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DI VICHI
Palestina Libera!

Il vento della censura e dell’intimidazione con cui, in tutto il mondo occidentale, si tenta di imbavagliare e di impedire ogni libera discussione che verta in qualche modo sugli ebrei e su Israele sta soffiando sempre più impetuoso e preoccupante e, soprattutto, sta cominciando a mietere le prime vittime, non più solo tra i “negazionisti”.

L’ex Presidente americano Jimmy Carter, reo di aver pubblicato un libro (“Palestine: Peace, not Apartheid”) in cui si criticano aspramente il muro di imprigionamento costruito da Israele e le violazioni dei diritti umani commesse nei Territori palestinesi, paragonate al regime dell’apartheid, è stato sottoposto a critiche feroci e ad attacchi sovente sferrati sul piano personale e familiare.

E’ curioso osservare che, come spesso accade quando entra in azione il fuoco di sbarramento della propaganda sionista, la maggior parte delle critiche e dei rimproveri rivolti a Carter non entrino nemmeno nel merito delle questioni sollevate, ma si limitino a brandire la solita arma impropria dell’antisemitismo o, quanto meno, dell’ostilità nei confronti dell’ebraismo.

Così, uno dei più acerrimi avversari di Carter, il celebre avvocato Alan Dershowitz, che minaccia di inseguire l’ex Presidente in ogni luogo ove si rechi a presentare il proprio libro, si limita nello specifico ad accusare Carter e la sua fondazione di ricevere soldi dall’Arabia Saudita, e di rivolgere esclusivamente le proprie accuse ad Israele e non a Riyadh.Una tattica ben nota anche a quanti si cimentino, su forum o in altri luoghi di pubblico dibattito, a discutere di Israele e dei crimini commessi dai soldati di Tsahal: evitare di rispondere sulle questioni sollevate, sviare il discorso e, piuttosto, indagare minacciosamente sulle bieche ed oscure ragioni che spingono il malcapitato interlocutore a insistere ostinatamente a voler criticare le azioni di Israele.
E se negli Usa la potenza di fuoco della lobby ebraica è davvero spaventosa e condiziona pesantemente gran parte dei media, in Europa, e in Italia in particolare, non è che le cose vadano meglio.

E’ notizia di ieri l’altro, ad esempio, quella secondo cui in Austria i quattro figli del rabbino Moshe Arye Friedman sono stati espulsi dalla loro scuola e banditi da tutte le altre scuole ebraiche austriache, in considerazione del fatto che il loro padre è uno dei rabbini che hanno preso parte alla conferenza sull’Olocausto organizzata dal Presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad lo scorso mese.
E questo nonostante Neturei Karta, il gruppo cui Friedman è associato, abbia più volte pubblicamente smentito di aver negato l’Olocausto o le sue proporzioni.

Ma la situazione più penosa e preoccupante è quella a cui assistiamo oggi nel nostro Paese.

A partire dal gennaio di quest’anno, con l’approvazione all’unanimità del ddl Mastella (ma la sinistra non ha avuto proprio niente da ridire?), si era già capito che l’aria si stava facendo pesante, laddove si sono pericolosamente reintrodotti reati d’opinione punendo non più la “propaganda”, ma la semplice “diffusione” di idee antisemite o sulla superiorità e l’odio razziale, prevedendo un’aggravante qualora i reati in discussione vengano commessi negando in tutto o in parte l’esistenza di genocidi o di crimini contro l’umanità per i quali vi sia stata una sentenza definitiva di condanna da parte dell’autorità giudiziaria italiana o internazionale (una vera e propria norma fotografia!).

E a rendere le cose ancora più chiare ha provveduto il Presidente Napolitano con il suo pubblico no all’antisemitismo “anche quando si travesta da antisionismo”, in quanto “l’antisionismo significa negazione della fonte ispiratrice dello Stato ebraico, delle ragioni della sua nascita ieri e della sua sicurezza oggi”.
Dunque il cerchio si chiude, non solo è vietato negare (in tutto o in parte) o ridiscutere storicamente l’Olocausto, ma è vietato mettere in discussione la natura di Israele come Stato “etnico” (e caratterizzato da una legislazione pesantemente discriminatrice verso i non ebrei) e, infine, appare persino vietato criticare le politiche brutali e assassine con cui Israele garantisce la propria “sicurezza” nei confronti del popolo palestinese, sottoposto a incredibili vessazioni, umiliazioni, massacri.

Partendo da un simile assunto, è chiaro che anche la trattazione delle più banali questioni storiche appaia irta di difficoltà e di pericoli.

Chi conosce la storia e ha avuto la ventura di assistere allo sceneggiato tv “Exodus”, che ha raccontato la storia di Ada Sereni, la donna coraggiosa che è riuscita nell’impresa di portare clandestinamente in Palestina oltre 20.000 ebrei sfuggiti alle persecuzioni, di certo non sarà rimasto sorpreso dalla pressoché totale eliminazione dalla fiction (perché tale è divenuta) di ogni contesto storico, dall’assenza nella narrazione di ogni accenno all’antifascismo di Enzo e Ada Sereni e, soprattutto, della loro idea di fare della Palestina una patria unica per arabi ed ebrei.

Ma naturalmente vi è di peggio, ed è cronaca di oggi.

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Lo studioso Ariel Toaff (figlio del rabbino Elio Toaff) ha da poco pubblicato un saggio (“Pasque di sangue”, Ed. Il Mulino) in cui tenta di restituire dignità storica all’accusa rivolta in passato agli ebrei di uccidere ritualmente bambini cristiani in occasione della Pasqua.

Apriti cielo! Ne sono derivate una messe di dure critiche e reprimende nei confronti dell’autore, provenienti anche da chi non aveva nemmeno aperto il libro incriminato, ma si limitava a “suggerire” che le implicazioni che questo argomento porta sul piano dell’attualità dovrebbero spingere chiunque alla “moderazione” e al “riguardo” (cioè, in pratica, a non trattarlo proprio o a occuparsene per negarne la veridicità, tertium non datur…).

Questo senza parlare del fatto che all’autore – come lui stesso ha affermato l’altro ieri al tg2 – è stato caldamente “consigliato” di non farsi vedere dalle parti del quartiere ebraico a Roma…
Ma il fatto più grave, naturalmente, è l’iscrizione nel registro degli indagati del portavoce e del Presidente dell’U.C.O.I.I. (Unione delle Comunità e delle Organizzazioni Islamiche in Italia), con l’ipotesi di reato di istigazione all’odio razziale e religioso.

In particolare, il Presidente dell’U.C.O.I.I., Mohamed Nour Dachan, viene accusato di essere uno degli ispiratori della controversa inserzione a pagamento effettuata su alcuni quotidiani italiani lo scorso 19 agosto, in cui si paragonavano le stragi naziste di Marzabotto e delle Fosse Ardeatine ai crimini di guerra commessi da Israele in Libano e nei Territori palestinesi.

Hamza Piccardo, invece, sarebbe indagato per una pagina web comparsa sul sito www.islam-online.it in cui si parlava delle 750 vittime dei bombardamenti israeliani in Libano e della strage di Qana.

Ora, io non ho letto la lettera per la quale Piccardo viene indagato dalla Procura di Roma, ma ho certamente letto, ed in parte condiviso, il contenuto dell’inserzione del 19 agosto dal titolo “Ieri stragi naziste, oggi stragi israeliane” (vedi palestinanews.blogspot.com) e in essa, per quanto mi sforzi, non riesco a trovare nulla che possa ricondurre alla “istigazione all’odio razziale”.

Nel testo non si paragonano certo gli ebrei ai nazisti, ma si fa un parallelo molto più limitato tra le stragi compiute dai nazisti in Italia, e segnatamente quelle di Marzabotto e delle Fosse Ardeatine, e i massacri compiuti da Israele in Libano e in Palestina dal 1948 ai giorni nostri.

Nessun incitamento all’odio contro gli ebrei, dunque, ma soltanto una denuncia accesa e vibrante contro i crimini di guerra commessi ai danni delle popolazioni arabe di Libano e Palestina, delle politiche repressive mette in atto da Israele, dell’occupazione illegale dei Territori palestinesi, denuncia che naturalmente può essere condivisa o meno, ma il cui scopo non è certamente quello di istigare all’odio razziale e/o religioso.
Per essere chiari, il paragone tra le stragi naziste in Italia e l’operato di Tsahal in Libano e in Palestina può senz’altro apparire forzato, quanto meno sul piano puramente “quantitativo”.

Ma non v’è dubbio alcuno, da un punto di vista della “qualità” dei crimini di guerra commessi, che Israele ed il suo esercito abbiano posto in essere in questi anni tutta una serie di brutalità, di assassinii illegali, di punizioni collettive, di massacri in un numero ed in una varietà davvero impressionanti e sbalorditivi.
Secondo il rapporto di Human Rights Watch relativo al 2006, la guerra in Libano ha causato la morte di oltre 1.100 Libanesi, per gran parte civili, e il ferimento di oltre 4.000 persone, oltre ad aver provocato circa un milione di profughi; degno di nota è il fatto che circa un terzo dei morti e dei feriti è rappresentato da bambini.

Sempre secondo HRW, “nella sua condotta delle ostilità, l’Idf (l’esercito israeliano, n.d.r.) ha ripetutamente violato le leggi di guerra mancando di distinguere tra combattenti e civili”, e questo senza considerare l’uso massiccio e indiscriminato delle cd. cluster bombs, che continuano anche dopo la cessazione delle ostilità a reclamare il loro tributo di morti e di feriti.

Nei Territori occupati, l’esercito israeliano – solo nel 2006 – ha ucciso ben 660 Palestinesi, 141 dei quali di età inferiore a 18 anni; ben 322 degli uccisi, secondo l’ong israeliana B’tselem, erano disarmati e non stavano in alcun modo partecipando a scontri o combattimenti: si tratta di quasi il 50% del totale!

In questo anno, al pari degli anni precedenti, abbiamo assistito a crimini ed atrocità senza paragoni, bambini e adolescenti uccisi mentre andavano a scuola, o addirittura seduti al loro banco, oppure mentre giocavano per strada, interi gruppi familiari massacrati da bombardamenti indiscriminati nelle loro case o su una spiaggia, oppure uccisi nel sonno da una bomba della Iaf, oppure ancora devastati nel corso di una delle tante esecuzioni “mirate”, donne e bambini uccisi perché si erano avvicinati troppo alla barriera “difensiva”, militanti palestinesi uccisi nel corso di operazioni di arresto che – come certificato da varie organizzazioni di tutela dei diritti umani – troppo spesso si sono trasformate in liquidazioni sommarie.

Come dovremmo definire tutto questo, che termini o paragoni dovremmo usare, oppure saremo costretti a rivolgerci ad un avvocato per poter criticare senza rischi l’operato di Israele e i crimini di guerra commessi dalle sue truppe di occupazione?

O, meglio ancora, dovremo delegare ogni critica a Israele agli ebrei “dissenzienti”, magari ai membri di European Jews for a Just Peace, visto che, almeno loro, difficilmente rischierebbero di essere incriminati per istigazione all’odio razziale e religioso?

Non posso credere che, in nome della “sicurezza” di Israele e, soprattutto, della terribile minaccia portata da questo fantomatico e sempre risorgente antisemitismo, stiamo sacrificando uno dei nostri beni più preziosi, la libertà di manifestazione del pensiero.

Libertà di parola e di espressione che costituisce, al contrario del sionismo, uno dei valori fondanti del nostro Paese come di ogni democrazia che si rispetti e che per questo, con molto maggior merito, avrebbe potuto trovar posto in un intervento del nostro Presidente della Repubblica.

Vichi
Fonte: http://palestinanews.blogspot.com/
Link: http://palestinanews.blogspot.com/2007/02/guai-chi-tocca-israele.html
09.02.2007

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