attentatori suicidi – o perché deliberamene sfigurati dagli assassini.
I funzionari dell’obitorio sono inorriditi dal livello di sadica crudeltà esercitata sui corpi che giungono in obitorio. «Molti sono stati ovviamente torturati, per lo più uomini», mi ha detto uno dei funzionari. «Hanno orribili bruciature sulle mani e sui piedi su altre parti del corpo. Molti hanno le mani dietro la schiena con le manette ai polsi e il nastro adesivo sugli occhi. I fori dei proiettili sono visibili sulla nuca, sul viso o sugli occhi. Sono esecuzioni». Mentre durante il regime di Saddam gli oppositori venivano giustiziati per mano del governo, il livello di anarchia che si riscontra attualmente a Baghdad, Mosul, Bassora è senza precedenti. «Il numero di morti del mese di luglio è il più alto della storia dell’Istituto Medico di Baghdad», ha dichiarato all’Independent un impiegato di alto livello della direzione. È chiaro – sia dalle statistiche che dai corpi che nei 50 gradi di temperatura di Baghdad sono già in via di putrefazione – che squadroni della morte battono le strade della città che dovrebbe essere controllata dai militari americani e dal governo eletto e appoggiato dagli americani di Ibrahim al-Jaafari. Nella storia recente non c’è mai stato un simile livello di anarchia a danno della popolazione civile di questa città – ma né le autorità occidentali né quelle irachene hanno interesse a farne conoscere i particolari. La stesura della nuova Costituzione irachena – o l’incapacità di completarla – assorbe il tempo e le attenzioni dei diplomatici e dei giornalisti occidentali.
Apparentemente i morti non contano. Ma dovrebbero contare. La maggior parte hanno una età compresa tra i 15 e i 44 anni – la gioventù irachena – e se consideriamo che a luglio i morti sono stati 1.100 nella sola Baghdad, in tutto il Paese debbono essere stati almeno 3.000, ma forse il numero reale sfiora i 4.000. Nell’arco di un anno si arriva ad una cifra di 36.000 morti, un dato questo che colloca in una prospettiva molto più realistica il controverso numero di 100.000 morti a far tempo dall’inizio dell’invasione.
Non è possibile distinguere le ragioni di queste migliaia di morti violente. Alcuni uomini e donne sono stati uccisi a colpi d’arma da fuoco ai posti di blocco americani, altri sono stati assassinati, senza dubbio, dagli insorti o dai ladri. Alcuni, morti a causa di «corpi contundenti», sono stati probabilmente vittima di incidenti stradali. Alcune donne sono state probabilmente vittima di «delitti d’onore» – perché sospettate dai parenti di avere una relazione con l’uomo sbagliato. Altri ancora sono stati assassinati perché considerati ‘collaboratori’ o massacrati perché sospettati di simpatizzare per gli insorti dai loro assassini filo-governativi.
Ai medici è stato detto che i cadaveri portati all’obitorio dalle forze armate americane non debbono essere sottoposti ad autopsia (con la strana scusa che l’autopsia è già stata effettuata dagli americani).
I civili che muoiono sono talmente tanti che l’obitorio di Baghdad ha dovuto affidarsi a numerosi volontari provenienti dalla città santa di Najaf per trasportare i cadaveri di musulmani sciiti non identificati nel grande cimitero situato al centro della città le cui tombe sono state donate da istituzioni religiose. «Su alcuni cadaveri troviamo proiettili americani», mi ha detto un dipendente dell’obitorio. «Ma potrebbero essere proiettili americani sparati da iracheni. Ignoriamo il nome delle vittime e quello degli assassini – non è compito nostro scoprire i colpevoli, resta il fatto che i civili si massacrano a vicenda. L’altro giorno c’era qui un cadavere e i parenti dicevano che era stato assassinato perché era stato membro del partito Baath nel vecchio regime. Poi hanno aggiunto che suo fratello era stato assassinato tre o quattro settimane prima perché membro del partito religioso sciita Dawa che era nemico di Saddam. Resta il fatto che la gente continua a morire. Non voglio morire sotto una nuova Costituzione. Voglio la sicurezza».
Uno dei problemi che rende difficile tenere il conto delle vittime giornaliere della violenza qui a Baghdad va individuato nel fatto che la stazione radio statale spesso non parla delle esplosioni che si verificano in città. Lunedì, ad esempio, non è stata fornita alcuna spiegazione ufficiale in merito al lontano rumore di una bomba scoppiata nel quartiere Karada. Solo ieri si è scoperto che un attentatore suicida era entrato nel popolare ristorante Emir e si era fatto saltare in aria uccidendo due poliziotti che stavano pranzando e causando 81 feriti. Un’altra esplosione, ufficialmente attribuita ad un mortaio, si è scoperto essere stata causata da una mina collocata sotto un mucchio di angurie mentre passava una pattuglia americana. L’attentato ha provocato la morte di un civile.
Anche in questo caso non ci sono state spiegazioni ufficiali. Queste morti non sono state registrate né dalle autorità irachene né dagli eserciti di occupazione né, ovviamente, dalla stampa occidentale. Come i cadaveri nell’obitorio di Baghdad, non esistono.
Robert Fisk
Fonte: http://www.onemoreblog.org/archives/007339.html
da l’Unità del 18 agosto 2005
Traduzione di Carlo Antonio Biscotto