HAITI: QUELLO CHE I GRANDI MEDIA NON MOSTRANO

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DI ERNESTO CARMONA

Dopo un anno di occupazione, dapprima da parte della Francia e degli Stati Uniti, poi dai soli Stati Uniti, Haiti è in una situazione ancora peggiore, con più dell’ 80% di disoccupazione e quasi il 90% della popolazione che vive di espedienti in una situazione di estrema povertà. I pochi
giovani che studiano vanno a leggere di notte nei tre o quattro edifici pubblici di Port-au-Prince nei quali le luci restano accese, perché nel paese non c’è elettricità per i poveri.

Oltre la fame, la polizia del presidente Boniface
Alexandre e del suo Primo ministro Gerard Latortue costituisce un ulteriore flagello per il popolo haitiano. “La sicurezza ad Haiti è ancora precaria”, ha dichiarato il 2 marzo il Segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, mentre si comincia a percepire un atteggiamento più duro della Missione delle Nazioni Unite (Minustah) nei confronti delle bande armate schierate contro il governo che nega di integrarle nell’esercito nazionale.

Violazioni dei diritti umani

Nel settembre 2004, l’organizzazione degli Stati americani (OEA) si è lamentata della situazione dei diritti umani, dopo che una commissione di 5 membri ha visitato il paese. La commissione dei Diritti dell’uomo che ha visitato Haiti in settembre era composta da Clare K. Roberts, Brian Tittemore, Bernard Duhaime,
Candis Hamilton e Julie Santelices. Queste personalità si sono intrattenute con Alexandre e Latortue, hanno fatto visita a Hérald Abram, ministro dell’interno, ed al direttore generale della Polizia nazionale, Léon Charles. Nel linguaggio
tipico dell’OEA, la commissione ha dichiarato di
avere constatato un peggioramento della situazione umanitaria e delle violazioni dei Diritti dell’uomo.
Si è mostrata preoccupata per lo stato della
sicurezza e per l ‘azione di gruppi armati che controllano il Nord e l’Est del paese, dove lo stato non garantisce la reale protezione dei cittadini.

L’OEA ha ricordato ai dirigenti di Haiti che lo stato ha l’obbligo di garantire la sicurezza della sua popolazione, i suoi diritti, la sua protezione giudiziaria, ecc.. si è dichiarata preoccupata per la situazione dell’amministrazione della giustizia all’interno di un sistema inadeguato. Ha raccomandato che il governo metta fine alll’impunità e non conduca rappresaglie contro le persone che hanno testimoniato davanti alla commissione. Ha ricordato che il
ministro degli Affari esteri francese, Renaud
Muselier, è stato attaccato in occasione di una visita all’ospedale della città del Sole, la bidonville della capitale più colpita dai crimini della polizia.

L’OEA ha inoltre dichiarato che i più vulnerabili sono i bambini, le donne ed i difensori dei Diritti
dell’uomo, frequenti vittime dei gruppi armati, “che costituiscono un problema serio attualmente ad Haiti”. Ha stabilito che i bambini sono costretti a lavori forzati e sono vittime di violenze perpetrate da questi gruppi armati, e che i minori delinquenti sono mandati in prigione con gli adulti. In definitiva, ad Haiti restano pochi alberi, ma ciò non impedisce alla legge della giungla di continuare a regnare.

Alcuni esempi

Il decesso di due manifestanti che sfilavano
pacificamente in occasione del primo anniversario della deposizione di Aristide, il 28 febbraio 2005, ha dato luogo a questo commento di un diplomatico sotto copertura di anonimato: “La minaccia terroristica ad Haiti è costituita dalla
fame, dalla disoccupazione… e dalla polizia.”

Gli abitanti di Bel-Air, una bidonville
della capitale haitiana, hanno organizzato una
marcia non violenta per commemorare le dimissioni
forzate di Jean-Bertrand Aristide, condotta da padre Gerard Jean-Juste e da altri preti della parrocchia Sante Claire. La manifestazione è iniziata con le preghiere nella chiesa Notre-Dame, nel centro di Bel-Air, ed ha solcato le vie cantando.

Secondo Bill Quigley, uno dei partecipanti ed amico di padre
Jean-Juste, “migliaia di persone hanno camminato e danzato cantando Bring Back Titi, (Riportate Aristide!), in creolo, francese ed inglese”. Quigley è professore della scuola di Diritto dell’università Loyola a New-Orleans e si trova a Porto-au-Prince
come volontario dell’istituto per la Giustizia e
la Democrazia in Haiti, un’organizzazione
statunitense.

Padre Jean-Juste, una delle principali voci della
democrazia ad Haiti da quando è stato liberato,
alcune settimane fa, dopo aver trascorso 48 giorni in prigione senza nessun capo di imputazione, è stato intervistato decine di volte dai media locali e internazionali. “La manifestazione mi
sembrava una pacifica sfilata di carnevale fino a quando ho notato che il corrispondente di Reuters
portava un giubbotto anti-proiettili”, ha spiegato Quigley.

Ed ha, poi, aggiunto che i caschi blu del Minustah –
la Missione delle Nazioni Unite per la Stabilizzazione di Haiti sotto gli ordini del cileno Gabriele Valdés – si trovavano nei dintorni quando la manifestazione si avvicinava a via Des César. Le persone erano gomito a gomito, con gli ombrelli e dei manifesti che reclamavano il ritorno della democrazia e di Aristide.
Le persone lì vicino hanno raggiunto la marcia e hanno applaudito e danzato coi manifestanti.

“Improvvisamente, all’incrocio tra via Monsiegneur
Guillot e via Des César, c’è stata una forte
esplosione, vicino ai manifestanti, che ha provocato una calca”, ha riportato l’universitario. Ci sono poi state altre esplosioni mentre le persone
fuggivano. Quigley si è nascosto sotto una scala.

Ha visto allora dei poliziotti in uniforme nera, col casco, che indossavano delle maschere antigas ed armati, che sparavano sulla folla. “Le persone si sono raggruppate non lontano da me, sotto le scale, nel tumulto, mentre noi , il gruppo di Sante Claire, ci siamo raggruppati in un angolo ad aspettare che cessassero i colpi di
fuoco.”

Sulla carreggiata giaceva un uomo privo di coscienza. “Jean-Juste si è inginocchiato vicino a lui e ha pregato” ha riportato Quigley. “Un poco più in basso nella stessa via, altri aiutavano i feriti. La folla ha gridato che alla polizia di andarsene e ci siamo rifugiati in un piccolo alloggio in un viale. I bambini gridavano, gli adulti gridavano, tutti avevano paura. Aspettavamo, sporchi e bagnati di
sudore, che la presenza delle forze dell’ONU aumentassero e rendessero la nostra fuga più sicura.”

La manifestazione di Bel-Air ha lasciato due morti che i manifestanti hanno avvolto nelle bandiere
haitiane, e decine di feriti. “Due uomini
mi hanno mostrato dove sono stati feriti dalla polizia” hanno dichiarato gli statunitensi. “Abbiamo percorso lentamente il quartiere funestato. Le stesse persone che alcuni minuti prima erano felici, adesso erano sconvolte. Molti si lamentavano. “

Di ritorno nella sua parrocchia, Jean-Juste ha detto: “I sostenitori di Aristide erano talmente numerosi che è difficile valutare la folla. Il messaggio è stato chiaro. Il nostro voto è stato contabilizzato. Deve ancora
essere preso in conto. Non c’è altra uscita per
andare avanti ad Haiti, che il ritorno all’ordine
costituzionale, la liberazione di tutti i prigionieri
politici ed il ritorno fisico del presidente
Aristide.”

Quigley ha concluso con questa frase: “La marcia per la democrazia ad Haiti è stata fermata dalla polizia che ha sparato sulla folla inerme, ma le persone con cui ho parlato mi hanno detto che continueranno le loro manifestazioni per il ritorno della democrazia ad Haiti”. Dettagli su questi avvenimenti e fotografie sono disponibili, in inglese, su haitiaction.net.

I paramilitari sanno produrre delle metastasi

Sebbene a Port-au-Prince i paramilitari siano
più o meno dispersi, in ogni città dell’interno operano 200 teppisti usciti dai gruppi organizzati e finanziati dalla Francia e dagli Stati Uniti per destabilizzare Aristide. In molte città, essi costituiscono la sola autorità, e si organizzano per non scontrarsi con i 7 000 caschi
blu dell’ONU, facendo come se non esistessero.

In totale ci sono circa 2 000 ex-militari,
ex-detenuti e narco-trafficanti che si divertono a
sfoggiare scarpe sportive e stivali
importati, occhiali neri e veicoli 4 x 4. Come
gli ex-militari sono disoccupati da più di 10
anni, e la domanda è da dove prendono
il denaro per la benzina, un anno dopo l’intervento
franco-americano? Continuano a ricevere lo
stipendio dal National Endowment for Democracy, un fondo che gli USA utilizzano per promuovere la loro “democrazia” nel mondo?

I paramilitari pullulano nelle città come
Gonaives, Cap Haitien, Fort Lauderdale, Jacmel, Les Cayos, Petit Goave, Saint-Marc, Grand Goaves, True du Norb ed in molte altre. Hanno occupato illegalmente centinaia di palazzi che utilizzano come basi. Costituiscono una forza oscura, uno dei poteri de facto ad Haiti. Il governo che ha sostituito quello di Aristide non ha fatto mai sforzi per disarmarli, li ha chiamati piuttosto i
“soldati della libertà.”

Il Minustah non ha voluto più disarmarli, per “non
non immischiarsi negli affari interni” del paese.
Col tempo, i paramilitari sono stati legittimati,
hanno guadagnato il loro posto e molti sono stati integrati dalla polizia. Gli ex-militari manifestano oggi per richiedere la loro reintegrazione nell’esercito ed il pagamento di 10 anni “di arretrati” di stipendi e affermano: “Preferiamo morire che rendere le armi”. Non disarmare le bande fu un grave errore dell’ONU, ma oggi non è più possibile farlo senza scontro.

Boniface Alexandre e Gerarde Latortue hanno lasciato un tale campo libero ai militari a riposo dalla prima invasione (sotto Bill Clinton) che i settori del governo propongono di ricostruire l’esercito con i militari golpisti scartati da Aristide, da più di 10 anni, per appoggiare un governo molto modesto, favorevole alle classi dei possidenti locali e agli Stati Uniti. Sembra insensato riformare una armata che è stata all’origine di tanti colpi di stato quanto l’esercito boliviano, ma le classi dei proprietari sognano un nuovo governo simile a quello dei 17 anni di Pinochet. Per alcuni diplomatici vicini agli Stati Uniti, Haiti è solamente un inizio, ed è il vertice di un triangolo che include Cuba ed il Venezuela.

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Svolta delle Nazioni Unite

Dopo un anno di presenza, l’ONU dà vita ad una svolta e abbandona il suo ruolo di semplice osservatore. Comincia a sfidare gli Stati Uniti e tiene sotto tiro i paramilitari. La sicurezza ad Haiti “rimane precaria anche se la forza delle Nazioni Unite ha migliorato la situazione e delle fiammate di violenza non possono essere scartate”, ha indicato mercoledì il
segretario generale Kofi Annan.

“Sebbene la sicurezza ad Haiti sia considerevolmente migliorata, la decisione del Minustah di condurre delle azioni contro le bande e gli ex-soldati ha aumentato il rischio di rappresaglia contro la missione e contro altre
personalità dell’ONU” indica un rapporto del Consiglio di sicurezza che ricorda che la Forza è stata “l’oggetto di una serie di attacchi dall’ultimo novembre.”

Detto diversamente, Annan ha annunciato un atteggiamento meno passivo, raccomandando una maggiore fermezza nei confronti
dei “differenti gruppi armati” che sfidano le
autorità. “La nostra missione, diretta ad ottenere un contesto sicuro e stabile che richiederà talvolta l’utilizzazione di una forza proporzionata e necessaria, deve restare la prima delle nostre priorità” ha aggiunto.

La presenza dei paramilitari risponde ai bisogni e
ai disegni del governo di Alexandre e Latortue
diretti a prolungare il mandato di “transizione” ad eternam, dato che sanno di non aver possibilità di vincere le elezioni, che saranno organizzate probabilmente sul “modello” iracheno. Il clima di violenza fa si che il tempo passi per il governo ed i gruppi economici che controllano l’economia precaria. L’élite haitiana scommette sul mantenimento status quo.

La maggioranza nera schierata dietro il Partito Lavalas ed Aristide gode di una maggioranza schiacciante in maniera simile a quella degli sciiti in Iraq. I gruppi “democratici” che un anno fa hanno riunito ideologicamente le bande armate,
mantengono un profilo basso. Non chiedono già più la “democrazia” e sembrano sedotti dalla
borghesia e dai suoi saloni. Tra essi, si trova l’UPL
(Unione del Popolo in Lotta), una scissione del Lavalas prodotta dall’anarchia del tempo di Aristide.

Ad Haiti si cospira perchè la transizione non finisca. La situazione ha esasperato il
rappresentante delle Nazioni Unite, il cileno Gabriel Valdés, dato che non dispone dei mezzi
finanziari per tirare fuori il paese dal vicolo cieco.
Teoricamente, è l’uomo più potente di Haiti,
perché ha sotto il suo comando gli effettivi
militari multinazionali, ma dei 1,4 miliardi
di dollari promessi un anno fa dalla Banca mondiale, la Banca interamericana di sviluppo ed alcuni paesi donatori, il Minustah ne ha ricevuti meno del 10%.
La metà di questi fondi è destinata allo svolgimento delle elezioni la cui data non è ancora conosciuta.

L’aiuto portato da Cuba è stato il più incisivo. Infatti sono stati inviati 700 volontari, personale
medico e paramedico, nelle località più
isolate. È duro dirlo, ma l’ONU non ha fatto nulla. O almeno, questa è l’impressione di
alcuni diplomatici che risiedono a Port-au-Prince. E sul piano militare, la sua neutralità rischia di
condurre all’inefficacia dei caschi blu già
osservata in Bosnia-Erzegovina, mentre la pulizia
etnica si realizzava sotto i loro occhi.

Alcuni diplomatici ed alte personalità del Minustah
ritengono di doversi impegnare maggiormente a controllare la polizia ed a favorire il dialogo coi civili, ma queste iniziative non fanno piacere agli
Stati Uniti. Questi propongono anche un’importante presenza internazionale a carattere civile composta di giovani, per collaborare ad una ricostruzione effettiva di Haiti. La popolazione locale è molto giovane, poiché – statisticamente – la speranza di vita è di 49 anni.

Se le elezioni si tenessero oggi, probabilmente
il Partito Lavalas ed Aristide le vincerebbero di
nuovo. È anche per questo che il governo
mantiene una posizione ambigua nei confronti dei paramilitari che operano una pulizia ideologica
tra i giovani militanti, procedendo alla loro
eliminazione fisica. Oggi più di 200
paramilitari si sono formalmente uniti alla polizia e commettono oramai, indossando l’uniforme, i crimini che prima perpetravano in tenuta civile.

Le bande paramilitari eliminano i dirigenti, gli
attivisti ed i militanti di Lavalas, nell’impunità
più assoluta e con la complicità statunitense. Per
esempio, dopo una manifestazione, il 30 settembre 2004, è stato reso pubblico ciò che la stampa ha chiamato “l’operazione Bagdad”. Tre poliziotti sono stati decapitati per creare un “avvenimento” di importanza tale da oscurare la manifestazione popolare. Per un diplomatico accreditato ad Haiti si è trattata di una manovra per giustificare altri omicidi. Altri osservatori
diplomatici parlano di una “Operazione Cecena”
con azioni sanguinarie amplificate dai media
e dalla stampa per giustificare lo sterminio. Parecchi dirigenti “democratici” conosciuti all’estero non sono estranei a queste macchinazioni.

I principali dirigenti del Partito Lavalas sono
l’ex-primo ministro Yvon Neptune, incarcerato senza nessuna imputazione a carico e senza processo, così come l’ex-ministro dell’interno, Jocelerme Privert, e l’ex-senatore Yvon Feuillé, un prete vicino ad Aristide.

Il 19 febbraio, tre camionette piene di uomini
armati hanno assaltato il penitenziario di Port-au-Prince per assassinare i prigionieri politici col pretesto di liberare alcuni narco-trafficanti. Il giorno dell’attacco, sabato alle 3 del pomeriggio, la sorveglianza della prigione era stata curiosamente trascurata. Gli assaltatori hanno sparato raffiche di proiettili, dopo avere ucciso un custode.

Nel caos, 500 dei 1 250 prigionieri che si
trovavano nei cortili sono fuggiti, semplicemente
perché non avevano un luogo dove mettersi al riparo e perchè quella sembrava la via più sicura. I fuggiaschi comprendevano Yvon Neptune e Jocelerme Privert che si si sono rifugiati al sicuro, hanno chiamato l’ambasciatore del
Cile, Marcel Young, che si è informato sui pericoli che correvano per la loro vicinanza al Minustah… poi sono tornati in prigione. L’episodio illustra l’insicurezza a Haiti.

Al loro ritorno alla prigione, i due dirigenti sono stati puniti e trasferiti in un luogo più
scomodo. Le pressioni diplomatiche ed i
negoziati del Minustah hanno permesso che fosse loro restituita la stessa cella che occupavano prima della fuga. Parecchie decine di
prigionieri che sono stati recuperati sono stati
immediatamente uccisi. Il 2 marzo, è arrivata a Port-au-Prince la notizia che i due capi politici
avevano iniziato uno sciopero della fame il 20 febbraio per protestare contro i cattivi trattamenti inflitti nella prigione.

Gli Stati Uniti hanno annunciato, il 4 marzo, che i 200 uomini della fanteria di marina che avevano deposto Aristide un anno fa sono stati rimossi. In seno al Minustah, si punta sull’intensificazione delle relazioni con la polizia di Haiti, mentre gli alti graduati brasiliani propendono piuttosto per una politica di dialogo con i sostenitori di Aristide, in luogo della repressione cieca che preferisce Washington.

Ernesto Carmona
Giornalista e scrittore cileno
4.03.05
Per gentile concessione di Reseau Voltaire

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Elio B.

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