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DI BIANCA CERRI


ELEZIONI A SENSO UNICO

Persino uno scrittore poco incline all’analisi sociale come Fitzgerald l’aveva capito: “al prezzo di due soldi, l’elettore si compra politica, filosofia e pregiudizi” e basterebbe questo a spiegare quanto sia stata superflua l’informazione che, per quasi un anno, ha inondato i media in vista delle elezioni di USA 2004. Per quanto ci riguarda, abbiamo scelto di basarci invece sugli argomenti lasciati inesplorati dagli altri, perché, come appunto diceva Fitzgerald, politica, filosofia e pregiudizio si comprano, anche se, a nostro parere, non sempre sono sufficienti a coprire spaventosi vuoti di contenuto.

UN MOSTRO CON DUE TESTE

Da almeno quindici anni, i due maggiori schieramenti politici degli Stati Uniti sono praticamente indistinguibili l’uno dall’altro e, per accedere alla Casa Bianca, è indispensabile essere, oltre che bianchi, fedeli alle corporazioni ed alle lobbies del petrolio.

Democratici e Repubblicani sono entrambi ostili a temi come pacifismo ed ambientalismo ed esiste tra loro il tacito accordo di non sfiorarli per paura che i finanziatori come Boeing, Monsanto, Philip Morris, Enron ed altri, che hanno fatto le fortune di tutti e due i partiti, chiudano i portafogli.

Del candidato indipendente hanno parlato in pochi e, quando lo hanno fatto, è stato per consigliargli di darsi fuoco sulle scale del Campidoglio, come ha fatto Bruce Jackson, o di ritirarsi, come hanno fatto più di cento parlamentari italiani. I giornalisti, ha detto Alexander Cockburn, che pure appartiene alla categoria, sono riusciti a far sbadigliare anche i gatti e gli crediamo sulla parola, visto che, come al solito, per tutta la durata della campagna elettorale non si è avvertito alcun segnale di rinnovamento politico.

Nessuno ha accennato a temi come CIA, ambiente, giustizia, ecc. In compenso, ci sono stati propinati centinaia di volte i singulti religiosi di Bush e le prodezze militari di Kerry ma non abbiamo saputo nulla di come il governo che sarà riuscirà a risolvere il problema della disoccupazione che, negli Stati Uniti, affligge più di dieci milioni di persone.

L’unica variante ad un copione monotono è stata la rivelazione di Kerry, che intende essere “il secondo presidente nero d’America dopo Clinton”, un’uscita infelice, visto che ad eleggere Clinton come primo fu Toni Morris, scrittrice afro-americana premiata con il Nobel per la letteratura, in vena di ironia.

LA GUERRA AI POVERI DI DEMOCRATICI E REPUBBLICANI

Bush e Kerry, nati fra agi miliardari, sono lontani anni luce dai bisogni della gente ed è probabile che intendano proseguire la guerre ai poveri iniziata da Reagan e portata avanti da Clinton e dal suo consigliere Morris, ostili alle “madri troppo prolifiche, che pretendevano di far crescere i figli riscuotendo assegni di sussistenza dallo Stato”.

Il governo che nascerà il due novembre dovrà fare i conti con l’Europa e la sua economia e, tra un Bush che conta sulla guerra per rinsaldare le finanze e un Kerry che si prepara a dare, a saccheggiare le casse dei lavoratori su suggerimento del predecessore Clinton, alla fine i due partiti maggiori troveranno sicuramente un onorevole compromesso.

“La politica e il denaro non si vedono spesso in giro perchè sono sempre a letto insieme”, dicono gli americani, e, nel caso dei loro politici, sembra che si tratti di un menage à trois. Con Clinton, i magnati della finanza conobbero un’epoca irripetibile. Non a caso, passerà alla storia come “il missile capitalista”.

SCEGLIERE IL MINORE FRA DUE “DIAVOLI”

I cronisti, ormai esausti, non hanno voglia di indagare sui brogli elettorali e sulle poche garanzie che offre il voto elettronico e preferiscono concentrarsi sul look dei candidati o ritornare, per la milionesima volta, sui trascorsi militari di Kerry. Karl Rove, il talent scout di Bush, ha già allertato un esercito di avvocati soprattutto in Florida, nella malaugurata ipotesi che il fratello governatore dell’attuale presidente non riesca ad accomodare le liste elettorali in tempo per permettere a Dubya di trionfare.

Il ritornello “chiunque-ma-non-Bush” potrebbe aver convinto i residenti della Florida a spostarsi su Kerry ma il supervisore, Katherine Harris, già nota al grande pubblico come presunta “maitresse” di GW. sorveglierà i seggi, anche se Rove non si fida di lei e conta sugli avvocati pronti ad entrare in azione.

Se Kerry dovesse farcela con pochi voti di vantaggio, gli avvocati si metteranno subito in azione. Dal’altra parte, non tutto è perduto: nel 1996 la gente sembrò non poterne più di Clinton e, invece, il presidente democratico trionfò. A volte, è sufficiente farsi vedere con un Bibbia in mano per ribaltare i pronostici, tanto il 70% almeno dell’elettorato ignora persino quali siano le mansioni del capo del governo.

CHE COMPITI HA IL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI

Il presidente degli Stati Uniti è autorizzato a firmare dichiarazioni di guerra, previa autorizzazione di almeno due terzi del Congresso, assume il comando delle forze armate, nomina ambasciatori e giudici della Corte Suprema e può sostituire un Senatore con una persona di sua scelta qualora risulti vacante una poltrona. In caso di alto tradimento, può essere destituito attraverso un processo detto “impeachment”, richiesto più volte per Bush nell’arco dei quattro anni del suo mandato senza che il pubblico abbia prestato molta attenzione alla cosa.

L’IMPERO E I SUOI ALLEATI

Sino a qualche anno fa, riferiscono le cronache, il mondo viveva nell’incubo del comunismo mentre la devastazione geografica, culturale ed economica di un numero infinito di paesi ad opera dell’esercito USA, con l’approvazione di repubblicani e democratici, spaventava di meno.

Oggi che il comunismo non c’è più, l’alleanza atlantica è invece sempre al suo posto e gli Stati Uniti vendono oltre frontiera il 50% della loro produzione di annuale di armi. Sia che il presidente resti lo stesso o che ne arrivi uno nuovo, l’atlantismo continuerà ad espandersi perché le elites finanziarie che sostengono il mondo politico non rinunceranno per nessun motivo al mondo al dominio della globalizzazione. In qualsiasi modo vadano le cose, democratici e repubblicani troveranno il modo di spartire i proventi, soprattutto in un’epoca come quella attuale, dove basta un assegno per garantirsi alleati.

I governi degli altri paesi, che hanno messo a repentaglio la vita dei loro cittadini per sostenere le guerre imperiali degli Stati Uniti dovrebbero chiedersi se valga la pena di continuare a pagare un prezzo altissimo per essere chiamati servi di Washington. Persino Edward Lutwak, commentatore politico americano noto anche in Italia, ha scritto di non aspettarsi un gran che da un cambio della guardia, visto che, dice, solo con il microscopio è possibile riconoscere le politiche di Kerry da quelle di Bush, soprattutto quando si parla di petrolio.

Al Gore, sconfitto nel 2000, che quando parla di grezzo fa finta di arrossire, è avido quanto lo spudorato Bush, che ostenta la sua golosità. Per convincere l’elettorato è rispuntato persino Bin Laden, un fantasma per tutte le stagioni, grazie al quale si potrà continuare a mantenere il paese nel terrore mentre le compagnie petrolifere impazzano in Iraq. Alcuni affermano si tratti di un fotomontaggio, ma è impossibile affermarlo con sicurezza.

Quello che è invece certo è che Clinton e Bush hanno usato esattamente gli stessi pretesti per mandare l’esercito a bombardare paesi inermi. I primi ricatti nei confronti degli iracheni, considerati nemici dell’America, risalgono al primo governo Clinton del 1998, oltre tre anni prima che venissero abbattute le Torri Gemelle e furono pronunciati dallo stesso presidente.

Per giustificare l’operazione “Desert Fox”, il 16 dicembre del 1998, Clinton parlò di armi biologiche in mano a Saddam Hussein e di gas sconosciuti pronti ad avvelenare i cittadini americani. Immediatamente dopo, si augurò che l’Iraq trovasse presto un nuovo governo ed una nuova era. Durante la campagna elettorale del 2000, Al Gore fu ugualmente minaccioso nei confronti di Saddam Hussein.

A tutt’oggi, sono oltre 1.100 i soldati USA che hanno perso la vita in Iraq e circa 100.000 i caduti tra i civili, ma le truppe sono ormai estenuate, tanto che si sono più volte rifiutate di obbedire, come accadde nel Vietnam dopo il 1973, quando i plotoni sparsi nella giungla iniziarono ad infischiarsene degli ordini, dopo aver saputo che mentre migliaia di loro commilitoni morivano, il presidente tradiva con disinvoltura la patria.

L’attuale governo viola ogni giorno la risoluzione 1483, che vieta l’accaparramento di petrolio, senza neppure giustificarsi e nessuno sembra preoccuparsene.

ASPIRANTI PRESIDENTI SULL’ORLO DI UNA CRISI DI NERVI

Bush portò con se a Washington il pesante fardello dei 158 mandati di morti firmati senza battere ciglio ed ha sempre osteggiato la libertà delle donne a decidere per una maternità responsabile. Kerry è cautamente favorevole all’aborto e non ha le idee molto chiare sulla pena di morte.

A prescindere da chi verrà eletto, inutile illudersi che la pena capitale venga abolita per suo volere perché sono gli Stati a decidere in modo indipendente continuare a portare a termine le esecuzioni e non il governo centrale. Esistono giudici che condizionano la condanna alla pelle dell’imputato e, in questo caso, la Corte Suprema è chiamata ad accogliere, se crede, il ricorso dell’imputato e qui il presidente può giocare un ruolo poiché è lui che sceglie i giudici di Corte Suprema.

Kerry non ha mai firmato mandati di morte unicamente perché non è stato governatore e in Massachussets la pena capitale non è ammessa comunque. L’ultimo governo democratico, quello di Bill Clinton, ha apportato cambiamenti alle leggi capitali usando il pretesto degli atti di terrorismo avvenuti ad Oklahoma City, anche se, durante la campagna elettore, Bill Clinton aveva promesso una riforma per rendere più umano il sistema detentivo del paese.

Invece, l’unica cosa che cambiò fu il numero dei detenuti, che, in otto anni di governo democratico, crebbe di parecchie migliaia.

Gli abolizionisti sembrano intenzionati ad accordare comunque a Kerry la fiducia, mentre gli animalisti hanno cambiato idea dopo le dichiarazione del senatore democratico a favore della caccia. Per ingraziarsi qualche voto, Kerry si è fatto sorprendere, nonostante l’aplomb aristocratico, mentre squartava un’anatra e i difensori dei diritti degli animali non intendono perdonarlo.

La guerra a Ralph Nader è un altro degli errori di Kerry che hanno spinto l’elettorato ad abbandonarlo lungo la strada. Una fatica oltretutto sprecata, visto che moltissimi elettori di Nader non avrebbero comunque votato per lui. Una volta di più, tra democratici e repubblicani, c’è stato il tacito accordo di rendere la vita difficile al cosiddetto “terzo partito”.

Nader, unico candidato pacifista ed a favore di un sistema sanitario esteso a tutti, è visto come il fumo negli occhi da entrambi gli schieramenti, timorosi di essere screditati come fantocci al servizio delle multinazionali. Ed è certamente vero che, se Kerry vincesse, sarebbe soltanto la destra del suo partito a vincere: tutti gli altri sperano che non avvenga.

GLI SCHELETRI NELL’ARMADIO REPUBBLICANO

Un articolo pubblicato lo scorso 27 ottobre denuncia che Bush aveva intenzione di attaccare l’Iraq prima ancora di diventare presidente. All’uomo che gli scriveva i discorsi durante la campagna confidò che suo padre aveva gettato al vento tutti i proventi della Guerra del Golfo del 1991.

Mickey Herskowitz ha fatto anche da ghost-writer a Bush nella stesura della sua autobiografia ed è ritenuto un testimone attendibile. E’ stato lui a rivelare che il padre del presidente, l’ex presidente Bush Senior, gli aveva sconsigliato, nel 2003, di invadere l’Iraq. Avendo frequentato a lungo la famiglia Bush, è stato in grado di confermare quello che tutti avevano già intuito, ovvero la diserzione di Dubya che riuscì ad imboscarsi per non essere spedito in Vietnam.

Il presidente, l’unico che gli americani abbiano visto comparire in uniforme militare in tutta la storia del paese, pur amando infilarsi la tuta da aviatore non ha mai pilotato un velivolo in tutta la sua vita ma ama far credere il contrario. A Herskowitz, Bush ha anche rivelato di non aver mai più accettato di incontrare gli ex soci in affari che lo avevano trascinato nel fallimento.

Mickey Herskowitz dice di aver esitato a lungo prima di tirare fuori i vari scheletri nascosti nell’armadio presidenziale ma di aver deciso alla fine di farlo per non ingannare il paese.

TUTTE LE BUGIE DEI DEMOCRATICI

E’ probabile che il tanta “chiunque-ma-non-Bush” derivi dall’antipatia della gente verso Bush, ma non tenga in alcun conto le tante carenze dei democratici. Sarebbe bene ricordare che alcune decisioni di Bush sono state possibili solo grazie a leggi volute da Clinton. La continuità tra i due uomini politici è sorprendente.

In tema di ambiente, ad esempio, i democratici hanno la coscienza molto più nera dei repubblicani. Durante la campagna elettorale del 1992, Clinton e Gore promisero di chiudere l’inceneritore di East Liverpool, che ha avvelenato l’aria per chilometri con le esalazioni di sostanze tossiche e che si trova nei pressi di una scuola elementare, ma, una volta preso possesso della Casa Bianca, si rifiutarono di farlo.

Il governo Regan aveva proibito l’importazione dei pesticidi a base di PCB e fu Clinton che la fece annullare e che apportò modifiche alle leggi sull’acqua potabile, costringendo gli americani a bere acqua inquinata da sostanze pericolose per la salute. Il governo democratico terminato con l’elezione di Bush diede il via alla perdita di milioni di posti di lavoro negli Stati Uniti, concedendo finanziamenti agli industriale che trasferirono i loro impianti nei paesi del terzo mondo per ridurre i costi di produzione.

Gli incontri di Clinton con Monica nella stanza ovale servirono a distrarre l’opinione pubblica dallo scandalo dei fondi alla Banca Morgan. L’ostentata disinvoltura in materia sessuale non impedì al presidente di varare “l’Atto in Difesa della Sacralità del Matrimonio”, riferita ovviamente agli eterosessuali, che Bush ha poi preso a pretesto per negare ai gay la possibilità di unirsi legalmente.

E Bill & Hillary, uniti in politica e nella vita, votarono per l’attacco all’Iraq del 2003.

VOTI IN “BIANCO & NERO”

Secondo John Ascroft, gli americani sono un popolo invincibile ma la campagna elettorale ha mostrato invece un paese diviso e lacerato da molte contraddizioni. Non è bene abbandonarsi a giudizi semplicistici ma va detto che forse sono stati i bombardamenti della stampa a togliere al popolo la necessaria lucidità per chiarirsi le idee. La scarsa consistenza dei candidati lascia prevedere un alto numero di astenuti, ma con il trascorrere delle ore, l’attesa cresce.

Le ultime notizie fanno anche temere che rischia di ripetersi quanto accadde nel 2000, quando fu necessario l’intervento della Corte Suprema per stabilire il vincitore ma anche il voto elettronico potrebbe complicare le cose. Si è parlato anche di brogli ma è certamente troppo presto per dire con esattezza se ci siano stati.

Si ha invece la sensazione che esistano due gruppi, non comunicanti fra loro, che voteranno nello stesso paese. Il primo avrà l’opportunità di scegliere da chi essere guidato. L’altro gruppo ha invece la sensazione di dover votare per riscattarsi dalle angherie subite per causa del primo. Gli afro-americani che andranno a votare il due novembre o che lo hanno già fatto saranno probabilmente di più di quelli delle passate tornate elettorali proprio a causa del desiderio di riscatto, perché, dai tempi della schiavitù, si sono sempre trovati davanti barriere che hanno impedito loro di accedere alle urne come gli altri.

Nel 2000, 27.000 restarono esclusi e, dall’11 settembre in poi, è di nuovo iniziata la criminalizzazione basata sul colore della pelle. Stavolta, 25.000 volontari controlleranno le aree dove la popolazione di colore è più numerosa per controllare che tutto si svolga regolarmente.

E per stabilire che l’America è una sola e non due.

Bianca Cerri
[email protected]
Fonte:reporerassociati.rg
2.11.04

 

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