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La Redazione

 

GLOBALIZZAZIONE, NIENTE DI NUOVO:GUARDA LA TRATTA DEGLI SCHIAVI

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A cura di Davide
Il 1 Febbraio 2006
72 Views

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Il testo che segue è il discorso chiave tenuto dal famoso scienziato informatico Philip Emeagwali, il 18 settembre 2004, alla conferenza Pan-Africana sulla Globalizzazione che si è tenuta a Washington D.C.

DI PHILIP EMEAGWALI

La Globalizzazione, o la capacità di molte persone, idee e tecnologie di spostarsi da paese a paese, non è nuova. In Africa ebbe inizio con la tratta degli schiavi e ricevette impeto dal colonialismo e dai missionari cristiani.
I primi missionari videro la cultura Africana e la sua religione come nemici mortali, un male che bisognava eliminare. Nel 1876, una missionaria di 27 anni, chiamata Mary Slessor, partì dalla Scozia per passare il resto della sua vita in Nigeria. Per il grande impegno messo nel cercare di convertire il popolo della Nigeria si è meritata di apparire, in foto, sulla banconota Scozzese da dieci sterline, e il suo nome è stato dato a scuole, ospedali e strade di tutta la Nigeria.blank

L’introduzione alla biografia di Mary Slessor, “Regina Bianca dei Cannibali” è rivelatrice:”Sulla costa ovest dell’Africa c’è la Nigeria. La capitale è Calabar” diceva Madre Slessor. “è un paese oscuro, perchè la luce del Vangelo non splende brillante laggiù. Gente dalla pelle nera vive lì. Molti di questi sono cannibali che mangiano altre persone.”
“Sono gente cattiva, non è vero Madre?” chiese la piccola Susan.

“Sì, sono cattivi, perchè nessuno gli ha insegnato nulla di Gesù, il Salvatore dai peccati, o gli ha mostrato cosa sia giusto e cosa sbagliato.”

Queste parole di apertura mostrano chiaramente che Mary Slessor venne in Africa allo scopo di indottrinarci con la teologia Cristiana. Ci disse che adoravamo un dio inferiore e che appartenevamo ad una razza inferiore. Lavorò per espellere ciò che lei riteneva “selvaggio” dalla nostra cultura e tradizione, e incoraggiò la “civiltà” all’europea affinchè mettesse radici in Africa.

Noi accettammo le scuole missionarie che furono fondate per illuminarci, senza preoccuparci dell’imprevisto costo della nostra cosiddetta educazione. Queste scuole missionarie hanno saccheggiato l’autostima dei nostri bambini insegnandogli che, in quanto Africani, erano naturalmente “gente cattiva”. I nostri bambini sono cresciuti col desiderio di non essere più cittadini Africani. Bensì, la loro educazione alimentò l’ideale colonialistico che sarebbero stati meglio se fossero divenuti cittadini della nazione colonizzatrice.

Sto parlando del prezzo che gli Africani hanno pagato per la loro educazione, illuminazione, partendo dalla mia esperienza personale. Sono nato “Chukwurah”, ma i miei insegnanti della missione insistettero perchè cambiassi il mio nome “pagano”. Il prefisso “Chukwu” è una parola che in lingua Igbo significa “Dio”. Quindi, in qualche modo, i missionari sostenevano che “Chukwurah” fosse il nome di un pagano senza dio. La Chiesa Cattolica mi ribattezzò “Philip”, e San Filippo divenne il mio patrono protettore, prendendo così il posto di Dio, con il cui nome ero stato chiamato.

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(PHILIP EMEAGWALI)

Sostengo che quello che ho perso è ben più di un nome. Qualcosa di centrale nella mia identità culturale è stato strappato via.

Questa negazione del nostro passato è l’esatto contrario di una buona educazione. I nostri nomi non sono solo il nostro retaggio ma ci collegano ai nostri genitori e al nostro passato. Quando diventiamo genitori, il nome che sciegliamo per nostro figlio riflette i nostri sogni per il suo futuro, e la nostra consapevolezza che lui rappresenta un tesoro per noi.
Il mio indottrinamento andò ben oltre il semplice nome. Alla scuola missionaria cercarono di insegnarmi che i santi sono un modello di gran lunga superiore agli uomini di scienza. Mi insegnarono a scrivere in una nuova lingua. Il risultato è che sono letterato in Inglese ma analfabeta in Igbo, la mia lingua natale. Ho imparato il latino, una lingua morta che non avrei mai usato nel mondo moderno, perchè era la lingua ufficiale della Chiesa Cattolica che possedeva la scuola che frequentavo.

Oggigiorno ci sono molte più persone che parlano francese in Africa di quante ve ne siano in Francia. Più anglofoni in Nigeria di quanti ve ne siano nel Regno Unito. C’è molta più gente che parla portoghese in Mozambico che in Portogallo.

L’Organizzazione per l’Unità Africana non ha mai approvato alcuna lingua Africana come lingua ufficiale. Abbiamo vinto la battaglia per decolonizzare il nostro continente, ma abbiamo perso la guerra per quanto riguarda la decolonizzazione delle nostre menti.

Molti ammettono che la globalizzazione plasma il futuro, ma pochi ammettono che plasma anche la storia, o almeno il modo in cui viene percepita. Ancora meno ammettono che la globalizzazione è una strada a doppio senso.

L’Africa è stata una colonia, ma ha anche dato un contributo chiave a molte altre culture, ed è la pietra angolare della società odierna. Le prospettive del mondo tendono ad offuscare e a ignorare i valori e le aspirazioni dei popoli colonizzati. Ancora una volta devo portare la mie esperienza per illustrare questo punto.

Sono cresciuto facendo il chierichetto per un prete Irlandese. Volevo diventare un prete anch’io, ma alla fine ho fatto lo scienziato. La religione si fonda sulla fede, mentre la scienza si fonda sui fatti e sulla ragione, la scienza è neutrale rispetto alla razza… Sfortunatamente gli scienziati non sono neutrali riguardo alla razza.

Ad esempio, l’origine dell’AIDS come malattia internazionale. Secondo i dati scientifici il primo a morire di AIDS fu un ragazzo di 25 anni, David Carr, di Manchester, Inghilterra. Carr morì il 31 Agosto del 1959, e siccome la malattia che lo uccise era allora sconosciuta, furono prelevati campioni dai suoi tessuti per analizzarli in futuro.
Riguardo alla “malattia sconosciuta” che uccise David Carr si parlò sulla rivista medica “The Lancet” il 29 Ottobre 1960. Il 7 Luglio del 1990, il Lancet rianalizzò quei vecchi campioni presi da David Carr e confermò che Carr mori di AIDS. Se si fossero attenuti alle ragioni scientifiche, i ricercatori avrebbero dovuto dedurre che l’AIDS si sia originata in Inghilterra e che David Carr andò in Africa dove diffuse il virus. Invece, la comunità scientifica “bianca” condannò gli autori britannici che avevano rivelato quegli articoli, per avere osato proporre che il primo malato di AIDS al mondo fosse un Inglese.
Se questi scienziati fossero stati neutrali rispetto alla razza, i loro dati li avrebbero condotti alla conclusione che il Paziente Zero viveva in Inghilterra. Se fossero stati neutrali alla razza, avrebbero dovuto concludere che l’AIDS si diffuse Inghilterra poi in Africa, Asia e America. Invece hanno proposto la teoria che l’AIDS si sia originata in Africa.

Anche la storia ha degradato le nostre radici africane. Siamo andati negli Stati Uniti e abbiamo imparato una storia filtrata dallo sguardo degli storici bianchi. E impariamo storie che passano attraverso gli occhi dei produttori di Hollywood.

Alcuni di noi si lamentano che Hollywood manda messaggi distorti a tutto il mondo globalizzato. Altri dicono che Hollywood è una macchina di propaganda culturale usata per supportare la supremazia dei bianchi.

George Bush ha capito che Hollywood è una macchina di propaganda che poteva essere usata nella sua guerra contro il terrorismo. Immediatamente dopo il bombardamento dell’11 Settembre su New York, Bush invitò i mogol di Hollywood alla Casa Bianca e sollecitò il loro supporto alla guerra contro il terrorismo.

Qualcuno sosterrà anche che le scuole giocano un ruolo importante in quanto centri di indottrinamento federale, usati per convincere i bambini durante gli anni della loro formazione, che i bianchi sono superiori alle altre razze. Fela Kuti, che ha detestato l’indottrinamento, intitolò uno dei suoi album musicali “Prof non insegnarmi assurdità”(Teacher don’t teach me nonsense).

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Mi spaventa che un’intera generazione di bambini africani stia crescendo condizionata dall’interpretazione hollywoodiana che promuove gli eroi americani. I nostri figli crescono idolatrando eroi americani coi quali non potranno mai realmente identificarsi.

Abbiamo bisogno di raccontare ai nostri bambini le nostre storie dal nostro punto di vista. Dobbiamo decolonizzare il nostro pensiero ed esaminare le verità di fondo con mezzi migliori dei film. Bisogna che applichiamo lo stesso principio alla storia e alla scienza che vengono rappresentate nei libri di testo.

Guardate alla scienza e alla storia africane e a come sono state riraccontate dagli storici europei; sono state ricentrate intorno all’Europa. I primi pionieri della scienza vissero in Africa, ma gli storici europei li hanno ricollocati in Grecia.

Scienza e tecnologia sono doni che l’Africa antica ha dato al nostro mondo moderno. Eppure nei nostri testi di scienze, per esempio, abbiamo ignorato i contributi di Imhotep, il padre della medicina e il disegnatore di una delle più antiche piramidi.

Il sapere è come una trapunta, questa è composta di diversi strati tenuti insieme dai disegni incollati sopra e da pezze di molti colori. La pezza più antica della trapunta della scienza appartiene ad un africano che si chiamava Imhotep. E’ stato il primo scienziato della storia, almeno secondo quanto dice il prolifico scrittore di scienza Americano, Isaac Asimov.

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(Una statua di Imhotep)

La pezza più antica sulla trapunta della matematica appartiene ad un altro africano, Ahmes. Isaac Asimov accredita Ahmes anche come il primo autore di un libro di matematica. Pertanto uno studio di storia della scienza è un tentativo di cucire insieme una coperta che ha vita, trame e colori. Gli storici Africani devono inserire le pezze di informazioni che sono state omesse dai libri scritti dagli storici Europei.

Ci sono molti esempi dei segni che gli africani hanno lasciato nella storia del mondo. Gli Americani restano senza parole quando gli dico che sono stati gli africani a costruire sia la Casa Bianca a Washington che il Campidoglio. Secondo il Dipartimento del Tesoro Americano, 450 dei 650 operai che costruirono la Casa Bianca e il Campidoglio erano schiavi africani. Poiché la Casa Bianca e il Campidoglio sono i due simboli più visibili della democrazia Americana, è importante informare tutti i bambini in età scolare del nostro mondo globalizzato, che queste istituzioni sono il frutto del sudore e della fatica degli operai Africani. Questo deve anche essere un riconoscimento del debito che l’America detiene nei confronti dell’Africa.

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Allo stesso modo, i discorsi sulla globalizzazione dovrebbero dare credito a quegli africani che lasciarono il loro continente ed aiutarono a costruire altre nazioni in tutto il mondo, la maggior parte delle nazioni sulla Terra. Gli africani che hanno dato un contributo in Australia, in Russia, e in Europa devono essere riconosciuti così che i nostri bambini abbiano eroi con radici africane, così che possano conoscere le proprie radici ed esserne orgogliosi.

L’enorme contributo degli africani allo sviluppo e al progresso delle altre nazioni non è mai stato riconosciuto. Dobbiamo ancora riconoscere per esempio, che Sant Agostino, che scrisse la più grande autobiografia spirituale di tutti i tempi, Le Confessioni di S. Agostino, era africano; che tre Aaricani sono stati Papa; che gli africani hanno abitato in Europa dai tempi dell’Impero Romano; che Settimo Severo, una imperatore di Roma, rea Africano; e che la ragione per cui Beethoven era chiamato lo “Spagnolo Nero” (Black Spaniard) è che era un mulatto di discendenza africana.

Perchè siamo riluttanti a riconoscere i contributi e i lasciti dei nostri progenitori africani? Non possiamo invitare i nostri figli a guardare verso il futuro senza prima ricordargli i contributi dei loro antenati.

Guarda alla lunga lotta degli africani d’Australia che da poco sono divenuti cittadini con pieni diritti del loro continente d’origine. Gli africani vivono in Australia da 50.000 anni. Eppure agli africani d’Australia è stata garantita la cittadinanza solo 37 anni fa, del 1967. Secondo la CNN, gli africani d’Australia non sono stati considerati esseri umani prima del 1967. Erano governati “dalle leggi della flora e della fauna”. Gli africani d’Australia erano in pratica governati dalle leggi che valevano per le piante e gli animali. Per molti anni gli africani d’Australia sono stati descritti come “il popolo invisibile”. In fatti i primi coloni bianchi in Australia la chiamarono “la terra vuota di gente”. (the land empty of people).
E bisogna reclamare il contributo degli africani alla Russia. Il più famoso autore Russo, A. S. (Aleksandes Sergeyevich) c, ci disse di essere di origine africana. Il nonno di Pushkin venne portato in Russia come schiavo.

I russi considerano Pushkin in loro poeta nazionale, il patriarca della letteratura Russa, il padre della lingua Russa. In pratica Pushkin è per la Russia quello che Shakespeare fù per l’Inghilterra. Eppure gli Africani che hanno letto tutte le opere di Shakespeare, non hanno mai letto un solo libro di Pushkin.

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(Pushkin)

Mi è stato chiesto oggi di raccontarvi la storia che sta dietro la scoperta del mio supercomputer. Ci vorrebbero molti libri per raccontare tutta la storia, quindi ne racconterò una che non ho mai raccontato a nessuno.

Il viaggio alla scoperta del mio supercomputer è stato la lotta titanica di un solo uomo. Fu come scalare il Monte Everest. Molte volte ho pensato di arrendermi. Poiché ero traumatizzato dal razzismo che avevo incontrato in ambito scientifico, mi sono imposto un totale silenzio riguardo alla scoperta del supercomputer che ora mi reclama al successo.

Condividerò con voi l’intuizione che mi ha portato al supercomputer, che anche gli esperti in questo campo non conoscevano allora, e non conoscono adesso. Nel 1980 i supercomputer potevano eseguire solo un milione di operazioni al secondo e, di conseguenza, i loro timer erano disegnati per misurare solo un milione di calcoli al secondo. Solo che io eseguivo miliardi di calcoli al secondo e, senza saperlo, li cronometravo con un timer che misurava solo milioni di calcoli.

Davo per scontato che il mio timer potesse misurare miliardi al secondo. Mi ci sono voluti due anni per capire che il timer era starato di migliaia di volte. Stavo lavorando oltre il limite del supercomputer ma non lo sapevo. Chi aveva progettato il supercomputer non aveva previsto che i timer venissero utilizzati per misurare calcoli così veloci. Ormai mi ero arreso perchè non potevo misurare e riprodurre i miei calcoli, e di conseguenza non potevo mostrarli, due anni in anticipo, al mondo.

Dopo anni di ricerca, il timer era l’unica cosa in grado di impedirmi di ricevere il riconoscimento che mi spettava. Capii che il timer sbagliava, ma non sapevo spiegare il perchè. Passai due anni a rimuginare sul perchè il timer sbagliasse.

Ci sono voluti ben due lunghi e solitari anni per riuscire a scoprire come mai non potessi misurare i miei calcoli. I miei 3.1 miliardi di calcoli al secondo, che al tempo erano i più veloci al mondo, erano semplicemente troppo veloci per essere misurati dal timer dei supercomputer. Quello che ho imparato da questa esperienza è di non mollare nemmeno quando si incappa in un ostacolo insormontabile, credere in se stessi fa la differenza.

Ho imparato a fare un passo indietro e a valutare le opzioni: “Cosa è meglio? Passare attraverso, sopra, sotto e accanto all’ostacolo?” Decisi che lasciare non fosse un’opzione. E’ proprio vero il proverbio: quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. Guardando al passato ho imparato che la maggior parte delle limitazioni nella vita sono autoimposte. Devi fare accadere le cose, non aspettare che accadano da sole.

Per avere successo devi sempre rifiutare il compiacimento. Ho imparato che dovevo propormi obiettivi sempre più alti per riuscire a raggiungere il massimo. Il segreto del mio successo è che sono costante lotta per migliorare continuamente la mia vita, e che non sono mai soddisfatto dei mie successi.

Il mito che un genio abbia un’intelligenza superiore alla media, è solo un mito. I genii sono persone che hanno imparato a crearsi rinforzi positivi anche quando i loro esperimenti davano risultati negativi. La Perseveranza è la chiave. Il mio obiettivo era di andare oltre il conosciuto, in un territorio che nessuno aveva mai raggiunto prima.

Ho imparato che se vuoi con determinazione il successo e credi in te stesso, allora raggiungerai tutti i tuoi obiettivi, e diverrai qualunque cosa tu voglia. La sfida più grande nella vita è quella di guardarsi nel profondo e vedere la grandezza che sta dentro di noi, e in quelli intorno a noi.

I libri di storia potranno anche deprivare i bambini africani di eroi con cui possano identificarsi, ma nel perseguire i tuoi obiettivi, puoi diventare per loro quell’eroe, e magari anche per te.
Una volta credevo che la mia scoperta fosse più importante del percorso che mi aveva portato ad essa. Ora capisco che il viaggio è più importante della scoperta stessa; perchè il viaggio richiede di credere nelle proprie capacità.

Ho imparato che non importa quante volte cadi, o quanto duramente, quello che conta davvero è di rialzarsi e riprovare finché non hai successo.
E’ vero, alcuni eroi non saranno mai riconosciuti, ma quello che conta è che questi riconoscano loro stessi. E’ questo credere in te stesso, questo punto focale, e la convinzione interna che sei sul giusto cammino, che ti permetterà di superare gli ostacoli nella vita.
Se riusciremo a dare ai nostri bambini orgoglio nel loro passato, allora potremo mostrargli cosa possono essere, e potremo dargli quel rispetto di sè che li farà arrivare.”

Philip Emeagwali*
Fonte:www.globalresearch.ca
Link:http://www.globalresearch.ca/index.php?context=viewArticle&code=EME20060119&articleId=1751
19.01.06

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di AJRAM;

* Emeagwali ha contribuito alla nascita del supercomputer – la tecnologia che ha generato Internet. Nel 1989 ha ricevuto il Grodon Bell Prize, che è stato poi definito “Il Premio Nobel del Supercomputer”.

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