DI CARLO BERTANI
Salve a tutti. No, non ho avuto un rigurgito di presunzione ed ho deciso di presentarmi come Marco Travaglio sul blog di Beppe Grillo: semplicemente, torno alla luce dopo circa 60 ore di sospensione. Finalmente, tornata la corrente elettrica, posso di nuovo scrivere.
L’inizio è stato soft: tanta neve che scendeva sui tetti e sulla piazza deserta. Minuti: poi, ore e giorni.
Alla fine, più di mezzo metro di neve dappertutto: la mia auto, sotterrata dai vari passaggi dello spartineve, al termine della questione aveva un solo manto che si congiungeva, da terra al tetto.
In queste sessanta ore abbiamo vissuto quasi sempre senza corrente elettrica – no microonde, caldaia (pompa elettrica), ADSL, TV, Radio (non ho più trovato la vecchia radio a pile…), phon, ecc – poi senza pane (impastatrice del panificio ferma) e senza aprire il congelatore: quando va via la corrente, speri solo di salvare quel che c’è dentro e non lo apri per niente.
L’unico cordone ombelicale che ancora ci congiungeva al mondo era il telefono, quello normale, poiché la rete GSM è la prima a saltare. Anche quando è tornata la corrente, in TV c’erano solo canali grigi e muti.
Addossati alla stufa a legna – tecnologie semplici – ed alle candele (buona scorta, fatta più per sfizio che per altro al Lidl, anni fa) abbiamo cotto chapati[1] sulla stufa ed abbiamo trascorso così il tempo, impastando e caricando la stufa, che ci ha fornito abbondante calore per scaldarci e cuocere alimenti, acqua calda ed è stata addirittura usata come rudimentale phon. Si sa, le ragazze non tollerano d’avere i capelli sporchi nemmeno durante le emergenze.
Dalla scuola giungevano notizie contrastanti: era aperta, sì, ma non c’era praticamente nessuno, a parte quelli che abitavano a poca distanza. Altre erano state chiuse con ordinanze dei Sindaci, in qualche caso credo sia intervenuto il Prefetto. Per il resto, ognuno per sé e Dio per tutti.
La ragione di queste differenze è da cercare nella maledetta statistica, poiché chi chiude una scuola perde qualche punto nella classifica di merito che qualcuno, al termine di qualcosa, stilerà. Se, invece, non la chiudi e la passi liscia – ossia non finiscono corriere nei fossi e non cedono tetti – avrai vinto qualche punto nella classifica dei Comuni, nel campionato delle Municipalità, con tanto di bonus e maglietta premio. Dopo tanti anni, e con tanti punti accumulati, la gente comune vince un forno a microonde: i politici, una nomination alla Regione.
Se ti va male, meglio telefonare subito a qualche amico giornalista, per ridurre la cosa al suo “semplice ambito” di “emergenza non prevedibile”.
Ho ritenuto che, mettersi in strada con quel tempo, non fosse una priorità di quelle concesse dalla Protezione Civile in questi casi: d’altro canto, correre il rischio di un incidente per andare in una scuola vuota, non mi pareva cosa sensata. Oltretutto, perché nessuno ti ripaga i danni di un eventuale incidente.
Sui mezzi pubblici c’è poco da fare affidamento: le corriere possono arrivare, ma non comparire per ore. Come le diligenze dei Moschettieri.
La ferrovia, qui da noi, anche quest’anno è “sospesa” come lo fu tre anni fa. Allora, si trattò di “urgenti” lavori da effettuarsi sulla galleria del Belbo – quella che fece costruire Cavour per “forare” la Langa – oggi, invece, si tratta d’ammodernamenti resi necessari per portarla agli standard europei. Sempre la stessa galleria di Cavour, su una linea a binario unico: ma, tre anni fa, non esisteva l’UE? Non sapevano che c’erano dei regolamenti da rispettare? Perché non costruirne una parallela e raddoppiare, finalmente, la linea? Boh…
L’azienda che ha vinto l’appalto per i pullman sostitutivi è la stessa di tre anni fa: su…non fate quella faccia…io non ho scritto niente. Se credete nelle dietrologie, bisogna poi dimostrarle e, a me, della cosa importa assai.
Quello che più mi premerebbe, quando non c’è il treno, è che almeno ci fossero i pullman per sostituirli. Purtroppo, l’azienda che ha vinto l’appalto ha sede in Centro Italia e l’autista più “nordico” proviene da Roma: gente abituata alla neve, ci mancherebbe.
Dopo incidenti avvenuti (o mancati per poco), quando c’è neve la Polizia Stradale impedisce loro d’uscire dai depositi, quindi: rotaie coperte di neve e pullman sostitutivi abrogati. Insomma, non ti rimane che osservare i bagliori della stufa: chi ha un caminetto, gode anche dell’aspetto iconico.
Sia chiaro: non ce l’ho proprio con quei poveracci di Matera e di Campobasso che guidano i pullman. In queste condizioni proibitive, solo chi ha esperienza di neve e ghiaccio, ha pneumatici da neve, catene (quelle, mai viste) e l’insostituibile conoscenza del territorio può prendersi la responsabilità d’afferrare il volante. Un volante al quale sono affidate decine di vite: ne sa qualcosa mia figlia, che tre anni or sono trascorse dodici ore con la corriera scivolata in un fosso, senza riscaldamento e con una buona dose di paura addosso.
Sempre tre anni or sono, a qualcuno dei “dispersi” nella notte sulla A6 TO-SV andò peggio: trascorsero la notte nelle gallerie, mantenendo acceso a turno un solo motore per scaldarsi. Della tanto strombazzata Protezione Civile, nessun segno.
L’ultimo afflato della nevicata dello scorso anno, colpì una donna che era stata a sua volta colpita da infarto: niente paura, c’è l’elisoccorso. Peccato che, quando giunse l’elicottero, nessuno aveva provveduto a sgombrare l’eliporto e la relativa strada d’accesso. Ad ogni buon conto, quando arrivò il carro funebre, la strada era sgombra.
Due parole dovremmo spenderle anche per chi deve sgomberare la neve dalle strade: secondo le direttive, se c’è la neve – stesi complessi memorandum fra le parti – c’è chi deve sgombrarla. Così parrebbe.
Il problema è che i Comuni hanno le casse sempre vuote e, allora, varano aste al ribasso che più ribasso non si può. Anche qui, non vorremmo cedere alle sirene che narrano di rapporti “strettissimi” fra qualche amministratore e le aziende – non lo possiamo affermare perché non ne abbiamo le prove – e quindi vorremmo invitare i lettori a non percorrere i fantasiosi sentieri della speculazione sulle corruttele. Se esse esistessero, magistrati come la Forleo e De Magistris ce lo racconterebbero subito.
In definitiva, i “ribassi” sono così bassi che le aziende puntano su Giove Pluvio: ossia, ci “stanno dentro” solo se non nevica o se nevica pochissimo.
Se i decimetri iniziano a sommarsi ai decimetri, i litri di gasolio e le ore da pagare iniziano a pesare un po’ troppo alla voce “spese”, e finiscono per “raffreddare” i motori. Si “passa”, sì, quel tanto che basta per dire che si è passati, per togliere il “grosso”, sperando che il grosso non diventi enorme.
Inutile dire che le aree di parcheggio e quant’altro non vengono nemmeno prese in considerazione: l’auto ideale, in questi casi, è quella “tascabile”, nel senso che quando arrivi la ripieghi nel portafogli. In alternativa, usare i mezzi pubblici (quando e se ci sono), oppure il treno che è sostituito da autobus senza catene, arrestati dalla previdente Polstrada prima che combinino guai.
Le Ferrovie, interpellate sul motivo della “pause” sempre invernali, rispondono che a loro conviene così: siamo un’azienda, siamo finalmente sul mercato, per Dio! D’estate, si guadagna di più con i treni dei villeggianti che vanno al mare! Che volete che ci freghi di questi straccioni – studenti e lavoratori – che pagano un misero abbonamento!
Terminata l’emergenza, siamo riemersi (dopo aver spalato per ore) e sono tornato a scuola. La prima cosa che ho fatto, è stata collegarmi alla rete per osservare cos’era successo nel pianeta.
Niente di grave: un paio di scarpe per Bush, tanta paura per la temuta esondazione del Tevere, un Governatore in più al Pd + L ed uno in meno al
Pd – L, la strabiliante novità delle corruttele fra i boiardi di Stato ed i loro lacché politici. Business is usual.
Ho cercato qualche notizia che riferisse sull’emergenza appena trascorsa, ma ho trovato poco. Mia madre ci riportava qualcosa al telefono – da lei pioveva ed abita in collina, nessun pericolo d’inondazione, al massimo qualche frana di quelle che sulle strade restano recintate dal nastro rosso per anni – e raccontava che i solerti giornalisti del TG3 regionale riferivano che, in provincia di Cuneo, c’era qualche problema…sì…ma lo spettacolo di tanta neve era stupendo e gli albergatori – finalmente! – intravedevano una stagione sciistica come non se ne vedevano da anni! Insomma, mercato über alles.
Qualche minuscola testata locale riferiva che, ancora nel pomeriggio di Lunedì 15 Dicembre 2008, le utenze prive d’energia elettrica nel cuneese erano 48.000. Non ho trovato dati sulla parte di competenza ligure, ma immagino che fossero parecchie anche lì. Insomma, facendo due conti a spanne, c’erano 200.000 persone senza corrente, ma lontane dalle città. Gente che non fa numero né è degna d’informazione: per questo riteniamo di doverlo fare noi – che qui eravamo – per prima cosa come dovere di cronaca.
Se la cosa si concludesse qui, avremmo probabilmente compiuto il nostro dovere di cronisti, ma – siccome la terza pagina ci ha sempre affascinato – non ci limitiamo all’informazione, perché rischierebbe dì tramutarsi in sterile lamentazione.
L’analisi, dopo aver sintetizzato gli eventi, parte proprio dal rapporto fra popolazione e territorio, poiché in Italia riusciamo ad individuare una moltitudine d’universali fra loro concorrenti, oppure simbiotici, in altri casi metà e metà. Si va dai cattolici ai non credenti, dai “destri” ai “sinistri”, dai settentrionali ai meridionali, fino agli eterosessuali ed agli omosessuali, e chi più ne ha più ne metta. Per Guelfi e Ghibellini, il tempo per presentare la domanda è scaduto: ci spiace.
Anzitutto, pochi, sintetici dati sulla disposizione della popolazione italiana sul territorio[2]:
Il 75% circa della popolazione italiana vive in comuni superiori ai 15.000 abitanti.
Il 25% in quelli inferiori ai 15.000 abitanti.
I comuni con più di 15.000 abitanti sono il 15% circa del totale.
Quelli con meno di 15.000 abitanti sono il restante 85%.
Inoltre, il 55% dei comuni è compreso nella fascia da 2000 a 5000 abitanti: più della metà dei comuni italiani, quindi, sono dei “Fort Apache”. Lo squilibrio è evidente.
Gli spostamenti migratori sono complessi, ma tendono comunque all’accentramento: non più verso le grandi città (laddove i centri sono adibiti soprattutto al terziario), ma verso le “cinture”, dove crescono comuni con numero d’abitanti a cinque zeri.
Insomma, la popolazione italiana va verso un “naturale” ed inarrestabile inurbamento: certo, passare giorni completamente isolati, fa passare la voglia di rimanere a Fort Apache. Soprattutto, perché delle migliaia di Fort Apache non frega un accidente a nessuno.
La disposizione della popolazione sul territorio – oggi – ancora compete alla politica? E’ fuor di dubbio che, se lo domandassimo a Stalin o ad Hitler, risponderebbero con un entusiastico “sì” senza condizioni, ma il loro parere – in questi frangenti – non ci può interessare. Soprattutto perché vissero un’altra epoca e poiché non vorremmo dover sloggiare per far posto ad altri: non sono questi i termini della questione.
Se, invece, riteniamo che il “mercato” debba essere prevalente – come sembrano affermare i Pd +/- L – andiamo dai parenti della donna morta perché l’elicottero non è potuto scendere, e magnifichiamo loro le straordinarie potenzialità del mercato. Un consiglio: munirsi di giubbotto antiproiettile o, per lo meno, calarsi un secchio sulla testa a mo’ di elmetto.
In definitiva, fra mercato ed assolutismo politico, finiamo per rimanere schiacciati non dalla neve, ma da una massa d’inconcludenze, da una raffica di non decisioni, da milioni di struzzi con gli occhi nella sabbia ed i culi all’aria. I quali, sollevano il gozzo solo il giusto tempo per rimpinzarsi a dovere.
Si tratta di una questione di risorse? Della loro gestione?
Dipende da quale gestione delle risorse immaginiamo per il futuro.