DI JASON HRIBAL
Counterpunch
Pancia piena e intrattenimento potranno forse funzionare con gli umani, ma gli oranghi necessitano di un diverso mix di incentivi. Per controllarli ci vogliono sesso e banane, al cui cospetto si trovano quasi smarriti. È l’istinto, ovvio. Ma quel che è certo è che, se fossero riusciti a scoprire il giusto cocktail istintuale, i responsabili dello zoo di San Diego avrebbero potuto risolvere il loro problema con gli oranghi prima che peggiorasse ulteriormente. Tante banane, qualche compiacente partecipante di sesso femminile, e tempo era tutto ciò che ci voleva.
I veri sforzi iniziarono nell’estate del 1985. La nuova esposizione “Cuore dello zoo” era stata aperta tre anni prima e le operazioni quotidiane non potevano andare meglio. Ma poi quel dannato Ken Allen cominciò a fare i capricci. Ken era nato nel febbraio del 1971 da Maggie e Bob del San Diego. Ufficialmente era un orango del Borneo, sebbene non avesse mai messo piede sull’isola e non sapesse nulla della cultura arborea. Sarebbe più corretto classificarlo come un orango da zoo. La vita dell’istituto era l’unica che Ken avesse mai conosciuto. Lo zoo era il luogo in cui era nato, e lo zoo fu il luogo in cui morì di linfoma nel 2000. Nel frattempo, Ken dovette quotidianamente affrontare la cattività. Paradossalmente, lo zoo di San Diego comprese fin dall’inizio che sarebbe stato più difficile da gestire rispetto ai precedenti oranghi dell’istituto.
Nella foto: Ken Allen
Nella sua cameretta, Ken svitava tutti i dadi che riusciva a trovare e rimuoveva i bulloni. I custodi non facevano a tempo a rimetterli a posto che lui ricominciava. E non lo si riusciva a tenere nella sua stanza. Una delle sue macchinazioni preferite, secondo la descrizione di un addestratore, consisteva nell’“afferrare la mano di qualcuno che la stesse sventolando e tirarsi su dondolandosi”. A quel punto cercare di riprendere la piccola scimmietta rossa diventava un’impresa. In ogni modo la sua vita da adulto era destinata a rappresentare una sfida di gran lunga maggiore per lo zoo. Infatti, quando Ken fu trasferito per la prima volta nell’esposizione “Cuore dello zoo”, lo sorpresero che scagliava pietre conto un’equipe televisiva che stava filmando i gorilla attigui. Quando non ci furono più pietre, Ken lanciò i propri escrementi. L’equipe si disperse. Ironicamente un problema simile si sarebbe verificato allo zoo parecchi anni dopo. Nell’esposizione erano state installate grandi finestre di vetro e gli oranghi presero a scagliarvi contro delle pietre. I responsabili del San Diego subito istituirono un programma di scambio. Ogni pietra non lanciata era una banana guadagnata. Ma gli oranghi non erano interessati e continuarono a cercare di rompere le finestre. Alla fine il parco chiamò un’impresa affinché scavasse l’intera pavimentazione dell’esposizione per rimuovere tutte le pietre, dato che la sostituzione di ogni vetro infranto costava allo zoo 900 dollari. Che successe poi? Gli oranghi cominciarono a strappare dal muro gli isolanti in ceramica e a lanciare quelli, invece. Era evidente che gli animali volevano proprio uscire.
Ken Allen riuscì nella sua prima fuga il 13 giugno 1985. I custodi lo trovarono che si confondeva tra i visitatori fuori della sua area espositiva. Dopo averlo messo in isolamento, i responsabili si misero al lavoro per capire esattamente come aveva fatto. Alcuni anni prima Ken si era costruito una scala usando rami caduti. “Era molto metodico al riguardo”, notò un dipendente. “Posava con attenzione lo zoccolo della scala a terra e la batteva con la mano per assicurarsi che fosse solida, poi saliva fino in cima al muro e riscendeva”. Ma questa volta non c’erano scale in vista, quindi questa opzione fu scartata. Poteva essersi trattato di un errore umano, una porta lasciata socchiusa o qualcosa del genere, ma neppure questo pareva il caso. Allo zoo erano sconcertati, ma non erano disposti a correre alcun rischio. Il muro di contenimento fu elevato impilando blocchi e diverse porzioni del muro stesso furono spianate per eliminare tutti gli eventuali appigli. Lo zoo prevedeva che queste modifiche avrebbero funzionato. Non fu così.
Ken scappò di nuovo il 29 luglio e poi ancora all’inizio di agosto. Ogni volta il San Diego apportò nuove modifiche. I muri furono elevati. Le superfici furono ulteriormente spianate. Vennero aggiunti cavi elettrificati a difesa del perimetro. I custodi portarono nuove femmine all’interno dell’esposizione sperando che una delle giovani signore potesse attirare l’attenzione di Ken. Gli addestratori affermarono senza mezzi termini che era loro intenzione “trasformare il suo desiderio di viaggiare in desiderio e basta”. Il San Diego iniziò persino ad impiegare spie. I dipendenti dello zoo si camuffavano da visitatori mettendosi jeans, occhiali da sole e camicie hawaiane e sorvegliavano Ken da lontano per individuare ogni possibile movimento insolito. Alla fine lo zoo cominciò ad usare due spie per volta, visto che si era certi che Ken stesse riconoscendo i suoi delatori. Questa convinzione trovò presto conferma.
Il 13 agosto, a meno di un’ora dal suo rilascio dall’isolamento, Ken fu visto mentre se ne stava con un piccolo piede di porco in mano. Gli addestratori conclusero che qualcuno doveva averlo dimenticato durante gli ultimi lavori di costruzione e si allarmarono. Cosa ne avrebbe fatto Ken? Era il caso che sgomberassero la zona giusto per stare sul sicuro? Le loro preoccupazioni furono sedate quando l’orango gettò da parte lo strumento. Ken non sembrava interessato, ma gli addestratori sarebbero dovuti essere più avveduti. Come un noto esperto ebbe a segnalare, se capita che un utensile come un cacciavite venga lasciato per errore in una gabbia, l’orango “lo nota immediatamente ma lo ignora a meno che un custode non scopra l’errore. Quella stessa notte, lo usa per smontare la gabbia e scappare”. Stranamente, il piede di porco atterrò proprio vicino ad un compagno di detenzione, Vicki, ma neanche questo destò particolare preoccupazione. L’attenzione dei custodi era tutta su Ken e lo seguirono mentre girovagava nell’esposizione fino al lato opposto. Dopo qualche minuto, la loro concentrazione fu disturbata da un forte rumore. Vicki si stava dando da fare in un angolo appartato nel tentativo di allargare, facendo leva, il telaio tra due finestre. Il vetro si era spaccato ma aveva tenuto. “Ho un sacco di problemi a stare un passo avanti a questo gruppo”, ammise poi il capo addestratore. Alcuni allo zoo di San Diego credevano che i due oranghi fossero d’accordo: Ken aveva fornito il diversivo mentre Vicki ci aveva messo i muscoli. Preferendo eccedere in cautela, gli amministratori misero entrambi gli animali in isolamento.
Non passò molto tempo dal suo rilascio che, per la quarta volta, Ken mise un atto un altro tentativo di fuga. In questa occasione, tuttavia, le spie riuscirono finalmente a coglierlo sul fatto. In acqua fino al bacino nella parte poco profonda del fossato cominciò a far pressione con i piedi contro un muro e con le mani contro l’altro. Lentamente, si mosse gradualmente verso l’alto. I custodi ne furono sbalorditi per due ragioni. Per prima cosa, si suppone che l’acqua spaventi a morte gli oranghi. Questo è il motivo per cui gli zoo impiegano i fossati come deterrenti. In secondo luogo, non avevano idea che un orango fosse in grado di arrampicarsi a quel modo. Gesta del genere, comunque, non erano senza precedenti. Ad esempio, nello zoo di Houston, Mango una volta scappò premendo le dita delle mani contro un bordo di vetro e le dita dei piedi contro un altro bordo vicino, scalando così verso l’alto. “È incredibile”, disse il curatore dei primati. “Non ce n’era neppure abbastanza spazio per fare presa. Era tutta pressione delle dita”. Houston ordinò una finestra spiovente. Quanto a Ken, il suo viaggio si concluse bruscamente quando toccò i cavi elettrificati di recente installazione. La scossa lo rispedì dritto dentro l’esposizione e allo zoo ci si potéautocompiacere. “Abbiamo scoperto la sua via d’uscita”, spiegò un portavoce con tono misurato. “Ma quando capirà che abbiamo chiuso quel passaggio aguzzerà l’ingegno spostando la sua attenzione al resto del recinto, e finirà che lo dovremo rincorrere di nuovo”.
Con il passare dei mesi Ken sembrò calmasi. Le modifiche strutturali stavano apparentemente funzionando e il San Diego poteva tirare un sospiro di sollievo. Tutto era tornato normale. Questa pace relativa ebbe fine nell’aprile del 1987 quando l’orango fu avvistato fuori della sua esposizione. Sembra che quel giorno l’orango avesse colto l’opportunità di fuggire in occasione delle riparazioni alla pompa dell’acqua del fossato effettuate quel giorno. Ken aveva aspettato che venisse tolta la corrente. Non si sa come lo capì. Forse aveva guardato con attenzione. O forse faceva controlli casuali sui cavi e quel giorno fu fortunato. È significativo che si sia verificato un caso simile allo Zoo Nazionale di Washington DC. Lì i custodi scoprirono che uno dei loro oranghi aveva imparato a riconoscere esattamente il lieve ronzio emesso dall’apertura e dalla chiusura di un cancello elettrico. Nelle rare occasioni in cui non funzionava bene, l’animale puntava dritto verso la porta e usciva. Ma nello zoo di San Diego, il cancello dell’esposizione era chiuso a chiave. Inoltre, il fossato era stato allargato dopo l’ultimo tentativo di fuga, quindi, anche se fosse mancata la corrente e l’orango l’avesse notato, Ken non sarebbe comunque stato in grado di scalare il muro. “Ci ha davvero sorpresi”, cinguettò un portavoce. “Eravamo onestamente convinti di averlo sotto controllo”. Tuttavia, Ken era scappato e al momento era uccel di bosco.
Durante le precedenti fughe, i custodi erano sempre riusciti a blandire Ken e farlo rientrare nel recinto senza grande difficoltà. In genere bastava qualche banana. Questa volta era diverso. Ken non aveva alcuna intenzione di essere arrendevole nei confronti di nessuno. Era in fuga e lo zoo lo sapeva. Il personale si armò di frecce e munizioni cariche e si mise al suo inseguimento. Secondo quanto riportato in documenti successivi, se fosse stato necessario, erano pronti a sparargli. Le guardie dello zoo di San Diego erano addestrate per questo. “Se avesse attaccato qualcuno lo avremmo dovuto uccidere perché ci vuole del tempo prima che i tranquillanti facciano effetto”. Alla fine, Ken scelse di evitare di resistere con mezzi violenti. Alcuni oranghi, comunque, hanno preso un’altra strada.
Frank Buck, essendo stato uno dei più prolifici collezionisti di animali dell’età moderna, aveva una notevole esperienza nel trattare con gli oranghi. I suoi diari di viaggio si leggono con sbalordimento misto ad orrore per lo sconvolgente numero di animali che uccise e catturò. Di certo, dopo aver scorso gli scritti di Buck, Carl Hagenbeck, Alfred Wallace, Henry Ward, e degli altri collezionisti del 19° e 20° secolo, si può sostenere con grande sicurezza che i musei di storia naturale e i parchi zoologici sono stati una causa primaria della diminuzione e dell’estinzione di specie animali sul nostro pianeta. Ma torniamo a Buck e agli oranghi. In genere uccideva le madri e prendeva i piccoli. Gli adulti erano troppo difficili da controllare e i musei ne compravano i cadaveri per la tassidermia. I giovani erano molto più facili da gestire, anche se comunque potevano insorgere problemi. “Se metti la mano troppo vicina alle sbarre di questi abitanti arboricoli che mal sopportano la cattività”, avvertiva, “c’è una buona probabilità che ne avrai indietro solo una parte; se invece è intera, non sarà in buone condizioni.” Il metodo preferito di Buck per punire queste scimmie era il piede di porco, perché un colpo in testa era meglio di una pallottola in corpo. L’importante era portarli a casa vivi per riuscire a venderli interi.
Gli zoo, infatti, dispongono di un protocollo molto severo quando si tratta di gestire gli oranghi. Tutte le serrature vanno controllate due volte perché gli animali sorvegliano tutto ciò che si fa. Le armi vanno tenute a portata di mano, ma devono rimanere “FUORI DELLA VISTA dell’animale”. Gli oranghi sanno cosa sono le pistole e non le amano. I dipendenti non devono mai superare le linee tracciate davanti alle gabbie perché gli oranghi li afferrerebbero. Questo è ciò accadde allo zoo Miami Metro nel 2003, quando un veterinario si avvicinò eccessivamente a Thelma. La ventenne si sporse attraverso le sbarre e si tirò dentro il braccio del dipendente per dargli un morso. Gli zoo sono anche tenuti ad effettuare esercitazioni annuali per prepararsi alle inevitabili fughe. Ogni istituto deve disporre di un centro di comando e di codici di allarme. Il rosso indica pericolo; tutti i visitatori devono uscire dallo zoo o essere condotti al riparo. Il verde indica che si sta verificando un incidente, ma lo zoo tenterà di tenere la notizia riservata. Quando si verifica una fuga, i custodi non devono mai affrontare l’animale senza assistenza. Una volta liberi, gli oranghi “potrebbero comportarsi in maniera MOLTO diversa”. Inoltre, dopo l’assembramento di un team di risposta, solo le persone che hanno “un rapporto positivo” con l’animale dovrebbero avanzare. Gli oranghi “potrebbero diventare pericolosamente aggressivi se fronteggiati da persone che non amano”. Nonostante queste precauzioni gli attacchi si verificano comunque.
Questo fu il caso di Sara allo zoo Gulf Breeze a Pensacola, Florida. Nel settembre 2000, durante le operazioni di pulizia, scappò da una gabbia che non era chiusa a chiave. Un’addestratrice tentò di convincerla a rientrare. “Se fosse sembrata anche appena un po’ turbata o instabile, non mi sarei mai avvicinata”, ricordò la donna. “Ma era perfettamente calma”. Ciò nonostante, Sara le saltò addosso e la morse ripetutamente. Evidentemente all’orango quella donna non piaceva. “Sara è nata in quarantena”, dichiarò impassibile l’amministratore dello zoo, “e rimarrà in quarantena”.
Un caso di rabbia distruttiva si è verificato più di recente allo zoo Shaoshan a Taiwan. Casualmente, quel giorno una stazione televisiva locale stava facendo delle riprese al parco e filmò l’intero incidente. Un maschio di orango stava correndo libero. Mentre rovesciava motociclette e fracassava i tavoli da picnic, i visitatori urlavano e si nascondevano all’interno degli edifici. Arrivò la polizia che rincorse la scimmia e poi fu a sua volta rincorsa dalla scimmia. La situazione di stallo si protrasse per due ore. Si sarebbe conclusa con una scarica elettrica sparata al torace dell’orango. Lo zoo utilizzò un piccolo bulldozer per riportare il suo corpo privo di conoscenza nella gabbia.
Quanto a Ken Allen, la situazione di stallo si concluse più pacificamente, ma questo di certo non vuol dire che fosse contento della cattura. “Era estremamente agitato e sconvolto e teso, perché ‘sta volta si era trattato di un vero e proprio inseguimento”, commentò un custode. Alla fine ci vollero più di tre ore per portare l’orango al piano di sotto nella sua cella sotterranea. Fu una dura lotta. Almeno allo zoo ora si poteva dormire tranquilli sapendo che, se c’era la corrente, Ken Allen sarebbe rimasto rinchiuso. Ma il San Diego non aveva tenuto conto che un’altra orango stava per avviare il suo marchio personale di guai.
Kumang fuggì per la prima volta dall’esposizione “Cuore dello zoo” nel 1987, verso la fine di agosto. La incontrarono alcuni visitatori che allertarono i responsabili. Questa orango di nove anni aveva trascorso l’ultima mezz’ora ad esplorare il parco. Incerti su come fosse fuggita, gli operatori del San Diego si rivolsero a scalatori professionisti per una consulenza. “I custodi non si sentono sicuri: pensano che sia solo una questione di tempo prima che gli oranghi escano di nuovo”. Mentre gli scalatori ispezionavano i muri alla ricerca di fessure nascoste, tutti gli animali furono portati nel sotterraneo. Era meglio non correre rischi lasciandoli assistere a queste attività, dato che, nella battaglia dell’ingegno, gli oranghi stavano chiaramente vincendo.
Otto mesi più tardi, Kumang riuscì a fuggire di nuovo. Questa volta, però, si fece aiutare dalla sorella Sara. I custodi dello zoo scoprirono velocemente lo strumento usato dagli oranghi: il manico di uno spazzolone per i pavimenti. Per essere usato in modo efficace, questo strumento richiedeva la collaborazione di due partecipanti. Uno dei due animali doveva tenere il bastone in posizione mentre l’altro si arrampicava. Organizzazione e mutuo soccorso sono aspetti essenziali nella maggior parte delle culture animali, compresa quella degli oranghi. Gli zoo, comunque, sono luoghi in cui tale cultura è limitata o addirittura distrutta. Questo avviene, più o meno deliberatamente, mediante la rimozione dell’autonomia, la rottura dell’unità familiare, la restrizione della mobilità, il continuo trasferimento degli animali da un posto all’altro e l’avvicendamento di diversi modelli di vita. Gli psicologi lo definirebbero un processo di alienazione e istituzionalizzazione. Questo è il motivo per cui, tendenzialmente, negli zoo si vedono comunità molto più individualiste, a prescindere dalla specie. Tuttavia, si possono comunque verificare casi collaborazione e di resistenza cooperativa.
Ad esempio, nell’ottobre 1991, nel parco zoologico Woodland a Seattle, nello stato di Washington, ci fu una fuga di massa. Cinque oranghi riuscirono a superare varie porte di sicurezza e scalare un alto muro. Il team di risposta inizialmente cercò di attirare il gruppo nel recinto con delle banane. Non funzionò. Allora Woodland diresse gli idranti contro gli oranghi. Ma anche questo sistema fallì. Restando uniti come un sol uomo, gli oranghi semplicemente non si mossero. L’alterco si concluse solo quanto tutti i cinque oranghi furono sedati. “Provammo un primo sollievo quando riuscimmo a colpire con un dardo il maschio più grande, Towan”, spiegò un curatore. “Poteva essere molto pericoloso. Paradossalmente, poco tempo fa abbiamo fatto un’esercitazione di emergenza per fuga e l’animale che avevo scelto era proprio Towan”. Allo zoo erano sicuri che fosse lui il capobanda e che sarebbe stato necessario prestare estrema attenzione nei suoi riguardi. Il modo migliore, decisero gli amministratori, sarebbe stato acquistare un sistema di sicurezza nuovo di zecca. Comunque, due anni dopo Towan sconfisse il sistema ed evase di nuovo. Non si sa se qualcuno gli diede una mano.
Poi ci furono Siabu, Sara, e Busar allo zoo Chaffee a Fresno, California. Nel 2004, questi oranghi trascorsero settimane, forse mesi, a disfare una piccola sezione della rete di nylon che circondava il loro recinto. Il 14 ottobre, uno di loro finalmente riuscì a spingersi attraverso il buco e uscire. “Sono estremamente intelligenti”, ammise un responsabile. “Ci avevano tenuto nascosto, con tutta probabilità intenzionalmente, ciò su cui stavano lavorando”. Tutti e tre gli animali furono messi in un recinto speciale.
Quanto a Kumang, sarebbe scappata altre due volte dalla sua esposizione al San Diego. La prima fu il 9 giugno, quando la trovarono seduta tra i fiori di un vicino giardino di orchidee. Poiché rifiutò di lasciarsi prendere, Kumang fu sedata con un’iniezione. È significativo che un addestratore abbia in seguito commentato che questi oranghi sono perfettamente consapevoli delle gravi conseguenze cui vanno incontro in caso di fuga. “Buona, cattiva o neutra” che sia, ogni azione porta ad una contro-azione, e queste creature lo comprendono. Evidentemente Kumang riteneva che ci fossero rischi che valeva la pena correre.
La seconda fuga avvenne il giorno seguente. Kumang fu avvistata fuori del recinto del langur duca. Quando la affrontarono, si arrampicò sopra la voliera in attesa della reazione dei suoi catturatori. Le spararono un altro dardo. Poco dopo lo zoo scoprì il suo metodo di fuga. “Ha imparato a collegare a massa il cavo riscaldato,” spiegò un addestratore ai giornalisti locali. “Prende bastoncini e pezzi di legno e li appoggia contro il cavo in modo che sia a massa. Poi si tira su usando gli isolanti in porcellana come appigli”. “Non sono sicuro che io sarei riuscito a capire come fare”, concluse l’addetto.
Negli anni, gli oranghi degli zoo hanno sviluppato una serie di sistemi creativi per sconfiggere la tecnologia e i loro catturatori. Alcuni, come Kumang, hanno capito i principi fondamentali dell’elettricità e hanno usato un pezzo di legno o un copertone in gomma per collegare i cavi a massa. Altri hanno imparato i principi ingegneristici dei meccanismi di chiusura. Lo scrittore Eugene Linden ha esaminato due di questi oranghi nel suo libro The Parrot’s Lament (‘Il lamento del pappagallo’) del 1999. Fu Manchu dello zoo Omaha usava un sottile pezzo di cavo metallico che teneva nascosto in bocca per scassinare il lucchetto della sua gabbia. Jonathan dello zoo Topeka aveva costruito, partendo da un pezzo di cartone, un dispositivo per uscire attraverso una complessa porta a ghigliottina. Entrambi gli animali furono scoperti prima o poi, ma questo non sminuì né la portata delle loro imprese né la loro speranza.
Lo zoo di San Diego, per parte sua, decise che il modo migliore per trattare i propri oranghi importuni sarebbe stato rinchiuderli tutti nelle celle sotterranee fino a quando l’esposizione non fosse stata completamente riprogettata. Questa volta l’istituzione assunse un approccio “aggressivo” al problema e stanziò 45 mila dollari per il lavoro. “Le fughe sono state una fonte di frustrazione per tutte le persone coinvolte”, disse un portavoce mostrando i denti. Gli oranghi dovevano essere fermati. I lavori di costruzione iniziarono immediatamente.
La ristrutturazione proseguì per i tre mesi successivi. I muri furono resi più alti e lisci. Tutti gli spigoli furono smussati. I cavi riscaldati furono tolti e sostituiti con un sistema più avanzato. Vennero installate porte nuove e più robuste. Nel frattempo, Kumang, Ken e gli altri se ne stavano in malsani alloggi sotterranei. Un dipendente parlò candidamente della situazione. “La gente può pensare che sia orribile, ma negli zoo della costa orientale o del Midwest gli animali trascorrono così tutto l’inverno. Ogni anno. Siamo davvero fortunati per il nostro clima. Di sicuro non è l’ideale, ma potrebbe essere peggio”.
Nel febbraio 1989, l’esposizione era finalmente completata. Gli amministratori, tuttavia, presero un’ulteriore precauzione prima di liberare gli animali. Pagarono un’impresa affinché spazzasse l’intero recinto con un una calamita ad alta potenza. Queste piccole scimmie rosse non sarebbero riuscite in alcun modo a mettere le mani su qualcosa di utilizzabile. Poi ci fu una grande inaugurazione. Che giornata per la città di San Diego e la sua industria del turismo, si gloriò lo zoo. L’esposizione degli oranghi era di nuovo in affari. Eppure, dietro le quinte, non si era poi così tanto fiduciosi. “Con questi tipi è impossibile dare garanzie,” brontolò qualcuno a proposito degli oranghi, “perché per natura sono manipolatori, grandi osservatori, lavoratori infaticabili”. “Non sapremo con sicurezza se la ristrutturazione funziona contro le fughe per forse due, tre, quattro anni, fino a che avranno avuto il tempo di esaminare attentamente le nostre riparazioni.” E infatti, quattro anni più tardi, un orango di nome Indah terminò la sua disamina e scappò dall’esposizione. Lo zoo di San Diego era punto a capo.
Jason Hribal è coautore di The Cry of Nature: an Appeal for Mercy on Behalf of Persecuted Animals (‘Il grido della natura: un appello alla clemenza a nome degli animali perseguitati’). Può essere contattato all’indirizzo [email protected]
Fonte: www.counterpunch.org
Link: http://www.counterpunch.org/hribal12162008.html
16.01.2009
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ORIANA BONAN