Nel 1789 il capitano William Bligh fu abbandonato in mezzo al mare. Dopo oltre duecento anni la Corona ottiene un processo. Ma non per l’ammutinamento.
Una catena di violenze sessuali lunga quarant’anni: un tribunale britannico condanna sei abitanti di Pitcairn, l’isola del Pacifico in cui due secoli fa si rifugiarono i più famosi ammutinati della storia. Tra loro anche il sindaco. Che è l’ultimo discendente del ribelle Fletcher Christian, ma anche il timoniere dell’unica barca dell’isola.
DI ROBERTO ZANINI
Ci ha messo due secoli, signor Christian, ma la legge d’Inghilterra ti ha trovato, processato e condannato. Per stupro. Questa è la storia del più straordinario processo della storia criminale britannica, un processo che incrocia e si confonde con due secoli di violenza e di coraggio, di avventure e di crimini, di racconti e di menzogne. E’ la storia di una vendetta postuma, quella dell’ammiraglio crudele di una leggenda che per metà è storia e per l’altra metà celluloide. E’ il processo a Steve Christian. L’unico discendente diretto di Fletcher Christian. L’ammutinato del Bounty.Un tribunale britannico lunedì ha condannato Steve Christian, suo figlio Randy e i suoi «marinai» Len Brown, Dave Brown, Terry Young e Dennis Christian per stupro e violenza carnale. Per quarant’anni, i bis-bisnipoti dell’uomo che gettò il crudele William Bligh in una scialuppa con venti uomini e viveri per una settimana hanno regnato su Pitcairn in un modo non molto difforme da quello dei marinai inglesi finiti su quello scoglio del Pacifico duecento anni prima, in fuga dall’ira della Corona e dalla forca. Cioè con l’assoluto dominio sulle donne, con la sistematica, abituale brutalizzazione di tutte le donne a partire anche dai cinque anni di età.
Affascinante, piacevole, carismatico, 53 anni, Steve Christian è un uomo molto rispettato sull’isola. Un po’ perché suo figlio Randy è un temibile marcantonio, un individuo grosso come un armadio con le sembianze di un nazionale di rugby unite a una fronte, direbbe Fortebraccio, inutilmente spaziosa – diciamo che incute un certo timore. Un po’ perché una volta, giovane e sconosciuto, era andato fino a New York per parlare alla commissione Onu sulla decolonizzazione. Un po’ perché dell’isola il signor Christian è sindaco, ingegnere, dentista, radiotelegrafista, magistrato locale e, cosa più importante di tutte, timoniere dell’unica lancia di Pitcairn.
Comandante Christian
Come già il bis-bis-bisnonno, Steve Christian è il comandante del solo piccolo scafo che costituisce il cordone ombelicale dell’isola degli ammutinati. Quando un agente della polizia del Kent cominciò l’indagine, nel Duemila, non diffuse l’identità degli uomini che sospettava di una lunga serie di violenze carnali. Quattro anni dopo, all’inizio del processo, i nomi vennero resi pubblici. Erano quelli incisi a poppa della lancia: Steve, il figlio, gli altri marinai.
Ci vuole del fegato per entrare a Bounty Bay, anche col motore fuoribordo. Il mare si infrange slealmente su una ringhiera di scogli che affiorano solo quando è troppo tardi, bisogna prendere la rincorsa al momento giusto e sperare bene. Il bis-bis-bisnonno Fletcher attraversò al momento giusto nel 1789. Master Fletcher veniva da Tahiti, dove aveva sbarcato la maggior parte dei suoi compagni d’ammutinamento. Il Bounty tornava da una missione commerciale pieno di piante dell’albero del pane, esperimento per rifornire di cibo le colonie del Nuovo mondo. Ma il mare era duro, Tahiti era bella, la stiva zeppa d’alberi costringeva i marinai a pestarsi i piedi e il lieutenant William Bligh non doveva essere una persona cordiale. Non c’erano guardie armate, e questo fu un errore. Finì in una ribellione. Calato in una scialuppa con 19 marinai e un sestante scassato, Bligh navigò per 3.500 miglia e sopravvisse. Fletcher Christian fuggì a Tahiti, sbarcò i ribelli che non volevano saperne (dopo anni alcuni di loro vennero trovati, portati a Londra in catene e impiccati: furono i soli a pagare) e trovò un’isola avvistata di recente, fuori dalle rotte battute e certamente disabitata. Pitcairn. Fletcher Christian salpò da Tahiti nella notte con nove marinai e diciotto tahitiani, sei uomini e dodici donne – probabilmente il Bounty mise prua verso la meta mentre gli indigeni dormivano.
L’isola è una sorta di microscopica Sardegna, lunga tre chilometri e larga meno di due, con una costa impervia e un solo possibile approdo. Gli ammutinati vi scesero e bruciarono il Bounty per togliersi ogni tentazione. Già pezzo di storia del cinema (Clark Gable, Marlon Brando, Mel Gibson: scegliete voi), quel rogo ora è anche un pezzo di storia legale britannica: dando fuoco alla nave, ha sostenuto l’avvocato di Christian, i marinai distrussero l’unico collegamento legale con la madrepatria. Con il Bounty bruciò anche la cittadinanza britannica degli ammutinati, e dei loro discendenti.
Non è un cavillo. La legge britannica proibisce i rapporti sessuali con minori di sedici anni ma nel Pacifico è diverso e Steve Christian non ha mai fatto caso a questa minuzia, come del resto nessuno dei discendenti del ribelle Fletcher. Quando l’agente della Kent police Gail Cox sbarcò a Pitcairn due secoli dopo, per indagare sulle cose che una pitcairner emigrata in Nuova Zelanda aveva raccontato a una cugina, e questa a un’altra e a un’altra ancora, raccolse decine e decine di testimonianze. Donne stuprate abitualmente, molto spesso bambine, ostaggi di una società assolutamente maschile da cui era fisicamente impossibile scappare. Unica via di fuga la scuola, che è in Nuova Zelanda. Così molto spesso le ragazzine di Pitcairn partivano con la cartella e non tornavano più indietro. Lasciando sull’isola una popolazione più o meno stabile di una cinquantina di persone e il suo incubo d’uomini e violenze.
L’inferno in paradiso
Non è mai stato il paradiso, l’isola di Pitcairn. Fletcher Christian se ne accorse molto presto, quando la «moglie» tahitiana di uno dei suoi marinai morì, e il britannico si prese quella di un tahitiano come rimpiazzo. L’indigeno la prese male, e proprio per questo – per uno stupro, anche allora – esplose la rivolta dei tahitiani contro i marinai ammutinati. Una gigantesca, violentissima rissa. Morirono tutti, anche Fletcher Christian. Quando un mercantile americano incrociò per caso lo scoglio di Pitcairn, nel 1818, vi trovò un solo marinaio britannico, John Adams, un gruppo di donne e molti bambini che lo chiamavano papà. Adams avviò una strana monocrazia messianica, basata sulla superiorità dei bianchi (lui) e dei loro discendenti (i bambini). La Corona britannica considerò Pitcairn una colonia e ci mise una pietra sopra.
Ai giorni nostri, di questo regno maschile Steve Christian era il re e le donne il suo regno. Il tronco di un ficus, un letto di foglie di banano, il folto del bosco, la cima di una collina: non c’è luogo di quell’inferno a forma di paradiso che non abbia accolto uno stupro. Tanto che la giuria britannica, «importata» via mare dalla Nuova Zelanda con tanto di collegamento via satellite per le testimonianze delle donne emigrate, ha volutamente trascurato le accuse di sesso (pur consensuale) con minori per non imbarcarsi in una disquisizione antropologica sui costumi degli indigeni del Pacifico – una delle linee di difesa di Christian e compari. Quasi nessuno degli abitanti dell’isola ha preso parte alle udienze. La ragazza che per prima le ha denunciate si è presa dell’idiota dalla madre (e un’agghiacciante «lo voleva almeno quanto lui»). Steve Christian e i marinai della sua lancia sono in libertà, in attesa che sia discussa la questione della loro cittadinanza, e continuano a costituire l’unico mezzo per andare e venire da Pitcairn. E poi sull’isola non c’era nemmeno un carcere. L’hanno costruito adesso, una palafitta di tronchi recintata da una specie di rete da pollaio, «minima sicurezza» è già un complimento, e poi nessuno vuol lavorare per sfamare i galeotti. Tra l’altro, anche il carcere l’ha fabbricato Steve Christian.
Roberto Zanini
Fonte: www.ilmanifesto.it
27.10.04