HO NEGATO IL CAMBIAMENTO CLIMATICO PIU’ A LUNGO DI QUANTO MI PIACCIA AMMETTERE

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DI NAOMI KLEIN

commondreams.org

Quando si parla di cambiamenti climatici, il “trucco” sta tutto nel riconoscere che la cura più appropriata per il terrore causato da un futuro invivibile, è la prospettiva reale che questo possa essere costruito in un modo molto migliore di quanto si osi solo sperare

Relazione dell’Associazione Americana per l’Avanzamento della Scienza, la più grande società scientifica del mondo, 2014: “La maggior parte delle proiezioni relative ai cambiamenti climatici presumono che la variazione delle emissioni di gas ad effetto serra e l’aumento della temperatura (e dei suoi effetti, come ad esempio l’innalzamento del livello del mare) avverranno in modo incrementale. Ovvero che una data quantità di emissioni porterà ad una data quantità di aumento della temperatura, che a sua volta porterà ad una data quantità di aumento del livello del mare. I dati geologici sul clima, tuttavia, riflettono dei casi in cui una variazione relativamente piccola di un suo singolo componente ha portato a dei bruschi cambiamenti del sistema nel suo complesso.

In altre parole, spingere le temperature globali oltre determinate soglie potrebbe innescare dei cambiamenti bruschi, imprevedibili e potenzialmente irreversibili, dagli effetti massicci, dirompenti e su larga scala. Arrivati a quel punto, anche se non dovessimo aggiungere nell’atmosfera ulteriori quantità di CO2, alcuni processi potenzialmente inarrestabili si sarebbero già messi in moto. Possiamo pensare a questo effetto come a quello dell’improvvisa rottura dei freni o dello sterzo di un’auto, quando non possiamo più controllare né il problema né le sue conseguenze”. – Sarah Palin, 2011: “Mi piace l’odore delle emissioni”.

Ho negato il cambiamento climatico più a lungo di quanto mi piaccia ammettere. Sapevo che stava avvenendo, sicuro. Non come Donald Trump e gli esponenti del Tea Party, che sostengono di come il perdurare dell’esistenza dell’Inverno dimostri che il cambiamento climatico sia solo una bufala!

Ma sono rimasta piuttosto sul vago riguardo i dettagli, ed ho anche scremato la maggior parte delle notizie, soprattutto quelle veramente spaventose. Mi son detta che la scienza era troppo complicata, e che occuparsene era compito degli ambientalisti. Ed ho continuato a comportarmi come se non ci fosse niente di sbagliato nella “carta luccicante” custodita nel mio portafoglio, che attesta il mio status di membro d’élite dei “frequent flyers”.

Molti di noi si impegnano nella negazione del cambiamento climatico. Ci concentriamo sul problema per una frazione di secondo, e poi distogliamo lo sguardo. Oppure diamo uno sguardo, ma poi lo trasformiamo in una battuta (“… ah, i segni dell’Apocalisse!”). Il che non è nient’altro che un sistema per poterlo distogliere.

Oppure prendiamo atto del problema, ma poi raccontiamo a noi stessi delle storie confortanti su quanto gli esseri umani siano intelligenti, e che presto realizzeremo un qualche miracolo tecnologico che ci permetterà di “succhiare” tranquillamente il carbonio dai cieli, o di abbassare magicamente il calore del sole. Il che, come avrei scoperto nel condurre le ricerche di base (propedeutiche alla scrittura di questo libro), non è che un altro modo per distogliere lo sguardo.

Oppure osserviamo il problema assumendo posizioni iper-razionali (“dollaro per dollaro, è meglio concentrarsi sullo sviluppo economico che sul cambiamento climatico, dal momento che la ricchezza costituisce la protezione migliore contro le condizioni meteorologiche estreme”), come se avere in tasca un paio di dollari in più possa fare molta differenza quando la nostra città sarà sott’acqua. E’ anch’esso un mezzo per distogliere lo sguardo, se vi capita di essere un teorico della politica (policy wonk).

Oppure esaminiamo il problema, ma diciamo a noi stessi di essere troppo occupati per prenderci cura di un qualcosa di così lontano – anche se abbiamo visto la metropolitana di New York City allagata e la gente sui tetti di New Orleans … anche se sappiamo che nessuno è al sicuro, ed i più deboli meno di tutti. Tutto ciò è perfettamente comprensibile, ma non si tratta in ogni caso che di un altro modo per distogliere lo sguardo.

Oppure consideriamo il problema, ma diciamo a noi stessi che tutto ciò che possiamo fare è concentrarci su noi stessi, meditare e fare acquisti nei mercati gestiti direttamente dagli agricoltori, e smettere infine di guidare l’auto … dimenticandoci di fare qualcosa per cambiare sul serio quei sistemi che stanno rendendo la crisi inevitabile, “perché nel mondo c’è troppa ‘energia cattiva’, ed un altro sistema non funzionerà mai”. In un primo momento potrebbe sembrare che stiamo cercando di cambiare, perché correggere certi stili di vita è senz’altro una parte della soluzione, ma ancora una volta teniamo un occhio ben chiuso.

O forse un’occhiata alla questione la diamo per davvero ma poi, inevitabilmente, ce ne dimentichiamo. La ricordiamo e poi la dimentichiamo di nuovo. La questione del cambiamento climatico è fatta così. E’ difficile tenerla a mente per molto tempo. Ci impegniamo in questa strana forma di amnesia ecologica on-off per motivi perfettamente razionali. La neghiamo perché abbiamo il timore che, considerandola nella pienezza della sua realtà, questa crisi potrebbe far cambiare tutto. Ed abbiamo ragione.

Sappiamo che se permettiamo alle emissioni di continuare a crescere anno dopo anno, le variazioni climatiche finiranno con il cambiare tutto il nostro mondo. Le principali città saranno molto probabilmente sommerse dall’acqua, antiche culture saranno inghiottite dai mari, e c’è una probabilità molto alta che i nostri figli debbano trascorrere gran parte della loro vita in fuga da feroci tempeste e siccità estreme.

E noi non dobbiamo far nulla perché questo futuro si realizzi. Tutto quello che dobbiamo fare è far niente. Basta perseverare … sia che si stia contando su un intervento riparatorio della tecnologia, sia che ci si stia prendendo cura del nostro giardino, sia che si stia raccontando a noi stessi di essere troppo affaccendati, purtroppo, per occuparci del problema.

Tutto ciò che dobbiamo fare è di non reagire, come se non avessimo a che fare con una vera e propria crisi. Tutto ciò che dobbiamo fare è continuare a negare a noi stessi quanto in realtà siamo impauriti. E poi, a poco a poco, arriveremo ​​nel luogo che più ci fa paura, dal quale non riusciremo più a distogliere lo sguardo. A quel punto nessuno sforzo supplementare ci sarà più richiesto.

Ci sono dei metodi, comunque, per evitare un futuro così cupo, o che almeno possano renderlo molto meno minaccioso. Ma il problema è che questi comportano il cambiamento di tutto il resto. Per noi, forti consumatori, si tratta di dover cambiare il modo in cui viviamo, il funzionamento delle nostre economie ed anche le storie che raccontiamo riguardo il nostro ruolo sulla terra.

La buona notizia è che molti di questi cambiamenti sono decisamente di tipo non-catastrofico. Molti di essi sono decisamente emozionanti. Ma ho scoperto tutto questo solo dopo molto tempo.

Ricordo il momento preciso in cui ho smesso di distogliere i miei occhi dalla realtà del cambiamento climatico, o almeno quando ho permesso ai miei occhi di restare lì per un bel po’ di tempo. E’ stato a Ginevra, nell’Aprile del 2009, durante un incontro con l’Ambasciatore della Bolivia all’OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio), che allora era una donna sorprendentemente giovane di nome Angelica Navarro Llanos.

La Bolivia è un paese povero dal piccolo budget internazionale. La Navarro Llanos aveva da poco assunto il portafoglio del clima, in aggiunta alle sue responsabilità commerciali. Durante il pranzo in un ristorante cinese vuoto, mi spiegò (usando le bacchette per fare un grafico sull’andamento globale delle emissioni) che vedeva nel cambiamento climatico una terribile minaccia per il suo popolo, ma anche un’opportunità.

Ci vedeva una minaccia per ovvie ragioni: la Bolivia è straordinariamente dipendente dai ghiacciai per l’acqua potabile e per l’irrigazione, e quelle bianche montagne innevate che sovrastano la sua capitale stavano diventando di color grigio e marrone ad un ritmo allarmante.

L’opportunità, disse la Navarro Llanos, stava invece nel fatto che paesi come il suo non avevano dato quasi alcun contribuito all’impennata delle emissioni, e adesso erano in grado di dichiarare se stessi “creditori climatici”. Potevano rivendicare soldi e supporto tecnologico dai grandi “paesi inquinatori” sia per coprire i costi che dovevano affrontare per i disastri legati al clima, che per potersi sviluppare lungo un percorso energetico “verde”.

La Navarro Llanos, in un discorso che aveva tenuto in una recente conferenza delle Nazioni Unite sul clima, aveva messo sul tavolo la questione di questa tipologia di “trasferimento di ricchezza”, e me ne diede una copia:

“Milioni di persone – si leggeva – che vivono su piccole isole, in paesi meno sviluppati o senza sbocco sul mare, così come alcune vulnerabili comunità del Brasile, dell’India e della Cina, soffrono per gli effetti di un problema a cui non hanno dato alcun contributo … Se vogliamo ridurre le emissioni nel corso del prossimo decennio, abbiamo bisogno della più grande mobilitazione di massa mai avvenuta nella storia. Abbiamo bisogno di un piano Marshall per la Terra. Questo piano deve mobilitare dei finanziamenti e dei trasferimenti di tecnologia di dimensione senza precedenti. Per garantire la riduzione delle emissioni ed allo stesso tempo un miglioramento della qualità della vita, queste tecnologie devono essere rese disponibili ad ogni paese. Abbiamo a disposizione solo un decennio”.

Naturalmente un Piano Marshall per la Terra costerebbe centinaia, se non migliaia di miliardi di dollari (la Navarro Llanos non fece un numero preciso). E qualcuno potrebbe aver pensato che il suo costo avrebbe reso questa proposta fallita in partenza – era il 2009, e la crisi finanziaria globale era in pieno svolgimento.

Ma la logica distruttiva dell’austerità – passando dai banchieri alla persone sotto forma di licenziamenti nel settore pubblico, di chiusura delle scuole e via dicendo – non era ancora stata normalizzata. Invece di rendere meno plausibili le idee della Navarro Llanos, la crisi ha avuto l’effetto opposto.

Tutti avevamo appena visto che migliaia di miliardi di dollari venivano usati in quella specie di “piano Marshall” concepito per soccorrere il settore finanziario, quando le nostre élites decisero di “dichiarare la crisi”. Se fosse stato permesso alle banche di fallire – ci fu detto – sarebbe crollato anche il resto dell’economia.

Era una questione di sopravvivenza collettiva … ed allora il denaro doveva essere trovato, a tutti i costi (durante questo processo, al centro del nostro sistema economico vennero rappresentate alcune grandi sceneggiate. Avete bisogno di ancora più soldi? Stampatene un po’!).

Non solo, ma pochi anni prima i governi avevano adottato un approccio similare per le finanze pubbliche, subito dopo gli attacchi terroristici dell’11 Settembre (in molti paesi Occidentali sembra che, quando si tratta di costruire uno “stato di polizia” a casa propria, e di fare una guerra all’estero, i bilanci non costituiscano mai un problema).

Il cambiamento climatico, invece, non ha mai ricevuto un trattamento da “tempo di crisi” da parte dei nostri leaders, nonostante che il rischio di distruggere la vita delle persone sia di gran lunga maggiore del crollo di una qualche banca o di un paio di grattacieli.

Il taglio delle emissioni di gas serra, che gli scienziati ci dicono sia assolutamente necessario per ridurre in modo considerevole il rischio di una catastrofe, è trattato più che altro come un gentile suggerimento, un qualcosa che può essere rimandato praticamente a tempo indeterminato.

Chiaramente, quello che viene dichiarato in “stato di crisi” è una mera espressione del potere, e non una priorità che deriva dalla gravità del problema. Ma non dobbiamo essere solo spettatori di tutto questo: i politici non sono gli unici ad avere il potere di dichiarare una crisi. Anche i movimenti di massa, costituiti da persone normali, possono dichiararne una.

Naomi Klein

Fonte: www.commondreams.org

Link: http://www.commondreams.org/views/2014/09/16/whether-we-engage-or-do-nothing-changes-everything

21.09.2014

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FRANCO

Brano tratto dall’introduzione al libro di Naomi Klein: “Questo cambia tutto: il capitalismo contro il clima”, recentemente pubblicato. Postato su “Common Dreams” con il permesso dell’editore, Simon & Shuster. Tutti i diritti riservati.

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