DI PETER SYMONDS
Dopo settimane di allarmismo da parte di funzionari americani riguardo alle attività della Cina nel Mar Cinese Meridionale, il Segretario di Stato John Kerry ha usato la sua visita a Pechino lo scorso fine settimana per stabilire un ultimatum ai leader cinesi di fermare la bonifica (e la rivendicazione territoriale) di isolotti e banchi di sabbia. Il suo omologo cinese Wang Yi ha seccamente rifiutato l’ultimatum, insistendo sul fatto che la Cina avrebbe salvaguardato la sua sovranità e integrità territoriale in ogni modo (“ferma come una roccia”).
Washington non ha intenzione di accettare una risposta negativa. In quella che è già una situazione esplosiva, la domanda che deve essere posta è: stanno gli Stati Uniti preparando un nuovo incidente del “Golfo del Tonchino” come pretesto per un’azione militare diretta contro gli impianti cinesi e le loro forze armate nel Mar Cinese Meridionale? Tale spericolata politica del rischio calcolato rischia di innescare una guerra tra due potenze nucleari.
I paralleli storici sono agghiaccianti. Nel 1964, il presidente Lyndon B. Johnson aveva bisogno di un pretesto per le decisioni che erano già state prese, ovvero coinvolgere militarmente gli Stati Uniti in una guerra civile in Vietnam e iniziare i bombardamenti degli obbiettivi nel Vietnam del Nord. Gli strateghi del Pentagono avevano concluso che il vituperato regime fantoccio di Washington a Saigon era incapace di sconfiggere da solo il Fronte di Liberazione Nazionale appoggiato dal Vietnam del Nord.
I preparativi per aumentare il coinvolgimento degli Stati Uniti furono redatti con largo anticipo. Nell’estate del 1964, gli Stati Uniti lavorarono con i vietnamiti del Sud per mettere in scena una serie di provocazioni per mezzo di motovedette fornite dagli US e per sondare e identificare al contempo i sistemi radar del Vietnam del Nord. Il 2 agosto, la USS Maddox stava monitorando una di queste incursioni nel Golfo del Tonchino, una zona del Mar Cinese Meridionale. La USS Maddox, che stazionava a otto miglia al largo della costa, ben al di dentro delle 12 miglia delle acque territoriali del Vietnam del Nord, provocò uno scontro a fuoco con delle piccole imbarcazioni nord vietnamite.
Due giorni dopo, la USS Maddox, accompagnata dal cacciatorpediniere C. Turner Joy, riferì di essere stata sottoposta al fuoco nemico. Nei fatti non ci fu nessun attacco. L’incidente interamente fabbricato a tavolino, insieme al fuoco di sbarramento mediatico degli organi d’informazione e alle menzogne ufficiali, fu utilizzato per dipingere il Vietnam del Nord come l’aggressore. La risposta militare degli Stati Uniti diventò quindi giustificata: azioni difensive per mantenere “la pace internazionale e della sicurezza nel sud-est asiatico.”
La risoluzione “Golfo del Tonchino” fu approvata dal Congresso degli Stati Uniti il 7 agosto 1964 con soli due voti contrari. Ha fornito la copertura quasi-legale per una guerra a tempo indeterminato in Vietnam che ha causato milioni di vittime, ha devastato l’economia del paese e ha lasciato un’eredità di distruzione che è rimasta sino ai giorni nostri.
Oggi è in gioco molto di più. Per decenni gli Stati Uniti hnno dimostrato poco interesse per l’inasprimento delle dispute territoriali tra la Cina e i suoi vicini del Sud-Est asiatico nel Mar Cinese Meridionale. Nel 2010, però, il segretario di Stato americano Hillary Clinton, nell’ambito della strategia del “pivot asiatico” dell’amministrazione Obama contro la Cina, ha dichiarato che gli Stati Uniti avevano “un interesse nazionale” nel garantire “libertà di navigazione” nelle acque strategiche (del Mar Cinese Meridionale).
Lo scorso anno Washington ha (definitivamente) abbandonato la sua posizione di neutralità nelle dispute marittime. Ha fortemente (aggressivamente) contestato la legittimità delle pretese della Cina e quindi la sua gestione dei vari scogli e banchi di sabbia. Ignorando attività analoghe da parte di altri contendenti, come le Filippine e il Vietnam, gli Stati Uniti hanno dipinto la bonifica (cinese) nel Mar Cinese Meridionale come una minaccia agli interessi nazionali (americani). Alla fine di marzo, l’ammiraglio Harry Harris, comandante della Flotta del Pacifico, ha denunciato le azioni della Cina come il tentativo di costruire “una grande muraglia di sabbia.”
Dalle parole gli Stati Uniti stanno passando ai fatti. Nell’ambito del “pivot” asiatico, il Pentagono è già impegnato in un massiccio rafforzamento militare e nel rinsaldare le alleanze e le partnership strategiche in tutta l’Asia contro la Cina. Una delle ultime navi da guerra, la USS Fort Worth, ha appena completato una settimana di pattugliamento, intitolata “libertà di navigazione”, nel Mar Cinese Meridionale allo scopo di testare e sfidare la presenza della Cina.
Mentre la USS Fort Worth è rimasta al di fuori delle acque territoriali rivendicate della Cina, il Segretario della Difesa Ashton Carter ha chiesto al Pentagono di elaborare piani per infrangere il limite delle 12 miglia ad opera di navi e aerei da guerra e sfidare direttamente la sovranità cinese. Indubbiamente, dietro le quinte, piani di guerra di gran lunga più dettagliati sono stati già redatti.
E’ significativo notare come la scorsa settimana, nel bel mezzo di un’audizione presso la commissione Affari Esteri del Senato americano dal titolo “La tutela degli interessi americani in Oriente e nei mari del sud della Cina”, l’assistente del segretario della Difesa David Shear ha sbottato dicendo che gli USA stavano predisponendo il dislocamento di bombardieri B1 nel nord dell’Australia come “bilanciamento” militare contro la Cina. Anche se in seguito ha smentito la dichiarazione, bombardieri B-52 con capacità nucleare gravitano già attorno alle basi aeree australiane.
In alcuni livelli della politica estera degli Stati Uniti stanno già ragliando per un’azione più concertata degli Stati Uniti nel Mar Cinese Meridionale al fine di dare alla Cina una lezione. Nel corso dell’audizione alla Commissione Affari Esteri del Senato della scorsa settimana, il presidente Bob Corker ha ripetutamente espresso l’opinione che l’amministrazione Obama non stava facendo abbastanza.
In un articolo pubblicato sulla rivista “National Interest” intitolato “È ora di alzare la testa contro la Cina nel Mar Cinese Meridionale”, l’analista dall’associazione conservatrice “American Enterprise Institute” Michael Mazza ha elogiato i piani del Pentagono per un maggiore impegno nelle manovre “libertà di navigazione”. L’analista ha poi aggiunto: “È importante che il presidente prenda la decisione di agire, e presto. Più a lungo si aspetta, più le posizioni cinesi diventeranno trincerate (radicate), sia in senso figurato che letterale”.
Questa logica è ciecamente condivisa in modo sempre più diffuso. Ciò che sta guidando le azioni provocatorie dell’imperialismo americano in Asia e in tutto il mondo è la determinazione di utilizzare la sua ancora formidabile forza militare per arginare il suo declino storico. Dal punto di vista di Washington, più aspetta, maggiori saranno le difficoltà e i pericoli per sottomettere Pechino ai suoi interessi. Così (nasce) la volontà di provocare uno scontro nel Mar Cinese Meridionale come una prova di forza, a prescindere dalle conseguenze potenzialmente disastrose.
Tuttavia, diversamente dalla Cina, Washington deve affrontare una diffusa opposizione sia in patria sia nel resto del mondo contro la guerra, sentimento generato in seguito a due decenni di continue guerre comprese le invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq. Nessuno dovrebbe essere sorpreso da un nuovo improvviso “Golfo del Tonchino”, pianificato al fine di cercare di convogliare e aizzare l’opinione pubblica ad appoggiare le operazioni militari di aggressione contro la Cina.
Peter Symonds
Fonte: www.informationclearinghouse.info
Link: http://www.informationclearinghouse.info/article41896.htm
18.05.2015
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Chachorro Quente