GLI ORIZZONTI SENZA LIMITI DEL CAPITALISMO

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DI CLAUDIO GALLO
atimes.com

Intervista a Costanzo Preve

TORINO – Costanzo Preve (nella foto), 69 anni, di genitori italiani e con una nonna armena, non ha mai avuto una vita facile; ha scelto la strada della filosofia senza compromessi, lontano dai circoli accademici e dalle mode culturali.

Si è laureato a Torino, ma il suo percorso intellettuale si è compiuto a Parigi, con insegnanti come Jean Hyppolite, Louis Althusser, Jean Paul Sartre, Roger Garaudy e Gilbert Mury.


Oggi niente sembra meno attraente per i salotti letterari come il suo pensiero critico che lega inestricabilmente due grandi pensatori tedeschi definitivamente accantonati nella seconda parte del XX secolo: Karl Marx e Georg Wilhelm Friedrich Hegel.

A dispetto di quanto i libri scolastici continuano a insegnare, in linea con i comunisti della Guerra Fredda, Preve sostiene che Marx non commise davvero “parricidio”, riportando la dialettica Hegeliana “con i piedi per terra”, invece era fondamentalmente un allievo di Hegel.

Preve interpreta Marx come “un materialista superficiale ed un idealista strutturale”. Sottolinea che “per Marx è cruciale l’ idea di una storia universale, vista come un dramma e una tragedia dell’ emancipazione umana. Mentre Hegel, saggiamente, ha mantenuto un equilibrio storico nella relazione fra passato e presente, Marx si è preso il rischio di parlare del futuro, caratterizzandolo come comunismo. Il rapporto fra Hegel e Marx per me è strutturale, qualcosa negato dai cosiddetti marxisti, che riconoscono un’ influenza, ma non ammettono il carattere idealista della filosofia di Marx.

“Il Marxismo è un’ altra cosa, è un ‘ismo’ sistematizzato, ma Marx non ha mai sistematizzato il suo pensiero. È stato prodotto in 20 anni, 1875-1895, da Friedrich Engels e Karl Kautsky. La scena primitiva del Marxismo, per usare il linguaggio di Freud, è una forma di positivismo di sinistra inscritta nella tradizione progressista dell’ Illuminismo.”

Preve iniziò molto presto a riconoscere il fallimento storico del comunismo. Si è ritagliato il ruolo di critico del “Cattivo Infinito” della globalizzazione neo-capitalista, basato sul concetto greco di limite, alla luce della dialettica Hegeliana-Marxista.

La sua libertà di pensiero, che trascende dalla sua vasta bibliografia, lo ha portato ad un dialogo con un pensatore indefinibile, con lontane radici di estrema destra, come Alain de Benoist, una scelta che gli attenti censori della sinistra tradizionale non hanno gradito.

Claudio Gallo: Professor Preve, stando al suo punto di vista Marxista, si può dire che la globalizzazione è la fase finale del capitalismo?

Costanzo Preve: Questa ossessione della fase finale ha portato a molti errori nel passato, dobbiamo stare attenti nell’ usare queste parole. La storia nega categoricamente qualsiasi diagnosi di Fase Finale. La globalizzazione è la Fase Finale del capitalismo? Davvero non so, non userei questa espressione. A differenza dell’ uomo, che passa dalla gioventù alla maturità e poi alla sua fase finale, la storia va avanti mentre la terra continua a girare intorno al sole.

Direi che la globalizzazione è un nuovo standard, un salto di qualità nella produzione del mondo capitalista. Anche l’ imperialismo del 19° secolo era una sorta di globalizzazione: se si studia Fernand Braudel e Immanuel Wallerstein, si vede che i commerci mondiali esistevano già nel 1500, ma anche se le navi spagnole, portoghesi, inglesi e olandesi potevano raggiungere qualsiasi porto, evidentemente questa tendenza non era ancora di tipo puramente economico. La globalizzazione è la logica della produzione capitalista nella sua purezza.

CG: Quindi lo sviluppo storico ha dovuto aspettare la tecnologia moderna?

CP: Mancava la tecnologia, certo, ma forse soprattutto, c’ erano ancora vaste aree del mondo pre-capitalista – comunità, schiavitù, feudalesimo, aristocrazia. Così non è solo un problema di tecnologia ma una saturazione geografica. La globalizzazione è la saturazione capitalista del mondo intero: non credo che sia la sua fase finale, ma certamente è un momento cruciale nella storia umana.

CG: Nella sua rivisitazione della storia dialettica del capitalismo, avete impostato il capitalismo come “orizzonte senza limiti” contro “metron” – il senso greco del limite e dell’ armonia. Quello che suggerisce è una riappropriazione dialettica di “limite” in contrasto alla fame infinita, il desiderio di accumulare infinito della globalizzazione. Non crede che questo percorso dialettico, tutto interno alla cultura occidentale, possa suonare strano alla società cinese o indiana?

CP: La cultura greca e poi quella romana, poi il cristianesimo medievale, sono interni al mondo occidentale. Il colonialismo ha esportato militarmente tutto questo fuori dall’Europa durante il 17°, 18° e 19° secolo.

In Asia c’ erano antiche civiltà con le loro identità sviluppate in maniera completamente diversa da quella che chiamiamo civiltà giudaico-cristiana (il trattino dovrebbe essere sostituito da una “e”, e dovrebbe essere aggiunto “e greca, e romana, eccetera”).

L’ impressionante successo del capitalismo in paesi come Cina, India, Tailandia, Malesia, Sud Corea, mostra che non stiamo seguendo una secolarizzazione calvinista, perché questo avrebbe senso solo all’ interno di una storia occidentale. A mio avviso, è più un segno che il capitalismo abbia evocato dinamiche profonde già esistenti in queste culture anche se le principali tradizioni nazionali erano completamente diverse. Sono convinto che la globalizzazione abbia prodotto una tempesta, uno tsunami economico, che forse non ha unito il mondo, ma ha creato una serie di problemi comuni che nei secoli passati non esistevano.

CG: La teoria marxista dice che il capitalismo porta dentro sé le contraddizioni che porteranno al suo superamento. Tuttavia, le predizioni marxiste non si sono mai realizzate e il capitalismo globalizzato (a differenza degli stati) gode apparentemente di ottima salute. La classe lavoratrice, prima considerata un possibile motore del cambiamento, è allo sbando: in quale identità collettiva possiamo trovare un’ alternativa a quello che Latouche definì come il mondo della megamacchina?

CP: Il neo-capitalismo porta con sé molte contraddizioni. Ad esempio è incompatibile con qualsiasi forma di economia keynesiana. Per affrontare la crisi uno stato nazionale deprezza la sua moneta o deprezza il costo del lavoro. Il caso dell’ Europa è cristallino.

L’ Unione è stata fondata su un modello neoliberale, certamente non socialdemocratico. Questo significa pareggio di bilancio e lotta contro l’ inflazione monetaria. Se uno stato perde il controllo sulla valuta nazionale ed il suo deprezzamento, l’ unica cosa che può dargli un vantaggio competitivo è la svalutazione della forza lavoro. Noi ci troviamo in questa situazione, ed è per questo che sono contrario a questa Europa. Non vedo alternativa se non il ritorno alle valute nazionali.

L’ Euro è stato un errore storico. Il suo fine era quello di rendere l’ Europa un soggetto competitivo nella globalizzazione. Di conseguenza il continente non è più in grado di affrontare la globalizzazione, ma viene risucchiato nella sua logica più perversa: la svalutazione del lavoro umano. La globalizzazione ha rappresentato il decentramento della produzione, la flessibilità del lavoro, precarietà e mancanza di futuro. Il fatto stesso che queste cose siano dette solo da forze marginali, come Beppe Grillo in Italia o Marine Le Pen in Francia, significa che l’ establishment – di destra e di sinistra – che ha l’ accesso ai media, ha deciso di sostenere l’ euro nascondendo le vere conseguenze di questa scelta. Ecco perché viviamo in una schizofrenia che è destinata a peggiorare con gli anni.

CG: Un leit motiv della globalizzazione sono i diritti umani; a prima vista questo sembra essere un aspetto positivo dell’ universalizzazione. Nel suo libro Il Bombardamento Etico attacca la filosofia dei diritti umani a “geometria variabile”.

CP: I diritti umani svolgono la stessa funzione del “fardello dell’uomo bianco” durante l’ era coloniale: diffondere la civiltà occidentale contro la barbarie, con missionari e cannoniere. Ritengo la politica dei diritti umani totalmente negativa.

Teoricamente parlando, i diritti umani derivano dal giusnaturalismo, una teoria conosciuta già dagli stoici, portata avanti dal cristianesimo ed ha preso la sua forma corrente con il lavoro di molti pensatori nel 1500-1600.

Il concetto iniziò il suo declino nel 1800 con l’ avvento del positivismo giuridico. David Hume, fondatore della moderna economia politica, criticò la teoria dei diritti umani, sosteneva che tale diritto non esiste e che l’ unica cosa che esiste davvero è l’ inclinazione della gente allo scambio.

Coloro che parlano di diritti umani fanno un inutile esercizio di metafisica. Perché questi diritti umani, distrutti all’ alba della politica economica inglese, vengono ora recuperati, sopratutto dopo il processo di Norimberga [contro i nazisti], come un’ ideologia occidentale di controllo?

I diritti umani sono un ideale a geometria variabile, perché a decidere cosa è umano e cosa non lo è sono le grandi oligarchie economiche tramite i suoi dirigenti: professori universitari e giornalisti. La sinistra ha pienamente adottato la teoria dei diritti umani a geometria variabile.

È una teoria che rende impossibile qualsiasi analisi strutturale, economica e sociale del mondo. Siamo sempre di fronte ad un dittatore contro un intero popolo, che sia Slobodan Milosevic, Saddam Hussein, Muammar Gheddafi come ora il presidente siriano Bashir al-Assad.

Così è sempre più impossibile analizzare le contraddizioni storiche e le ragioni sociali e religiose. Alle persone viene artificiosamente sovrapposto questo punto di vista apparentemente giusto ma in realtà sbagliato perché è la premessa di un sanguinoso intervento militare.

Viviamo in un’ epoca puramente Orwelliana: la guerra è chiamata pace, i soldati italiani in Afghanistan sono chiamati peacekeeper ma sono schierati contro gli insorti talebani in nome degli interessi geostrategici Statunitensi. In realtà è impossibile raggiungere lo scopo della politica dei diritti umani: una vera universalizzazione della condizione umana in tutto il mondo. È l’ equivalente moderno della teoria razziale di Hitler. Mi rendo conto che questa frase possa sembrare pazza, estrema e paradossale, ma credo che sia vera.

CG: I media mainstream stanno solo descrivendo la globalizzazione, oppure, come dice Noam Chomsky, hanno un ruolo ideologico importante al suo supporto?

CP: Cicerone scrisse: non capisco come l’ aruspice [il divinatore latino] non scoppiò a ridere quando ci incontrò. Mi domando perché i giornalisti non facciano lo stesso. I media mainstream stanno dicendo da oltre un anno che il governo di Assad è sul punto di cadere, ma Assad detiene ancora il potere e qualcuno dell’ opposizione, al-Qaeda o no, ha cominciato ad usare bombe contro i civili.

Viviamo nel paradosso in cui i nostri ragazzi sono i cattivi, mentre gli altri sembrano relativamente normali. I media hanno creato un universo parallelo per guidare il mondo reale nella direzione scelta dalle oligarchie. I media hanno oggi la stessa funzione che gli oratori, cioè i sacerdoti, avevano durante il Medioevo.

Oggi la chiesa agisce come grande carità sociale all’ interno della crisi del welfare statale. Il nuovo clero è formato da due categorie: il laico, i professori universitari (parlo di quelli delle scienze sociali, non quelli di fisica, chimica o biologia), con la loro Weltanschauung omogeneizzata e politically correct.

Ci sono sicuramente importanti eccezioni, ma non sono rilevanti. Poi c’è il clero regolare, cioè giornalisti. La società in cui viviamo è sempre tripartita: bellatores, oratores e lavoratores. Il primo strato è la grande oligarchia finanziaria, in molti aspetti transnazionale, ma sostanzialmente radicata a livello nazionale. Poi c’ è il clero, come abbiamo appena visto. E poi un’ immensa massa di lavoratori che sono divisi tra loro, perché ovviamente non hanno niente in comune i lavoratori garantiti dell’ Europa e la grande massa di poveri del Terzo Mondo che bussano alla porta di Stati Uniti ed Europa.

CG: È ormai un pensiero comune che il centro del potere mondiale si stia spostando vero oriente? L’ amministrazione Obama sta adeguando la sua dottrina strategica per il confronto con la Cina nel Pacifico ed in Africa. È vero che il declino dell’ Europa è inevitabile?

CP: Prima di rispondere lasciami dire che nonostante la sua crescita internazionale la Cina non vuole esportare il suo modello: nella cultura cinese non c’è traccia delle missioni protestanti che portano la verità agli altri in un mondo dove non ci sono confini, ma solo frontiere.

L’ espansione cinese in Africa è solo economica. Da quando l’ Africa ha smesso di essere il cortile di Francia e Gran Bretagna, Pechino si è data alla ricerca di materie prime nella competizione geostrategica con Washington. In questa prospettiva è interessante vedere la posizione dell’ Italia, un tempo una potenza coloniale minore, che ha fatto in Libia una guerra contro i propri interessi.

Gli interessi americani in oriente cominciarono a prendere forma durante la Seconda Guerra Mondiale. La vasta rete di basi militari americane dall’ Atlantico al Pacifico mostra che Washington rimane ancorata al vecchio schema, nonostante il declino dell’ Europa. Infatti l’ Europa si suicidò e non esiste più come soggetto politico. L’ Europa nel 1989, con il collasso del comunismo, perse la possibilità di ottenere la sua indipendenza.

CG: Parlando recentemente al Europe’s Day, il presidente del Consiglio Europeo Van Rompuy ha detto che gli Stati Uniti d’ Europa non esisteranno mai.

CP: L’ esistenza degli Stati Uniti d’ Europa comporterebbero lo smantellamento delle basi americane; come avrebbe potuto esistere la democrazia ateniese con le basi spartane tutto quanto insieme nell’ Acropoli? L’ Europa decise di sparire politicamente come conseguenza del senso di colpa per l’ Olocausto.

La religione dell’ Olocausto (per essere chiari, non nego l’ Olocausto, sto parlando della sua dimensione ideologica) ha portato l’ Europa ad uno stato di perenne immaturità. Il messaggio è questo: se ci lasciano da soli, noi europei torneremo sicuramente a commettere crimini orribili, non possiamo essere lasciati da soli, abbiamo sempre bisogno che qualcuno ci controlli perché fascisti e comunisti sono sempre pronti a prendere il potere. Quel “qualcuno” è ovviamente il benevolo impero Americano.

Claudio Gallo
Fonte: www.atimes.com

Link: http://www.atimes.com/atimes/Global_Economy/NE23Dj03.html
23.05.2012

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di REIO

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