I FANTASMI DEL CAPITALE (PRIMA PARTE)

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DI ARUNDHATI ROY
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E’ un edificio o una casa? Un tempio della nuova India o un deposito dei suoi fantasmi? Sin da quando Antilla è arrivata ad Altamont Road a Mumbai, essudando mistero e una minaccia silenziosa, le cose non sono più state le stesse. “Eccoci qua,” ha detto l’amico che mi ha portata lì, “Presenta i tuoi ossequi al nuovo Sovrano”.

Antilla (nella foto) appartiene all’uomo più ricco dell’India, Mukesh Ambani. Avevo letto di questa abitazione, la più costosa mai costruita, ventisette piani, tre piattaforme di atterraggio per elicotteri, nove ascensori, giardini pensili, sale da ballo, stanze climatiche, palestre, sei piani di parcheggi, e seicento addetti. Niente mi aveva preparata al prato verticale, una torreggiante parete d’erba che cresce su una vasta griglia metallica. L’erba aveva chiazze secche; parti erano cadute in rettangoli precisi. Chiaramente la ‘ricaduta dall’alto’ non ha funzionato.

Ma di sicuro ha funzionato lo ‘zampillo verso l’alto’. E’ per questo che in una nazione di 1,2 miliardi di abitanti, i 100 più ricchi dell’India possiedono un patrimonio equivalente a un quarto del PIL.

Le voci che corrono tra il popolo (e nel New York Times) sono, o almeno sono state, che dopotutto quello sforzo e quel giardinaggio, gli Ambani non vivono ad Antilla. Nessuno lo sa per certo. Si continua a sussurrare di fantasmi e malasorte, Vaastu e Feng Shui. Forse è tutta colpa di Carlo Marx. (Tutte quelle bestemmie). Il capitalismo, diceva, “ha evocato mezzi di produzione e di scambio così giganteschi è come il mago che non è più in grado di controllare i poteri dei mondi inferi che egli ha richiamato con i suoi incantesimi.”

In India i 300 milioni tra noi che appartengono alla nuova classe media delle “riforme” post-FMI – il mercato – vivono fianco a fianco con spiriti del mondo infero, i poltergeist dei fiumi morti, delle sorgenti secche, delle montagne spoglie e delle foreste denudate; i fantasmi dei 250.000 agricoltori perseguitati dai debiti che si sono suicidati e gli 800 milioni che sono stati impoveriti ed espropriati per far spazio a noi. E che sopravvivono con meno di 20 rupie al giorno [circa 30 centesimi di euro – n.d.t.].

Mukesh Ambani vale personalmente 20 miliardi di dollari. Detiene la maggioranza azionaria di controllo della Reliance Industries Limited (RIL), una società con una capitalizzazione di mercato di 47 miliardi di dollari e interessi imprenditoriali globali che includono la petrolchimica, il petrolio, i gas naturali, le fibre in poliestere, le Zone Economiche Speciali, il commercio al dettaglio di cibo fresco, le scuole superiori, la ricerca nelle scienze naturali e i servizi di conservazione delle cellule staminali. La RIL ha recentemente acquistato il 95% delle azioni della Infotel, un consorzio televisivo che controlla 27 canali televisivi giornalistici e di intrattenimento, compresi CNN-IBN, IBN Live, CNBC, IBN Lokmat ed ETV in quasi ogni lingua regionale. Infotel detiene l’unica licenza a livello nazionale per la banda larga a 4G, un “canale informativo” ad alta velocità che, se la tecnologia funzionerà, potrebbe essere il futuro dello scambio di informazioni. Il signor Ambani è proprietario anche di una squadra di cricket.

La RIL è una di un pugno di imprese che governano l’India. Alcune altre sono le Tatas, Jindals, Vedanta, Mittals, Infosys, Essar e l’altra Reliance (ADAG) di proprietà del fratello di Mukesh, Anil. La loro corsa alla crescita si è rovesciata sull’Europa, l’Asia Centrale, l’Africa e l’America Latina. Le loro reti sono gettate su grandi spazi; sono visibili e invisibili, in superficie e sotterranee. Le Tatas, ad esempio, gestiscono più di 100 imprese in 80 paesi. Sono una delle più antiche e più vaste compagnie indiane nel settore energetico. Sono proprietarie di miniere, di giacimenti di gas, di impianti siderurgici, di reti telefoniche, televisive via cavo e a banda larga, e governano interi distretti. Producono auto e camion, possiedono la catena Taj Hotel, la Jaguar, la Land Rover, la Daewoo, la Tetley Tea, una società editrice, una catena di librerie, uno dei principali marchi di sale iodato e il gigante della cosmetica Lakme. Il loro motto pubblicitario potrebbe essere facilmente: Non Potete Vivere Senza di Noi.

In base alle regole del Vangelo dei Flussi Verso l’Alto, quanto più hai, tanto più puoi avere.

L’era della Privatizzazione di Tutto ha reso l’economia indiana una delle più velocemente in crescita del mondo. Tuttavia, come ogni buona vecchia colonia, una delle sue principali esportazioni è quella dei suoi minerali. Le nuove mega-imprese indiane – Tatas, Jindals, Essar, Relianca, Sterlite – sono quelle che sono riuscite ad aprirsi a forza la strada fino al rubinetto che fa scorrere denaro estratto dalle profondità della terra. E’ il sogno diventato realtà di ogni uomo d’affari: poter vendere ciò che non si è costretti a comprare.

L’altra fonte principale di ricchezza imprenditoriale è costituita dalle terre. In tutto il mondo, governi locali deboli e corrotti hanno aiutato gli operatori di Wall Street, le industrie agroalimentari e i miliardari cinesi ad ammassare enormi estensioni di terreno. (Ovviamente ciò implica anche il dominio sull’acqua). In India la terra di milioni di persone viene acquistata e passata alle industrie private per “interesse pubblico”, per Zone Economiche Speciali, progetti infrastrutturali, dighe, autostrade, fabbriche di automobili, centri chimici e gare di Formula Uno. (La sacralità della proprietà privata non si applica mai ai poveri.) Come sempre, alle popolazioni locali viene promesso che il loro trasferimento dalle loro terre e l’espropriazione di tutto ciò che abbiano mai posseduto fa davvero parte della creazione di occupazione. Ma a questo punto sappiamo che il collegamento tra la crescita del PIL e i posti di lavoro è un mito. Dopo vent’anni di “crescita”, il 60 per cento della forza lavoro indiana lavora in proprio, il 90 per cento della forza lavoro indiana opera nel settore non sindacalizzato.

I movimenti popolari Post-Indipendenza, sino agli anni ’80, dai Naxaliti al Sampoorna Kranti di Jayaprakash Narayan, hanno combattuto per le riforme agrarie, per la redistribuzione della terra dai signori feudali ai contadini che ne erano privi. Oggi qualsiasi discorso di redistribuzione della terra o della ricchezza sarebbe considerato non solo non democratico, ma addirittura folle. Persino i movimenti più militanti sono stati ridotti a lottare per conservare quel poco di terra che la gente ha ancora. I milioni di senza terra, la maggioranza di essi Dalit e Adivasi, cacciati dai loro villaggi, residenti in baraccopoli e ghetti in piccole paesi e in megalopoli non compaiono nemmeno nel dibattito radicale.

Con i Flussi Verso l’Alto che concentrano la ricchezza sulla punta di uno spillo scintillante su cui piroettano i miliardari, maree di denaro si abbattono sulle istituzioni della democrazia: i tribunali, il parlamento nonché i media, compromettendo gravemente la loro capacità di funzionare nel modo in cui dovrebbero. Più è rumoroso il carnevale che accompagna le elezioni, meno siamo sicuri che esista davvero la democrazia.

Ogni nuovo scandalo di corruzione che emerge in India fa apparire domato l’ultimo che lo ha preceduto. Nell’estate del 2011 è esploso lo scandalo dello spettro 2G. Abbiamo appreso che le imprese avevano immesso 40 miliardi di fondi pubblici installando un’anima amica come ministro delle telecomunicazioni dell’Unione che ha sottostimato le licenze dello spettro telecom a 2G e le ha illegalmente distribuite ai suoi compari. Le conversazioni telefoniche registrate fatte filtrare alla stampa hanno mostrato come una rete di industriali e delle loro società di facciata, ministri, giornalisti importanti e conduttori televisivi di riferimento sia stata coinvolta nell’agevolare questa rapina alla luce del sole. I nastri sono stati soltanto una radiografia che ha confermato una diagnosi che il popolo aveva fatto già tanto tempo fa.

La privatizzazione e la vendita illegale dello spettro delle telecomunicazione non implica guerre, sfollati e devastazione ecologica. La privatizzazione delle montagne, dei fiumi e delle foreste dell’India lo fa. Forse perché non ha la chiarezza non complicata di uno scandalo contabile matricolato diretto, o forse perché tutto viene fatto nel nome del “progresso” dell’India, non ha la stessa eco presso la classe media.

Nel 2005 i governi degli stati di Chhattisgarh, Orissa e Jharkhand hanno firmato centinaia di Protocolli d’Intesa (MoU) con una quantità di imprese private trasferendo trilioni di dollari di bauxite, minerale di ferro e altri minerale per una miseria, ignorando persino la distorta logica del libero mercato. (I diritti pagati al governo variavano dallo 0,5% al 7%).

Solo qualche giorno dopo il governo di Chhattisgarh ha firmato un MoU per la costruzione di un impianto siderurgico integrato con la Tata Steel, è stata creata un milizia di vigilantes, la Salwa Judum. Il governo ha dichiarato che si è trattato di una sollevazione spontanea della popolazione locale che ne aveva abbastanza della “repressione” da parte della guerriglia maoista della foresta. Si è rivelata essere un’operazione di pulizia del territorio, finanziata e armata dal governo e sovvenzionata dalle imprese minerarie. Negli altri stati sono state create milizie simili, con altri nomi. Il primo ministro ha annunciato che i maoisti erano “la singola maggiore sfida all’India”. E’ stata una dichiarazione di guerra.

Il 26 gennaio 2006, a Kalinganagar, nello stato confinante di Orissa, forse per segnalare la serietà delle intenzioni del governo, dieci plotoni di polizia sono arrivati sul sito di un altro impianto della Tata Steel e hanno aperto il fuoco contro gli abitanti dei villaggi che si erano riuniti per protestare contro quello che ritenevano un risarcimento inadeguato per la loro terra. Tredici persone, compreso un poliziotto, sono state uccise e 37 ferite. Sono passati sei anni e anche se i villaggi sono rimasti sotto assedio la protesta non è morta.

Nel frattempo nel Chhattisgarh, la milizia Salwa Judum ha incendiato, violentato e ucciso per aprirsi la strada attraverso centinaia di villaggi della foresta, evacuando 600 villaggi, costringendo 50.000 persone a presentarsi agli accampamenti della polizia e 350.000 persone a fuggire. Il primo ministro ha annunciato che quelli che non abbandonavano la foresta sarebbero stati considerati “terroristi maoisti”. In questo modo, in parti dell’India moderna, arare la terra e seminarla sono finite per essere considerate attività terroristiche. Alla fine le atrocità della Salwa Judum sono riuscite solo a rafforzare la resistenza e a rafforzare i ranghi dell’esercito guerrigliero maoista. Nel 2009 il governo ha annunciato quella che è stata chiamata Operazione Caccia Verde.

Duecentomila paramilitari sono stati dispiegati in Chhattisgarh, Orissa, Jharkhand e Bengala Occidentale.

Dopo tre anni di “conflitti a bassa intensità” che non sono riusciti a far uscire i ribelli dalla foresta, i governo centrale ha dichiarato che impiegherà l’esercito e l’aviazione indiana. In India non la chiamiamo guerra. La chiamiamo “creare un clima favorevole agli investimenti”. Sono fatte arrivare migliaia di soldati. Un quartier generale di brigata e basi aeree sono in corso di approntamento. Uno dei maggiori eserciti del mondo sta ora preparando le sue Regole d’Ingaggio per “difendersi” dai più poveri, dai più affamati, dai più malnutriti del mondo. Aspettiamo solo la dichiarazione della Legge sui Poteri Speciali delle Forze Armate (AFSPA) che darà all’esercito l’immunità legale e il diritto di uccidere i “sospetti”. Visitando le decine di migliaia di tombe senza nome e di pire anonime di cremazione in Kashmir, Manipur e Nagaland, si constata un esercito davvero molto sospetto.

Mentre si fanno i preparativi per lo spiegamento, le giungle dell’India Centrale continuano a restare sotto assedio, con gli abitanti dei villaggi hanno paura di uscire allo scoperto o di andare al mercato per rifornirsi di cibo o medicine. Centinaia di persone sono state incarcerate, accusate di essere maoisti in base a leggi draconiani, non democratiche. Le prigioni sono affollate di adivasi, molti dei quali non hanno idea di quali siano i loro reati. Recentemente Soni Sori, una maestra di scuola di Bastar, è stata arrestata e torturata mentre nelle mani della polizia. Le sono state messe pietre nella vagina per farla “confessare” di essere un corriere maoista. Le pietro sono state rimosse dal suo corpo in un ospedale di Calcutta dove, dopo una protesta pubblica, è stata inviata per un controllo medico. In una udienza della Corte Suprema gli attivisti hanno presentato le pietre ai giudici in una borsa di plastica. L’unico risultato dei loro sforzi è stato che Soni Sori resta in prigione mentre ad Ankit Garg, il sovrintendente della polizia che ha condotto l’interrogatorio, è stata conferita la medaglia al valore del presidente alla polizia nel giorno della festa nazionale.

Veniamo a sapere della reingegnerizzazione ecologica e sociale dell’India Centrale solo a motivo delle insurrezioni di massa e della guerra. Il governo non dà informazioni. I Protocolli d’Intesa sono tutti segreti. Alcuni segmenti dei media hanno fatto quello che hanno potuto per attirare l’attenzione del pubblico su ciò che accade nell’India Centrale. Tuttavia la maggior parte dei mass media indiani sono resi vulnerabili dal fatto che la quota maggiore delle loro entrate proviene dalla pubblicità delle imprese. Come se ciò non bastasse ora il confine tra i media e la grande industria ha cominciato a confondersi pericolosamente. Come abbiamo visto, la RIL è virtualmente proprietaria di 27 canali televisivi. Ma è vero anche il contrario. Alcuni società mediatiche ora hanno interessi finanziari e industriali diretti. Ad esempio uno dei maggiori quotidiani della regione – il Dainik Bhaskar (ed è solo uno degli esempi) – ha 17,5 milioni di lettori in quattro lingue, compresi l’inglese e l’hindi, in 13 stati. E’ anche proprietario di 69 società con interessi nelle miniere, nell’energia, nel settore immobiliare e in quello tessile.

Una recente istanza di citazione presentata all’Alta Corte del Chhattisgarh accusa la DB Power Ltd (una delle società del gruppo) di utilizzare “misure deliberate, illegali e manipolatorie” mediante i giornali di proprietà della società per influenzare il risultato di un’udienza pubblica relativa a una miniera di carbone a cielo aperto. Che abbia o meno tentato di influenzare il risultato non è rilevante. Il punto è che le imprese mediatiche sono in condizioni di farlo. Hanno il potere per farlo. Le legge del paese consentono loro di essere in una condizione che si presta a gravi conflitti d’interesse.

Ci sono altre parti del paese da cui non arrivano notizie. Nello stato nord-orientale, scarsamente popolato ma militarizzato, dell’Arunachal Pradesh, sono in corso di costruzione 168 grandi dighe, la maggior parte delle quali di proprietà privata. Dighe altre che sommergeranno interi distretti sono in costruzione nel Manipur e in Kashmir, entrambi stati altamente militarizzati in cui si può essere uccisi semplicemente perché si protesta per i tagli all’elettricità (ciò è accaduto alcune settimane fa in Kashmir). Come si può fermare una diga?

La diga più delirante di tutte è quella di Kalpasar nel Gujarat. E’ progettata come una diga lunga 34 chilometri attraverso il Golfo di Khambhat con un’autostrada a dieci corsie e una linea ferroviaria che vi scorrono sopra. Escludendo l’acqua marina, l’idea è di creare una riserva di acqua dolce dei fiumi del Gujarat. (Non importa che questi fiumi siano già stati ridotti a ruscelli della dighe e avvelenati da scarichi chimici). La diga di Kalpasar, che innalzerebbe il livello del mare e altererebbe l’ecologia di centinaia di chilometri di linea costiera, era stata scartata come una cattiva idea dieci anni fa. Ha fatto un’improvvisa ricomparsa per fornire acqua alla Zona Speciale d’Investimento (SIR) di Dholera, in una delle zone più idricamente travagliate non solo dell’India, ma del mondo. SIR è un altro nome per una SEZ, una distopia industriale autogestita di “parchi industriali, cittadine e megalopoli”. La SIRA di Dholera sarù collegata alle altre città del Gujarat da una rete di autostrade a 10 corsie. Da dove verranno i fondi per tutto questo?

A gennaio 2011, nel Mahatma (Gandhi) Mandir, il primo ministro del Gujarat, Narendra Modi, ha presieduto un convegno di 10.000 imprenditori internazionali di 100 paesi. Secondo i resoconti dei media, si sono impegnati a investire 450 miliardi di dollari nel Gujarat. Il convegno è stato programmato per aver luogo all’approssimarsi del decimo anniversario del massacro di 2.000 mussulmani nel febbraio-marzo 2002. Modi è accusato non soltanto di aver consentito, ma anche di aver favorito le uccisioni. Chi ha visto i propri cari violentati, sbudellati e bruciati viti, le decine di migliaia che sono stati cacciati dalla proprie case, attende ancora un gesto di giustizia. Ma Modi ha scambiato la sua sciarpa di seta e il segno vermiglio sulla fronte con un vistoso abito da uomo d’affari e spera che un investimento da 450 miliardi di dollari funzionerà da denaro sporco di sangue per far quadrare i conti. Forse sarà così. La grande industria lo sostiene con entusiasmo. L’algebra dell’infinita giustizia funziona in modi misteriosi.

La SIR di Dholera è solo una delle più piccole bambole Matrioska, una di quelle interne nella distopia che viene pianificata. Sarà collegata al Corridoio Industriale Delhi Mumbai (DMIC), un corridoio industriale lungo 1.500 chilometri e largo 300, con nove mega zone industriali, una linea di trasporto merci ad alta velocità, tre porti marittimi e sei aeroporti, un’intersezione a sei corsie di una superstrada gratuita e una centrale elettrica da 4.000 MW. Il DMIC è un’impresa associata tra i governi dell’India e del Giappone e i loro rispettivi partner industriali, ed è stato proposto dal McKinsey Global Institute.

Il sito web del DMIC afferma che circa 180 milioni di persone saranno “interessate” dal progetto. Esattamente come, non lo dice. Esso prevede la costruzione di numerose città nuove e stima che la popolazione della regione crescerà dagli attuali 231 milioni a 314 milioni entro il 2019. Cioè in sette anni. Quando è stata l’ultima volta che uno stato, un despota o un dittatore ha attuato un trasferimento di popolazione di milioni di persone? E’ possibile che sia un processo pacifico?

L’esercito indiano può trovarsi nella necessità di dedicarsi a una campagna di reclutamento in mondo da non essere colto impreparato quando gli sarà ordinato di dispiegarsi nell’India intera. In preparazione per il suo ruolo nell’India Centrale, ha diffuso pubblicamente la sua dottrina aggiornata sulle Operazioni Psicologiche Militari che delinea “un processo pianificato per trasmettere un messaggio a un pubblico selezionato per promuovere temi particolari che determinino atteggiamenti e comportamenti desiderati, che influenzino il conseguimento di obiettivi politici e militari nel paese.” Questo processo di “gestione della percezione”, ha affermato, verrebbe attuato “utilizzando canali mediatici nella disponibilità dei servizi.”

L’esercito ha esperienza sufficiente per sapere che la sola forza di coercizione non è in grado di realizzare o gestire l’ingegneria sociale nella scala prevista dai pianificatori dell’India. La guerra contro i poveri è una cosa. Ma per il resto di noi – la classe media, i colletti bianchi, gli intellettuali, chi “fa opinion” – deve trattarsi di un “gestione della percezione”. E per far questo si deve rivolgere l’attenzione all’arte squisita della Filantropia Industriale.

Di recente, i principali conglomerati minerari hanno abbracciato le Arti: film, installazioni artistiche e la corsa ai festival letterari che hanno sostituito l’ossessione degli anni ’90 per i concorsi di bellezza. Vedanta, che attualmente estrae la bauxite dal cuore della patria dell’antica tribù Dongria Kondh, patrocina un concorso cinematografico intitolato “Creare la felicità” per giovani studenti di cinema ai quali è stata commissionata la realizzazione di film sullo sviluppo sostenibile. Lo slogan della Vedanta è “Estrarre la Felicità”. Il Gruppo Jindal ha dato alla luce una rivista di arte contemporanea e sostiene alcuni dei maggiori artisti indiani (che naturalmente lavorano con l’acciaio inossidabile). La Essar è il principale patrono del Tehelka Newsweek Think Fest che ha promesso “dibattiti ad alti ottani” tra i principali pensatori del mondo, compresi i maggiori scrittori, attivisti e persino l’architetto Frank Gehry. (Tutto questo a Goa, mentre gli attivisti e i giornalisti stavano scoprendo enormi scandali relativi ad attività minerarie illegali che coinvolgevano la Essar). La Tata Steel e Rio Tinto (che hanno precedenti sordidi per conto loro) sono stati tra gli sponsor principali del Festival Letterario di Jaipur (Nome completo: Darshan Singh Construction Jaipur Literary Festival) che è pubblicizzato dai conoscitori come “La più grande manifestazione letteraria del pianeta”. Counselage, il “gestore strategico del marchio” Tata, ha sponsorizzato l’ufficio stampa del festival. Molti degli scrittori migliori e più brillanti del mondo si sono riuniti a Jaipur per discutere di amore, letteratura, politica e poesia Sufi. Alcuni hanno tentato di difendere il diritto di espressione di Salman Rushdie mediante letture dal suo libro proibito, “I versetti satanici”. In ogni inquadratura televisiva e fotografia sulla stampa, il logo Tata Steel (e il suo slogan “Valori più forti dell’acciaio”) incombeva su di loro da ospite benevolo e benigno. I nemici della Libertà di Parola si presume fossero le folle mussulmane assassine che, ci hanno detto gli organizzatori del festival, potevano addirittura aver armato gli scolari delle elementari riuniti qui. (Siamo testimoni di quanto impotenti possano essere il governo e la polizia indiana quando si tratta di mussulmani). Sì, il seminario islamico integralista di Darul-Uloom Deobandi ha effettivamente protestato contro l’invito di Rushdie al festival. Sì, alcuni islamisti si sono effettivamente riuniti presso la sede del festival per protestare e, sì, in modo offensivo il governo dello stato non ha fatto nulla per proteggere il luogo. E’ perché l’intero episodio ha tanto a che fare con la democrazia, con gli schieramenti elettorali e con le elezioni in Uttar Pradesh, quanto ha a che fare con il fondamentalismo islamico. Ma la battaglia per la Libertà di Parola contro il Fondamentalismo Islamista è arrivata sulle prime pagine dei giornali del mondo. E’ importante che ciò sia accaduto. Ma non c’è stato praticamente alcun articolo sul ruolo dei patroni del festival nella guerra nelle foreste, nell’accumularsi di cadaveri, nell’affollamento delle carceri. Né sulla Legge per la Prevenzione delle Attività Illegali e sulla Legge Speciale sulla Pubblica Sicurezza del Chhattisgarh, che fanno persino dell’avere un pensiero antigovernativo un reato perseguibile. O sull’udienza pubblica obbligatoria relativa all’impianto di Lohandiguda della Tata Steel che i locali hanno lamentato aver avuto in realtà luogo a centinaia di miglia di distanza a Jagdalpur, nell’ufficio dell’esattore delle imposte, con un pubblico pagato di cinquanta persone sotto il controllo di guardie armate. Dove stava la Libertà di Parola in quel caso? Nessuno ha citato Kalinganagar. Nessuno ha citato il fatto che ai giornalisti, studiosi e registi che lavorano a soggetti che non piacciono al governo indiano – come la parte la parte furtiva da esso avuta nel genocidio dei Tamil nella guerra in Sri Lanka o le tombe non segnate recentemente scoperte in Kashmir – sono stati negati i visti o sono stati rimpatriati direttamente dall’aeroporto.

Ma chi di noi peccatori avrebbe scagliato la prima pietra? Non io, che vivo di diritti d’autore di case editrici industriali. Guardiamo tutti Tata Sky, navighiamo in rete con Tata Photon, ci spostiamo su taxi Tata, soggiorniamo in Hotel Tata, sorseggiamo il nostro the Tata in porcellane fini Tata e lo mescoliamo con cucchiaini da the prodotti dalla Tata Steel. Acquistiamo libri Tata in librerie Tata. Hum Tata ka namak khate hain. Siamo sotto assedio.

Se il martello della purezza morale deve essere il criterio per il lancio delle pietre, allora gli unici ad averne titolo sono quelli che sono stati già ridotti al silenzio. Quelli che vivono fuori dal sistema; i fuorilegge nelle foreste o quelle le cui proteste non sono mai riferite dalla stampa o gli espropriati che si comportano bene, che passano di tribunale in tribunale a riferire, a rendere testimonianza.

Ma il LitFest ci ha dato il nostro momento clou. E’ venuta Ophra. Ha detto che ama l’India, che tornerà ancora molte volte. Ci ha resi orgogliosi.

Questo è solo il lato caricaturale dell’Arte Squisita.

Anche se i Tata sono impegnati nella filantropia industriale da ormai quasi un secolo, finanziando borse di studio e amministrando alcuni eccellenti ospedali e istituti d’istruzione, le imprese indiane sono state invitate solo di recente nella ‘Camera Stellata’, il mondo dalle luci abbaglianti del governo globale delle imprese, mortale per i suoi avversari ma altrimenti così scaltro che a malapena si sa che esiste.

Ciò che segue in questo saggio può sembrare ad alcuni una critica feroce. D’altro canto, nella tradizione di onorare i propri avversari, potrebbe essere interpretato come un riconoscimento della visione, flessibilità, sofisticazione e incrollabile determinazione di coloro che hanno dedicato la propria vita a mantenere sicuro il mondo per il capitalismo.

La loro storia affascinante, che è svanita dalla memoria contemporanea, è iniziata negli Stati Uniti agli inizi del ventesimo secolo quando, attrezzata sotto forma di fondazioni finanziate, la filantropia industriale ha cominciato a sostituire l’attività missionaria come via capitalista (e imperialista) all’apertura e alla salvaguardia del mantenimento dei sistemi. Tra le prime fondazioni create negli Stati Uniti ci furono la Carnegie Corporation, finanziata nel 1911 con gli utili della Compagnia Siderurgica Carnegie e la Fondazione Rockefeller, sovvenzionata nel 1914 da J.D.Rockfeller, fondatore della Standard Oil Company. I Tata e gli Ambani dell’epoca.

Alcune delle istituzioni finanziate, dotate del capitale iniziale o sostenute dalla Fondazione Rockfeller sono l’ONU, la CIA, il Consiglio per le Relazioni con l’Estero, il favoloso Museo di Arti Moderne di New York e, naturalmente, il Centro Rockfeller di New York (dove il murale di Diego Riviera dovette essere rimosso dalla parete perché ritraeva maliziosamente i capitalisti dissoluti e un valoroso Lenin. La Libertà di Parola si era presa la sua giornata libera).

J.D.Rockfeller fu il primo miliardario statunitense e l’uomo più ricco del mondo. Era abolizionista, sostenitore di Abraham Lincoln e astemio. Riteneva che il suo denaro gli fosse stato dato da Dio, il che dovette essere una gran bella cosa per lui.

Ecco un estratto da una delle prime poesie di Pablo Neruda, intitolata ‘Standard Oil Company’:

I loro obesi imperatori di New York

sono assassini dal sorriso soave

che comprano seta, nylon, sigari,

piccoli dittatori e tiranni.

Comprano nazioni, popoli, mari, polizia, consigli comunali,

regioni remote dove i poveri ammassano il loro grano

come i taccagni il loro oro:

la Standard Oil li risveglia,

li mette in uniforme, stabilisce

quale fratello è il nemico.

Il paraguaiano combatte la sua guerra

e il boliviano deperisce

nella giungla con il suo mitra.

Un presidente assassinato per una goccia di petrolio,

un’ipoteca su un milione di acri,

un’esecuzione rapida in un mattino di luce mortale, pietrificato,

un nuovo capo di prigionia per i sovversivi,

in Patagonia, un tradimento, spari occasionali

sotto una luna di petrolio,

un astuto cambio di ministri

nella capitale, un sussurro

come una marea di petrolio,

e zap!, vedrete

come le lettere della Standard Oil brilleranno sopra le nuvole,

sopra i mari, a casa vostra,

illuminando i loro domini.

Quando le fondazioni sovvenzionate dall’industria fecero la loro comparsa negli Stati Uniti, ci fu un feroce dibattito riguardo alla loro provenienza, legalità e mancanza di responsabilità. Fu suggerito in quei giorni che se le imprese disponevano di tanto denaro in eccesso avrebbero dovuto aumentare le paghe ai propri dipendenti (la gente proponeva queste idee oscene persino negli Stati Uniti in quei giorni). L’idea di queste fondazioni, così comuni ora, fu in effetti un balzo d’ingegno da parte del mondo degli affari. Entità legali esenti da tassazione con risorse enormi e competenze quasi illimitate – del tutto esenti dall’essere chiamate a rispondere, del tutto non trasparenti – quale modo migliore per far fruttare la ricchezza economica come capitale politico, sociale e culturale, per trasformare il denaro in potere? Quale modo migliore per gli usurai per utilizzare una percentuale minuscola dei loro profitti per dominare il mondo? Come, altrimenti, si troverebbe Bill Gates, che indiscutibilmente sa un paio di cose sui computer, a progettare le politiche dell’istruzione, sanitarie e agricole non solo del governo USA, ma dei governi di tutto il mondo?

Nel corso degli anni, con la constatazione del po’ di bene effettivo che le fondazioni facevano (gestire librerie pubbliche, sradicare malattie), il collegamento tra le imprese e le fondazioni che queste sovvenzionavano ha cominciato a offuscarsi. Alla fine è scomparso del tutto. Ora persino quelli che si considerano di sinistra non si fanno scrupolo di accettarne la munificenza.

continua

Versione originale:

Arundhati Roy
Fonte: www.outlookindia.com
Link: http://www.outlookindia.com/article.aspx?280234
27.03.2012

Versione italiana:

Fonte: http://znetitaly.altervista.org
Link: http://znetitaly.altervista.org/art/3917
27.03.2012

LEGG ANCHE: I FANTASMI DEL CAPITALE (SECONDA PARTE)

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