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GUERRA DI IV GENERAZIONE IN MATERIA AMBIENTALE: MANIPOLAZIONE NEL GOLFO

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A cura di Davide
Il 25 Giugno 2010
97 Views

DI JOEL SANDRONIS PADRÓN
CEPRID

Anche se il genere homo esiste da appena due milioni di anni, già dispone della capacità di distruggersi da solo… Non riusciremo nemmeno a emulare gli scarafaggi che si evolvono da circa 250 milioni di anni

(Richard Morris)

Non si può risolvere un problema con la stessa mentalità che l’ha generato

(Albert Einstein)

Diceva Borges che le casualità non esistono, che gli accadimenti e gli eventi imprevisti di ciò che conosciamo come realtà, obbediscono invece a “casualità” prodotte da fatti e circostanze in cui il caso non gioca alcun ruolo, lo giocano invece leggi ben precise che gli esseri umani disconosciamo e che perciò attribuiamo all’imprevisto.

Il fatto che in piena crisi climatica, precisamente un 22 aprile, giorno che gli esseri umani abbiamo scelto di celebrare come giorno della terra, sia sprofondata nel golfo del Messico, in modo imprevedibile e casuale, la piattaforma petrolifera Deepwater Horizon della corporazione British Petroleum, o BP, generando ciò che sarà probabilmente il peggior disastro ambientale della storia, potrebbe sembrare un monito, un segnale di conferma che gli umani abbiamo violato un limite che nemmeno conosciamo o possiamo pretendere di comprendere. Ma su questo punto già si è scritto molto e ancora si scriverà, ciò a cui oggi voglio far riferimento invece è alla manipolazione dell’informazione utilizzata dai potenti come arma di guerra nel mondo per controllare e sfruttare il resto dell’umanità.

Fin dai primi giorni del disastro, sia la corporazione BP che l’Amministrazione Oceanica e Atmosferica (NOAA la sigla in inglese) degli Stati Uniti hanno tentato di occultare e/o minimizzare fino all’impossibile l’immensa portata del disastro, elaborando comunicati stampa nei quali mentivano sfacciatamente sulla quantità di petrolio scaraventata quotidianamente dal pozzo Mississippi Canyon nelle acque del Golfo del Messico; in effetti, durante le prime settimane siamo stati “informati” che come conseguenza dell’incidente si riversavano in mare una quantità non superiore ai mille barili di greggio. Ma nelle sue successive dichiarazioni, messo all’angolo dall’evidenza, Scott Mullen, portavoce del NOAA, ha riconosciuto che il flusso di greggio sversato eccedeva i 5 mila barili al giorno, mentre dati non ufficiali provenienti da fonti indipendenti portavano la quantità a circa 15 mila barili al giorno.

Nonostante le proporzioni dell’incidente e della catastrofe ambientale per gli ecosistemi del Golfo del Messico e del Nord Atlantico, verso cui la corrente del Golfo spinge la colossale macchia di petrolio, abbiamo osservato pochissime fotografie dello sversamento. Quelle che circolano in rete sono state scattate quasi tutte durante i primi giorni dell’incidente, prima che agenti del governo americano prendessero il controllo della zona.

Sia gli agenti del governo federale degli Stati Uniti che i dirigenti corporativi delle pubbliche relazioni delle grandi transnazionali hanno imparato che occultare e manipolare l’informazione e le immagini è il modo migliore per controllare e/o guidare le reazioni del pubblico.

È risaputo che le crude e avvilenti immagini della guerra del Vietnam trasmesse senza censura, quasi dal vivo e in diretta dal fronte di combattimento, hanno sensibilizzato in tal modo la società statunitense da contribuire in misura notevole al rifiuto interno
che quella guerra criminale e colonialista aveva generato in essa. A partire da quel momento, le immagini e informazioni delle molteplici guerre di aggressione condotte dagli Stati uniti ovunque nel mondo hanno avuto come caratteristica l’attenta e severa censura a cui vengono sottomesse. Inoltre fin dalla Guerra del Golfo sono stati eliminati i corrispondenti di guerra indipendenti e vengono accettati solo i giornalisti embedded che agiscono e “informano” sotto la stretta direzione e supervisione dello stesso esercito americano.

La similitudine e il parallelismo delle azioni tra l’esercito imperiale degli Stati Uniti e le corporazioni dell’energia, industriali, della frutta, finanziarie e altre per le quali lavora, è peraltro illuminante. Questa forma di agire e controllare l’informazione da parte di questo esercito (uno dei capisaldi della sua nuova dottrina di guerra di quarta generazione) è stata copiata pari passo dalle grandi corporazioni petrolifere.

Nel 1989 la petroliera Exxon Valdez della multinazionale petrolifera Exxon si incagliò nel golfo di Prince William Sound, nello stato nordico dell’Alaska. Nei giorni successivi all’incidente la nave riversò più di 41 milioni di litri di greggio in quell’estuario. Quell’incidente venne ampiamente documentato dalla stampa statunitense e mondiale e le immagini di nutrie e leoni marini, trichechi, balene, pesci e uccelli imbrattati da uno strato nero e oleoso produssero un’ondata di rifiuto, indignazione e richieste di sanzioni per l’azienda colpevole di quel crimine di lesa natura, e irati solleciti della società statunitense per il blocco dello sfruttamento petrolifero in quello stato. La Exxon dovette spendere molto denaro in lobbying, in bustarelle e “disinteressate” donazioni alle campagne elettorali (come quelle effettuate dalla BP per la campagna di Obama), oltre alle spese per le operazioni di ripulitura, per riprendere i suoi affari nella zona.

A partire da quel disastro le corporazioni energetiche hanno iniziato ad applicare le strategie di disinformazione che stava sviluppando l’esercito degli Stati uniti. Nel caso della piattaforma Deepwater Horizon, le immagini ufficiali che sono state diffuse quasi unanimemente dalle grandi catene televisive e dalle agenzie stampa transnazionali consistono nell’incendio che si era generato, in fotografie di macchie oleose in mezzo all’oceano, fatti certamente disdicevoli ma molto lontani dalle nostre vite, senza riferimenti emotivi incisi nella nostra memoria come potrebbero essere le spiagge bitumate o animali, pesci e uccelli che muoiono lentamente coperti di olio.

Il governo federale degli Stati Uniti ha proibito per ragioni di “sicurezza” che le imbarcazioni private navighino e facciano fotografie nelle zone del disastro, esattamente lo stesso argomento e giustificazione addotti dal loro esercito per impedire ai giornalisti indipendenti la copertura delle loro azioni in Iraq e Afghanistan. È stato impossibile occultare un disastro di tali dimensioni (a quanto pare la BP ha avuto un altro incidente l’anno scorso nella stessa zona ma è stato controllato rapidamente e sono riusciti a non farlo trapelare), ma gli esperti mediatici di queste mostruose petroliere sanno che finché il fatto rimane generico le reazioni del pubblico potranno essere manipolate, eventualmente sviate verso aspetti secondari e infine controllate.

Negli ultimi giorni si è insistito molto sulla soluzione tecnologica della situazione, si fanno documentari sull’efficiente lavoro realizzato dai robot sottomarini (parallelismo con i droni delle forze aeree), sulle tecniche che verranno utilizzate, sui costi della ripulitura delle coste; è impossibile sfruttare un giacimento petrolifero in forma totalmente sicura e pulita. Nel mezzo del peggior disastro ambientale della storia, nessuno o quasi nessuno mette in discussione il modello energetico basato sul consumo di combustibili fossili. Non si discute il capitalismo globalizzato e selvaggio che in nome dei propri profitti distrugge la vita di un intero litorale marittimo, dando il colpo di grazia a decine di specie in grave pericolo di estinzione (tartarughe, lamantini e alcune specie di squali) e rovinando allo stesso tempo migliaia di famiglie di pescatori.

Prima o poi la BP riuscirà a chiudere il pozzo, o almeno dirà che l’ha fatto, i responsabili dell’ambiente negli Stati Uniti appoggeranno completamente la loro versione e ricominceranno le perforazioni in alto mare, per lo meno fino al prossimo disastro.

Nero è il futuro dentro il capitalismo. Nero appare invero il futuro di mari e oceani, di un nero così scuro come la coscienza dei gerarchi di queste megacorporazioni e dei loro cani da salotto del mondo politico.

Joel Sangronis Padrón è professore presso la Universidad Nacional Experimental Rafael Maria Baralt (ENERMB), Venezuela.

Fonte: www.rebelion.org
Link: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=108078&titular=guerra-de-iv-generaci%F3n-en-materia-ambiental:-manipulaci%F3n-en-el-golfo-
18.06.2010

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di RENATO MONTINI

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