GUERRA: MANCA SOLO UN PRETESTO (LEZIONI DALLA YUGOSLAVIA)

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DI MICKEY Z.
On Line Journal

Chiunque osservi gli eventi internazionali con un briciolo di obiettività sa che il governo degli Stati Uniti sta cercando un pretesto per bombardare l’Iran. La storia americana, dopo tutto, è costellata di opportune provocazioni che hanno creato occasioni propizie per l’intervento militare.

Ecco un esempio istruttivo: “Dovremmo ricordare cosa è accaduto nel villaggio di Racak a gennaio” dichiarò alla stampa il presidente Bill Clinton il 19 marzo 1999. “Uomini, donne e bambini innocenti prelevati dalle loro case e condotti nelle fogne, costretti a genuflettersi nella melma e crivellati di colpi – non perché avessero fatto qualcosa, ma perché appartenevano ad una certa etnia”.

Il diplomatico statunitense William Walker confermò tali parole durante la sua missione per verificare i crimini di guerra serbi. “Da quello che vedo”, disse Walker, “Non ho dubbi a descrivere questi crimini come massacri, come crimini contro l’umanità. E non esito ad accusare le forze di sicurezza del governo di esserne responsabili”.Clinton e Walker stavano parlando di un presunto massacro di 45 Albanesi del Kosovo, il 15 gennaio 1999. Come spiegò il Washington Post: “Racak ha modificato la linea di condotta nei Balcani occidentali come raramente singoli eventi possono fare”.

Dopo aver fatto circolare nei Balcani storie di pulizia etnica per un decennio, la regione era matura per la strumentalizzazione statunitense. Ai “cattivi” fu concessa una chance di evitare l’attacco: l’Accordo di Rambouillet , che altro non fu, se non un’ulteriore provocazione.

“L’atto sanciva che l’esercito della NATO avrebbe avuto libero accesso in tutta la Yugoslavia, non solo in Kosovo,” afferma il giornalista Seth Ackerman. “La NATO avrebbe gestito il nuovo sistema politico in Kosovo, preso controllo di tutte le trasmissioni dei media locali e avrebbe preparato il terreno per un referendum sull’indipendenza del Kosovo dopo 3 anni. Tali preparativi erano in netta contraddizione con l’impegno, che il Kosovo rimanesse parte della Yugoslavia, assunto dai precedenti negoziati statunitensi”.

“Abbiamo deliberatamente stabilito i termini in modo che i Serbi non potessero accettare”, spiegò il Segretario di Stato a stelle e strisce Madeleine Albright.

Greg Elich è l’autore di “Strange Liberators: Militarism, Mayhem, and the Pursuit of Profit” (“Strani portatori di libertà: militarismo, caos e la ricerca del profitto”). “È interessante”, dice, “che l’accordo specificasse anche che ‘l’economia del Kosovo opererà in conformità con i principi del libero mercato’, un provvedimento che lasciava trasparire le reali motivazioni dell’intervento occidentale. I diplomatici U.S.A. introdussero queste rigide proposte l’ultimo giorno di discussione a Rambouillet, nel tentativo di rovesciare il corso degli eventi. Fino a quel momento, dopo più di due settimane di negoziati, la commissione yugoslava aveva accettato l’intero pacchetto di proposte per la pace, suggerendo solamente che fossero i Caschi Blu dell’ONU a far rispettare gli accordi e non l’esercito NATO. Gli Stati Uniti volevano la guerra, non la pace.”

Il demonizzato presidente yugoslavo Slobodan Milosevic, com’era logico (e comprensibile) prevedere, rifiutò, così prese avvio un’aggressione aerea durata 78 giorni, pilotata dagli Stati Uniti ed eseguita dalla NATO, in nome dello spirito umanitario. “Far ricorso a giustificazioni umanitarie è grottesco”, asserisce Robert Hayden, direttore del Centro per gli studi sulla Russia e l’Est Europa dell’ Università di Pittsburgh. “Nelle prime 3 settimane di guerra, i morti serbi civili superarono la quantità, raggiunta in 3 mesi, di vittime complessive (amboparti) dei combattimenti in Kosovo, quantità che aveva portato a questa guerra ed era considerata una catastrofe umanitaria”.

“Al momento dei bombardamenti NATO iniziati nel marzo del 1999, il conflitto in Kosovo aveva raggiunto i 2000 morti sommando le perdite di entrambi gli schieramenti, secondo fonti Kosovaro- Albanesi”, riferisce Michael Parenti. “Fonti yugoslave riportano una cifra di 800. Il numero di vittime mostra che si trattava di una guerra civile, non di un genocidio”.

Durante i bombardamenti illeciti, i leader americani non persero mai occasione di tessere le proprie lodi. “Abbiamo sensibilmente ridotto le forze militari (yugoslave) in Kosovo annientando più del 50% dell’artiglieria e 1/3 dei mezzi blindati” dichiarò l’allora Segretario alla Difesa (sic) William Cohen. A distanza di un anno, un rapporto dell’aviazione statunitense dipinse un quadro diverso:

* Affermazione originale: 120 carri armati distrutti; numero effettivo: 14

* Affermazione originale: 220 vettori blindati di personale distrutti; numero effettivo: 20

* Affermazione originale: 450 pezzi d’artiglieria distrutti; numero effettivo: 20

* Affermazione originale: 744 attacchi confermati da piloti NATO; numero effettivo: 58

La relazione riportò anche che l’esercito yugoslavo si fece beffe della tecnologia statunitense attuando tattiche semplici come costruire pezzi d’artiglieria falsi con ceppi anneriti e pneumatici vecchi. Si poté evitare la distruzione dall’alto di un ponte di importanza strategica, innalzando 270 metri a monte un ponte fasullo con rivestimento di polietilene. I piloti della NATO bombardarono il ponte posticcio a più riprese.

Messo di fronte a questa prova, il portavoce del Pentagono, Kenneth Bacon, entrò in modalità incensatore: “Evidentemente abbiamo colpito abbastanza obiettivi da vincere”.

Poscritto: Un anno dopo la campagna di bombardamenti che il New York Times battezzò quale “vittoria per i principi della democrazia e i diritti umani”, un team di patologi finlandesi fu inviato in Kosovo per indagare sul massacro di Racak. Come scrive Stephen Gowans, i patologi scoprirono che “nessuno dei corpi era mutilato, non c’erano tracce di tortura e solo un individuo era stato colpito da vicino. 37 cadaveri avevano residui di polvere da sparo sulle mani, il che lascia supporre che avessero fatto uso di armi, e tra le vittime vi erano ‘solo’ una donna e un ragazzo sotto i 15 anni”.

Mickey Z.
Fonte: http://onlinejournal.com
Link: http://onlinejournal.com/artman/publish/article_1743.shtml
13.02.2007

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MOLECOLA

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