HARIRI: RIFLESSIONI SU UN ATTENTATO

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DI MASSIMO RAGNEDDA

Quando avviene un attentato, come quello che lo scorso 14 febbraio ha ucciso l’ex primo ministro libanese Hariri, bisogna sempre chiedersi Cui Prodest. Senza fare dietrologismi è impensabile che un attentato di quelle proporzioni, con più di trecento chili di esplosivo sistemati in vari tombini nel cuore di Beirut, possa essere opera di gruppuscoli di terroristi. È quasi inevitabile dunque parlare di cooperazione da parte dei servizi segreti di qualche Stato che ha interesse in quell’area. Ma chi ha interesse a destabilizzare l’area?La lista potrebbe comprendere quattro paesi: l’Iran, la Siria, Israele e gli USA. Tra questi l’Iran è sicuramente quello che meno di tutti influenza il paese, il cui unico “intervento” può essere ridotto all’appoggio agli Hezbollah che operano essenzialmente nel sud del paese e che sono (anche) un partito politico legale. Come tutte le potenze, anche l’Iran tende ad estendere la sua influenza nell’area e dunque anche in Libano, ma non avrebbe nessun interesse ad alzare lo scontro in Libano, anzi con i riflettori addosso ha tutti gli interessi ad abbassare il livello di tensione nell’intera regione. Da anni gli USA ed in particolar modo Israele, chiedono al Libano di mettere fuorilegge gli Hezbollah, e Sharon proprio qualche settimana fa, ha chiesto all’UE di includerli nella lista delle organizzazioni terroristiche internazionali. Procedendo per esclusione dunque, tenderei ad escludere il coinvolgimento di Teheran. Non ha nessun interesse.

La Siria è la principale indiziata e su di essa si concentrano le accuse internazionali, che poi in primo luogo sono quelle mosse dagli altri due paesi inclusi nella nostra “particolare lista”. USA ed Israele infatti hanno immediatamente accusato Damasco di essere il mandante del gruppo terroristico che ha ucciso Rafik Hariri. Ne consegue dunque che Damasco appoggia il terrorismo internazionale e questo a tempo debito potrebbe costituire un casus belli. Questa come dicevamo è la posizione di Stati Uniti e Israele. Quello che mai dovrebbe fare l’informazione è accettare acriticamente quanto detto da una delle parti in causa. L’informazione deve essere super partes e non può perciò riportare fedelmente, come se fosse verità indiscutibile, quanto detto (immediatamente) da Washington e Tel Aviv. Cosa che invece hanno fatto i media occidentali, peccando ancora una volta di parzialità.

Partiamo dai dati di fatto, prima di avanzare delle opinioni. La Siria esercita sul Libano un protettorato che dura ormai da circa 15 anni e mantiene ancora sul territorio libanese una forte presenza militare. Israele dal 1967 occupa le Alture del Golan (zona strategica per Israele poiché un terzo delle sue riserve idriche sono presenti in quest’area), che ufficialmente appartengono alla Siria ma che Damasco vorrebbe cedere al Libano. La Siria avrebbe solo da perdere da una nuova destabilizzazione del Libano, come quella avvenuta in seguito ai bombardamenti americani e israeliani. A partire dal 1978 infatti il Libano è stato invaso dalle truppe di Tel Aviv (in modo consistente nel 1982), Beirut fu distrutta e lasciò sul terreno più di ventimila vittime, di cui almeno l’80% civili inermi. La Risoluzione 425 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che imponeva ad Israele di abbandonare il Libano, fu disattesa per circa vent’anni e per decenni nel sud del Libano erano presenti sotto il più totale silenzio dei media occidentali, delle camere di tortura e base di lancio per i bombardamenti del paese dei cedri. Con il cessare della guerra civile in Libano, Hariri fu scelto dai siriani a guidare il Libano occupato. La Siria avrebbe tutto da perdere, a differenza di quanto raccontatoci immediatamente dagli Stati Uniti e Israele e riportato acriticamente dai nostri TG, dalla scomparsa di un uomo con il quale in passato ha trovato una vantaggiosa collaborazione. Soprattutto Damasco si trovava già in una posizione delicata vista la Risoluzione del Consiglio di sicurezza 1559 dello scorso anno, voluta dagli USA ed appoggiata dalla Francia, che gli impone di ritirarsi dal Libano. A questo punto dovremmo chiederci perché mai la Siria vorrebbe attirarsi i riflettori addosso, rischiare di destabilizzare di nuovo il paese confinante, essere additato come paese che finanzia il terrorismo internazionale ed uccidere la persona con cui aveva avuto in passato proficui rapporti? Non è sospetta la tempestività con la quale Israele e gli Stati Uniti hanno puntato l’indice contro il regime di Damasco? Non è sospetto l’immediato ritiro dell’ambasciatrice USA Margaret Scobey da Damasco e l’urgente sollecito operato dagli stessi Stati Uniti per una riunione del Consiglio di Sicurezza per studiare una nuova risoluzione contro la Siria?

Si rifletta. Quale era il vero obiettivo di quell’attentato? Era la morte di un ricco uomo di affari ormai all’opposizione o la destabilizzazione del Libano e i conseguenti riflessi sulla Siria? Quest’ultima sapeva benissimo che la morte del leader dell’opposizione avrebbe avuto delle conseguenze negative anche all’interno del suo paese. Perché avrebbe dovuto farsi del male da sola? Chi trae vantaggio da questa situazione? L’Iran l’abbiamo esclusa, la Siria è illogico ritenerlo, mentre Israele e gli Stati Uniti hanno evidenti vantaggi. Il primo ha già alzato la posta in gioco per iniziare i “colloqui di pace” con la Siria per la restituzione delle alture del Golan ed eliminare la guerriglia degli Hezbollah, appoggiati si è detto da Siria e Iran (entrambe nel mirino di Washington); il secondo aveva già da tempo incluso nella lista degli Stati Canaglia il regime di Damasco. Quale miglior occasione per iniziare la fase due della guerra infinita nel Medio Oriente di quella di soffiare sul focolaio appena spento della questione libanese? Quale ragione ha la Siria per aizzare un fuoco che ha contribuito a spegnare? Cui prodest quella morte?

Massimo Ragnedda

Fonte:www.criticalpoint.it
18.02.05

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