Gli USA levano il freno al nucleare

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Di Reuven Pedatzur

L’amministrazione americana, coperta dal segreto indicato dall’uso di nomi in codice militari, ha intrapreso un passo molto lungo e pericoloso che trasformerà la bomba nucleare in un’arma legittima per condurre la guerra.

Dall’attacco terroristico dell’11 settembre 2001, l’amministrazione Bush ha gradualmente staccato tutti i freni nucleari che hanno caratterizzato la politica americana durante la Guerra Fredda. Le bombe nucleari non sono più considerate “l’arma dell’estrema ratio”. La bomba nucleare non è più l’ultimo mezzo deterrente contro i poteri nucleari, che gli Stati Uniti non utilizzerebbero mai per primi.

Nell’era di un unico, spietato superpotere, i cui leader hanno intenzione di modellare il mondo in base alla propria dominante visione del mondo, le armi nucleari sono diventate uno strumento interessante per fare la guerra, anche contro nemici che non le posseggono.
Ricordate il nome in codice “CONPLAN 8022?” La settimana scorsa il Washington Post ha riportato che questo incomprensibile codice nasconde un programma militare la cui attuazione potrebbe trascinare il mondo in una guerra nucleare.

CONPLAN 8022 è una serie di piani operativi preparati dallo Startcom, il commando strategico dell’esercito americano, che prevede attacchi nucleari preventivi contro l’Iran e la Corea del Nord. Uno degli aspetti più importanti del piano è l’utilizzo di armi nucleari per distruggere le strutture sotterranee dove la Corea del Nord e l’Iran stanno sviluppando le loro armi nucleari. Le armi standard degli americani non sono in grado di distruggere queste strutture.

Dopo la guerra in Afghanistan, è diventato chiaro che, nonostante l’utilizzo diffuso di “bunker-buster”, enormi bombe convenzionali, alcuni dei bunker scavati da Al-Qaida sono rimasti intatti. Questa scoperta ha presto portato alla decisione di sviluppare armi nucleari, che siano in grado di penetrare e distruggere i rifugi sotterranei nei quali i due stati membri dell’“asse del male” stanno sviluppando armi di distruzione di massa.

La descrizione fornita dagli esperti del governo le definisce “piccole” bombe, che dovrebbero avere un effetto moderato sull’ambiente. L’effetto della bomba non dovrebbe essere percepito in superficie, il fallout radioattivo dovrebbe essere trascurabile e i “danni collaterali” causati ai civili dovrebbero essere minimi.

Di conseguenza, la credibilità del deterrente americano contro gli “stati canaglia” crescerebbe, perché è chiaro che gli Stati Uniti si sentirebbero autorizzati ad utilizzare queste “piccole bombe”, dal momento che distruggerebbero solo i depositi delle armi ma non causerebbero la morte di molti civili.

La guerra in Iraq, che aveva l’obiettivo di eliminare i centri di ricerca e i depositi di armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, ma che ha portato l’America ad impantanarsi nella palude irachena, ha aumentato l’attrazione per le armi nucleari. Dopotutto sarebbe stato molto più semplice e più logico distruggere le strutture di Saddam con qualche “piccola bomba,” che non avrebbe causato alcun danno reale alla popolazione civile, piuttosto che rimanere incastrati in una guerra al suolo che ha portato 150.000 soldati americani a cercare di stare a galla nella palude irachena.

Il problema di questa argomentazione è che non porta da nessuna parte. Per capirlo proviamo ad analizzare l’effetto di un attacco nucleare dello stesso genere di quello proposto dagli strateghi militari americani in CONPLAN 8022. Ovviamente gli Stati Uniti non userebbero meno di cinque o dieci “piccole bombe” siano queste per attaccare l’Iran o la Corea del Nord, dal momento che, considerando il numero di obiettivi strategici nei due paesi, qualsiasi azione più blanda non otterrebbe lo scopo deterrente e preventivo. Secondo il piano ogni bomba dovrebbe avere una potenza di 10-kiloton, circa due terzi di quella delle bombe sganciate su Hiroshima Nagasaki.

Ogni esplosione di una bomba qualche metro sottoterra distruggerebbe la maggior parte degli edifici sulla superficie per un raggio di due chilometri. Dopo l’esplosione ci sarebbe bisogno di evacuare rapidamente i civili da un’area di 100 chilometri quadrati, per evitare gli effetti mortali del fallout radioattivo; gli edifici, i campi e il bestiame sarebbero colpiti per un’area di migliaia di chilometri quadrati, e in base alla direzione e alla velocità del vento, potrebbe essere necessario evacuare altre persone che vivono a migliaia di chilometri di distanza.

E niente di tutto ciò considera le ripercussioni politiche e psicologiche dell’utilizzo di armi nucleari per la prima vola in più di 60 anni. L’amministrazione Bush considera tutti questi dei “danni collaterali limitati”

La politica nucleare che l’amministrazione Bush continua a portare avanti, compresi i piani per un attacco nucleare preventivo contro degli stati che non posseggono questo tipo di armi e lo sviluppo di nuovi ordigni nucleari è la ricetta per una catastrofe. È una politica che offusca il confine tra guerra convenzionale e nucleare. Questo offuscamento potrebbe minare la stabilità strategica ad esso connessa, che ha regnato dai tempi della Guerra Fredda.

Inoltre il messaggio dell’approccio dell’amministrazione Bush di fatto consiste in un incoraggiamento dell’Iran e della Corea del Nord a rivalutare il contributo che un’arma del genere potrebbe apportare alle loro politiche nucleari, magari fornendo loro quella spinta che accelererebbe questo tipo di sviluppo.

Questa è una contraddizione insita nell’approccio americano, che da una parte agisce con lodevole determinazione per la prevenzione della proliferazione di armamenti nucleari, ma che dall’altra vi contribuisce adottando una politica nucleare irresponsabile.

Fonte: http://www.haaretz.com/hasen/spages/580533.html

26/05/2005

Traduzione a cura di Olimpia Bertoldini per Comedonchisciotte.org

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