DI VALERIO LO MONACO
il.ribelle.com
Tra i tanti – e miscelati, e qualche volta confusi – temi affrontati da Beppe Grillo nel corso del comizio di Parma tenuto il 22 settembre scorso, ve ne è uno che va estrapolato. O meglio, va estrapolato il contenuto stesso del tema. Se solo vi fosse. Sì, perché almeno in merito all’argomento che più degli altri ha guadagnato le cronache dei giornali, ovvero quello del referendum sull’Euro, il contenuto è difficile a trovarsi. Almeno dalle parole di Beppe Grillo stesso. Il che è doppiamente deprimente.
Prima i fatti. A Parma, Grillo ha detto chiaramente di non voler «uscire dall’Euro». Ma altrettanto chiaramente ha detto che vorrebbe un «referendum propositivo, senza quorum, per lasciar decidere agli italiani se stare dentro o fuori dall’Euro».
Ora, al di là del fatto che arringare una folla che pende dalle sue labbra, esortandola a richiedere un referendum per decidere una cosa sulla quale egli stesso già dichiara il proprio punto di vista (“non voglio uscire dall’euro”) è una cosa ridicola, c’è però un fatto ulteriore, che è ancora più importante.
Dire di voler fare un referendum per scegliere se uscire o meno dall’euro, soprattutto nel momento in cui i sentimenti a favore dell’euro sono ai minimi storici, oltre alla cosa buona in sé – la via referendaria è in ogni caso una delle poche pratiche pseudo-democratiche rimaste – e al tempo stesso non spiegare né perché si dovrebbe indire un referendum del genere né cosa si propone in caso di uscita dall’euro è, purtroppo, vero e proprio populismo. E questa volta – questa volta almeno – nel senso più deteriore del termine.
Da una forza politica che inizia a essere di un certo spessore numerico, e che si propone con argomenti certamente tabù per la stragrande maggioranza delle altre forze politiche in circolazione nel nostro Paese, lanciare un tema del genere impone – ripetiamo: impone – che lo si argomenti a dovere. E per due motivi. Intanto perché si tratta con tutta evidenza di un tema fondamentale che inizia a essere sulla bocca, e forse nei pensieri, di molti, e che dunque, per portare qualcosa di serio al dibattito, deve essere affrontato con cognizione di causa. In secondo luogo perché visto che tutte le altre forze politiche, mediatiche, finanziarie e amministrative lanciano strali al solo pronunciare i termini “uscita dall’euro” e non perdono momento per innescare del terrorismo gratuito sulle conseguenze dannose di tale azione, ebbene è certamente il caso che chi abbia da dire qualcosa in tal senso lo faccia in termini chiari. E soprattutto con una visione dei perché di tale opzione e di cosa si potrebbe fare una volta presa tale decisione. In altra parole: a un movimento come quello di Grillo, che vive di suggestioni e di proposte, non possiamo perdonare il fatto di non avere una idea chiara, e una proposta altrettanto lucida come invece ha in altri casi, su uno dei temi cardine della nostra modernità (e della nostra crisi economica e sociale).
Grillo dice di voler fare un referendum ma non spiega perché è necessario farlo né come si potrebbe fare una volta usciti dall’euro. Sia chiaro, seguiamo il Movimento 5 Stelle con curiosità e in qualche caso anche con sincere aspettative, visto che si tratta di una tra le cose veramente importanti, dal punto di vista politico, dell’ultimo decennio (il che è tutto dire ma questo sarebbe un altro discorso). E proprio per questo non possiamo tacere sull’argomento.
Grillo in tal senso, e da tempo, non si esprime. Si trovano su internet dei video in cui in tempi non sospetti (anni addietro), durante alcuni suoi spettacoli, iniziava ad affrontare anche i temi della moneta debito e del signoraggio. Ma poi sull’argomento è calato il (suo) silenzio.
Ancora oggi, e nei suoi post e discorsi recenti, si trovano diverse cose interessanti e in un modo o nell’altro collegato all’argomento madre cui ruota attorno l’euro e tutto il baraccone a esso collegato.
Ad esempio in un post recentissimo, del 21 aprile scorso, che riportiamo interamente, scriveva in modo inequivocabile:
Viviamo ormai per pagare gli interessi sul debito pubblico. E’ una fornace in
cui via via inceneriamo servizi sociali, nuove tasse, risparmi, case, diritti.
Mentre alimentiamo questo roveto ardente ci impoveriamo. Più ci impoveriamo,
più il debito aumenta e più aumentano gli interessi sul debito. Dopo sei mesi
della cura Monti il debito pubblico è cresciuto e si avvicina ai 2.000
miliardi mentre l’occupazione è scesa e per questo, inevitabilmente, nel 2012
diminuirà bruscamente il gettito fiscale. Nel 2013 dovremo pagare oltre 100
miliardi di euro di interesse sul debito, circa un quarto dei 420 miliardi di
tasse annuali. Ci stiamo avvitando come un aereo in picchiata per sostenere
l’euro e pagare gli interessi accumulati dal Pdl e dal Pdmenoelle durante uno
sciagurato ventennio.
A chi paghiamo gli interessi? Il debito pubblico è detenuto soltanto per il
14,3% da famiglie italiane. L’85,7% da banche, fondi e assicurazioni e altri
investitori. Il 46,2% all’estero, in prevalenza banche francesi, tedesche,
inglesi. Le banche sono i nuovi padroni, per nulla disponibili a rinunciare
alla loro libbra di carne. A diminuire gli interessi, ad esempio, o a diluire
nel tempo la restituzione del capitale. L’Italia non dispone di sovranità
monetaria, non è possibile una svalutazione della lira e un riallineamento
conseguente dei titoli alla nostra economia che vale molto meno rispetto al
momento della loro emissione. Svalutare la lira equivaleva svalutare i titoli.
Oggi non è più così. Abbiamo un cappio al collo che non possiamo toglierci e
che stringerà sempre di più se non ristrutturiamo il valore dei titoli che
valgono il 20/30% in meno del loro valore iniziale. Senza il prestito di mille
miliardi della BCE alle banche al tasso dell’1% ,usati per comprare nuovi
titoli al 5/6%, l’Italia sarebbe in pre default.
Rimandare il problema non serve. Diminuire gli interessi sul debito nel medio
termine e la contemporanea emissione di nuovi titoli di Stato a basso/medio
rendimento sono una “mission impossible”. Il ricatto è sempre il solito, se
non si prosegue su questa strada si esce dall’euro. Ma dall’euro siamo già
usciti, l’euro non rispecchia più il valore della nostra economia, al massimo
il 60%. Uscire dall’euro non deve essere un tabù. Gran Bretagna e Danimarca
sono parte della UE e hanno mantenuto le loro monete. Si può fare, bisogna
iniziare a discuterne. Non è mai troppo tardi per tornare indietro da una
strada lastricata per l’inferno.
E ancora, il 27 aprile:
Per rimanere nell’euro stiamo affamando il Paese, strangolando le aziende,
trasferendo la ricchezza privata a copertura degli interessi sul debito
pubblico che è (purtroppo) in euro. Se fosse in lire potremmo risolvere il
problema del debito con la svalutazione della nostra moneta. (…) Se per
rimanere nell’euro e pagare gli interessi sul debito alle banche, in
prevalenza tedesche e francesi, dobbiamo uccidere l’economia del nostro Paese
forse è il caso di fermarsi a riflettere. In particolare se il debito pubblico
e lo spread aumentano comunque mentre veniamo strangolati. L’euro non può
essere un tabù.
E infine ancora prima, a fine 2011, quando scriveva:
È stato demoniaco e certamente tafazziano legare il valore dei NOSTRI titoli
pubblici al valore dell’euro sul quale non abbiamo alcun controllo e che
prescinde dalla nostra economia reale.
Insomma, Beppe Grillo sul tema c’è. Ma gli gira attorno. Evita accuratamente di prenderlo di petto spiegando la motivazione principale di tutte le sciagure che l’Euro porta con sé per chi lo adotta.
I punti cardine, almeno su queste pagine non sono novità, risiedono infatti non tanto o non solo sull’euro, ma su chi lo detiene. Ovvero su chi può coniarlo. Su chi può batterlo e può deciderne i tassi di interesse. Insomma sul padrone della moneta, la Banca Centrale Europea, rispetto ai suoi sudditi-schiavi, cioè tutti noi che siamo costretti a usarlo perché unica moneta in corso legale.
Ora, un discorso serio sull’euro, o si affronta partendo dal punto principale oppure si deve tacere. O si spiega in tutti i modi possibili perché dovremmo uscirne, e perché dovremmo tornare a una moneta nazionale, non privata, ma pubblica, di proprietà unicamente dello Stato e dunque di noi cittadini, oppure parlare di ritorno alla Lira è irrilevante. E fa avere, anzi, presagi dannosi: svalutazioni, iper inflazione, acquisto di merci estere impossibile e via dicendo. Sortendo l’effetto di infondere paura, anziché speranza, in chi ha pur capito che attorno a questo tema è doveroso riflettere.
È, questo esempio in merito al discorso dell’euro, uno dei motivi che non ci hanno permesso di abbracciare mai per intero il Movimento di Grillo. Certo, lo seguiamo costantemente, che di materia ce ne è certamente di più rispetto a quella presente nella altre forze politiche, ma sino a che una forza che si vuole rivoluzionaria (parola usata da Grillo, sia chiaro) come questa non riesce a entrare in modo deciso su questioni vitali, tutto il resto si riduce a mera amministrazione dell’esistente. Come abbiamo detto altre volte: è come fare di tutto per sistemare l’impianto elettrico della propria abitazione, facendolo fare a norma, senza imbrogli, senza giri di mazzette per prendere la commessa, mentre però è il palazzo stesso che sta venendo giù.
Valerio Lo Monaco
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23.09 2012
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