GLI SCENARI MINACCIOSI DEL COMMERCIO PLANETARIO

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DI GIULIETTO CHIESA

Hong Kong – Cos’e’ la “camera verde”? E’ il luogo misterioso in cui sono state regolate , forse, alla fine, le dispute principali dello storico incontro ministeriale di Hong Kong dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Storico perche’ – come ha detto Pascal Lamy, il suo direttore generale, all’apertura, agitando una bacchetta magica prestatagli da un prestigiatore – “nonostante il Wto, per dirla morbida, non sia certo la piu’ popolare organizzazione internazionale”, tutti corrono per entrarvi dentro, con tutti e due i piedi e il resto anche. Proprio nei giorni di Hong Kong sono entrati Arabia Saudita e Togo, portando il numero dei membri a 150 tondo, con la Russia che scalpita alle porte insieme agli ultimi 32 osservatori. Dopodiche’ il Wto sara’ qualcosa di molto simile a una Onu del commercio, ma niente affatto opzionale: perche’ chi non c’e’ e’ fuori da tutto. Il problema e’ proprio questo: come si fa una trattativa tra 150 soggetti, i cui interessi sono tremendamente variegati e contrastanti, dove non c’e’ alcun reale bilanciamento di forze, essendoci tra di loro i fortissimi, i forti, i variamente deboli e i debolissimi, che non hanno nemmeno le catene di cui liberarsi. Cercare una qualche forma di democrazia in questo bailamme e’ impresa senza senso, perche’ quelle che collidono, o convergono, sono potenze che non vogliono (spesso) o non sanno (ancora piu’ spesso) rinunciare ai privilegi storici, geografici, culturali di cui godono. A fronte delle quali pero’ si ergono giganteschi problemi irrisolti, il cui minaccioso arroventarsi riesce talvolta a far ragionare, o a impaurire, le menti migliori dei paesi piu’ ricchi.

Ecco perche’ questa tappa del processo avviato a Doha, nel Qatar, nell’ormai lontano 2001, si chiama “round per lo sviluppo”: perche’ se non si riesce a portare fuori dalla miseria, dalla fame, dalla malattia, e dalla morte circa due miliardi di esseri umani, si va verso esplosioni – in tutti i sensi – incontrollabili e devastanti. Ma non e’ che tutti l’abbiano capito, al contrario. Sebbene questa constatazione sia ormai abbastanza accettata, essa apre la strada a dispute dove l’ideologia la fa spesso da padrona. C’e’ chi pensa che il commercio, di per se’, come il libero mercato, una volta liberati da ogni barriera, dazi, tariffe, diventi motore per lo sviluppo. Uguale per tutti, sotto ogni latitudine.

Vero? Alla luce dei risultati degli ultimi anni si direbbe falso, e non e’ difficile capirlo una volta sfrondate le idée dai paraventi ideologici. Perche’ non tutti i commerci sono equi, non tutti hanno condizioni uguali per competere con gli altri, non tutti hanno infrastrutture, leggi, esperienza. Infine e’ vero che la tentazione dei piu’ forti, di usare la loro superiorita’, e’ irresistibile, e una volta abbattute le difese essa diventa devastante per i piu’ deboli.

E poi – come e’ emerso nettamente a Hong Kong – accade di peggio: che i forti, cioe’ i ricchi, piu’ strenui sostenitori della liberalizzazione di merci e (soprattutto) servizi, riservano a se stessi il diritto di proteggere le loro merci nazionali, filtrando sapientemente quelle che arrivano proprio dai paesi meno sviluppati (vedi Stati Uniti nei confronti del cotone africano), e lo fanno con sussidi che stravolgono proprio le regole del mercato. Nessuno stupore, dunque, se i ricchi si sono ripresi finora con una mano anche quel poco che hanno dato con l’altra mano in termini di cancellazione dei debiti e in aiuti.

Ecco perche’ ora la musica e’ cambiata e si discute di “aiuto al commercio”: per significare che il mercato non basta e bisogna “fare di piu’ e meglio: (Peter Mandelson) per aiutare e proteggere coloro che da soli non possono farcela, particolarmente la quarantina di paesi :” meno sviluppati” (less developed countries, Ldc). Un passo avanti, nelle parole, che a Hong Kong non pare sia stato accompagnato dai fatti.

Eppure il round di Cancun falli’ proprio per questo. E qui e’ avvenuta la cosa nuova: il quadro dei rapporti di forza e’ radicalmente cambiato. Dagli scontri di piazza di Seattle, nel 1999, attraverso Doha, Cancun, fino a Hong Kong-Cina, il panorama e’ ora un altro. Se il Gatt (General Agreement for Trade and Tariffs) era stato il pilastro del sistema globale di alleanze degli Stati Uniti, adesso anche i piu’ deboli hanno imparato a organizzarsi. Non piu’ singoli stati, ma aggregazioni capaci di influenzare le scelte e di condizionare anche i potenti. A Cancun emerse il “G-20, guidato dal Brasile, dalla Cina e dall’India. Si chiama ancora cosi’, ma e’ diventato di 22. Prescindere da loro e’ impossibile.

Gli altri sono corsi ai ripari. E’ nato il G-6 dei calibri maggiori (Usa Ue, Giappone, Australia, ma anche India e Brasile). Cosi’ I campi s’intrecciano come gl’interessi mutano. C’e’ il G-10 dei ricchi piu’ oltranzisti (Svizzera, Israele, Corea del Sud, Norvegia, ma anche Giappone e, a sorpresa, le Isole Mauritius) tutti importatori di derrate alimentari che proteggono le proprie. Piu’ distante, per influenza anche se non per numero, il G-33 di Cancun (ora di 45 stati) che e’ guidato da Cina e Indonesia, ma non piu’ dal Brasile di Lula, che fa una strada diversa. E poi il G-90 che mette insieme i piu’ disperati (Ldc) e quelli dell’Africa, Asia, Pacifico (Acp). E altre sigle ancora, che tra l’altro dimostrano clamorosamente quanto sia vana l’idea di ricondurre tutto il pianeta a un’unificazione forzosa di modelli e di politiche.

Sarebbe pero’ un errore pensare che queste coalizioni tra Stati esauriscano la geografia dei gruppi di interessi. E non solo perche’ e’ tutto da verificare il livello di rappresentativita’ democratica di molti governi. In realta’ dietro le posizioni di alcuni dei paesi piu’ poveri si vedono bene in trasparenza le pretese delle grandi multinazionali. Le loro lobby hanno capacita’ di pressione ben superiori a quelle di ambasciate molto potenti. Si possono comprare – e si comprano – interi governi. E poi ci sono i diversi livelli di controllo dei sistemi mediatici, che amplificano quello che sono chiamati a amplificare e tacciono del resto. Cosi’, ironia delle ironie, accade perfino che alcuni governi si dotino della consulenza di organizzazioni non governative che, a loro volta, devono rispondere a chi le finanzia, creando circoli viziosi ad alto grado di inquinamento.

Glasnost uguale a zero. In cento ore di discussioni ufficiali, sparse tra sei commissioni principali, a loro volta suddivise in decine di sottocommissioni, si sono scritte tonnellate di carta da negoziatori che conoscono soltanto un piccolo segmento di un piccolo settore. Il quadro generale dei contrappesi lo conoscono in pochi, o pochissimi: quelli che tirano le fila delle strategie e che ,alla fine, appunto nella “camera verde” faranno da notai dei rapporti di forza reali. Spesso neanche loro sanno di che si tratta e prendono decisioni che, tra qualche mese, si riveleranno inapplicabili, o inutili, perche’ costruite su presupposti sbagliati, nonostante le migliori intenzioni, quando ci sono.

Ma ognuna di queste decisioni significa trasferimenti di ricchezza, da un punto all’altro del pianeta, da un popolo a un altro, destini che mutano, milioni di individui che avranno o non avranno acqua da bere, energia per riscaldarsi, lavoro e salario, casa e salute. Elenchi di prodotti da esportare, e di paesi che potranno venderli e comprarli, servizi da liberalizzare, cioe’ barriere che cadranno, quelle giuste e quelle ingiuste, le sovvenzioni agli agricoltori dei paesi ricchi in cambio dell’arrivo dei ricchi sui mercati dei poveri: tutti campi di battaglia dove i contendenti si battono alla disperata, anzi alla cieca. L’ideologia del libero commercio aleggia su tutto, con I suoi dogmi sacri, che nascondono la verita’ di un pollaio di galline dove dovrebbe funzionare la competizione con un gruppo di faine e volpi insaziabili. Sviluppo, dicono tutti, ma nessuno spiega come mai da quarant’anni, decennio dopo decennio, il ritmo di crescita del prodotto lordo mondiale invece di aumentare si contrae. E il benessere, invece di distribuirsi piu’ equamente, diventa sempre piu’ diseguale. E, infine, nessuno a Hong Kong si e’ ricordato che questo sviluppo indecifrabile ci ha gia’ messo contro la natura. Per cui anche la parola vittoria ha perduto ogni significato.

Giulietto Chiesa
da Avvenimenti del 22-12-05
Fonte: www.giuliettochiesa.it

 

 

 

 

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