GLI IRACHENI COL DITO BLU

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DI NAOMI KLEIN

“Gli iracheni ci hanno ringraziato nel modo migliore che potessimo sperare..” Leggendo questa analisi del voto da parte di Betsy Hart, collaboratrice del Scripps Howard News Service, mi è venuta in mente la mia povera nonna. Mezza cieca, era un pericolo vagante quando si trovava alla guida della sua vecchia Chevrolet. Non si decideva mai a non guidare più. Ogni volta che faceva un giro in macchina (mettendo sotto tutti i cani che incontrava) era convinta che la gente le sorridesse e le facesse dei gesti di saluto. Noi eravamo costretti a riportarla alla realtà. “ Guarda che non ti stanno salutando con tutta la mano, solo con il dito medio!”

Così è con Betsy Hart e con gli altri osservatori dalla vista molto corta; credono che gli iracheni si siano finalmente decisi ad offrire ai nostri soldati i fiori e gli abbracci attesi da così tanto tempo. Quando invece quello che ci hanno mostrato è solo un dito medio colorato di blu.Il significato delle elezioni è chiaro: gli iracheni hanno votato con grande partecipazione per cacciare il governo, installato dagli americani, di Iyad Allawi, il quale si è rifiutato di chiedere loro la data di partenza. Una decisiva maggioranza ha votato per la United Iraqi Alliance; la quale richiede, al secondo punto del programma,: “ uno scadenzario preciso che riguardi il ritiro delle forze multinazionali dall’Irak.”

Nel programma della coalizione vincente si trovano altri messaggi ad un dito solo. Ecco qualche esempio: “L’adozione di un sistema di sicurezza sociale che garantisca un lavoro per tutti gli iracheni idonei…aiuti per potersi fare una casa.” Inoltre si richiede: “La cancellazione dei debiti iracheni e delle riparazioni, l’utilizzo del petrolio per progetti economici di sviluppo.” In breve gli iracheni hanno votato per respingere totalmente le radicali riforme economiche libero-scambiste imposte dall’ex governatore USA Paul Bremer, attualmente incorporate in un accordo con il Fondo Monetario Internazionale.

Adesso tutte quelle persone che si sono emozionate a vedere tutti questi iracheni andare alle urne appoggeranno le loro richieste manifestate in modo democratico? Per piacere! “Non metteteci delle scadenze!” ha dichiarato G. Bush solo quattro giorni dopo che gli iracheni hanno votato proprio per questo. Anche il PM inglese Tony Blair ha definito “magnifiche” queste elezioni però ha messo fuori discussione ogni discorso su eventuali scadenze. Le richieste dell’UIA di far crescere il settore pubblico, di utilizzare il petrolio per sé, e di condonare il debito è probabile che subiranno lo stesso destino. Specialmente se Adel Abd al-Mahadi ottiene quello che vuole. Si tratta dell’attuale ministro delle finanze che, all’improvviso, viene indicato insistentemente come leader del prossimo governo.

Al-Mahadi è il cavallo di Troia di Bush all’interno dell’UIA (Non pensavate mica che gli americani avrebbero puntato tutto solo su Allawi?) A ottobre, di fronte a una platea del American Enterprise Institute ha affermato che era sua intenzione: “ristrutturare e privatizzare tutte le imprese statali irachene,”, in dicembre ha fatto un altro viaggio a Washington per svelare i suoi piani di una nuova legge sul petrolio “molto promettente per gli investimenti americani.” E’ stato lui il supervisore della firma di una serie di contratti con la Shell, BP e Chevron Texano nelle settimane precedenti le elezioni., ed è sempre lui che ha condotto i negoziati del recente programma di austerità con il FMI. Per quanto riguarda il ritiro delle truppe al-Mahadi non è per nulla in sintonia con il programma del suo partito, al contrario sembra la voce di Cheney sul canale TV Fox News: “La data di partenza degli americani dipende da quando le nostre forze saranno pronte e da come la resistenza reagirà alle elezioni.” Però, ci è stato detto, per quanto riguarda la Sharia si trova molto in sintonia con i partiti religiosi.
Le elezioni sono state rinviate continuamente, e nel frattempo sia l’occupazione che la resistenza sono diventati sempre più mortali. Adesso sembra che due anni di sangue, corruzione e lotte dietro le quinte abbiano condotto a questo: un accordo in base al quale gli ayatollahs ottengono il controllo della vita famigliare, la Texaco il petrolio, Washington le basi permanenti che voleva (chiamiamo il tutto: “programma petrolio per donne”). Tutti hanno vinto qualcosa, meno chi è andato a votare, rischiando la vita sotto le pallottole e le bombe per ottenere un risultato politico completamente diverso da quello sperato.

Ma niente paura. Ci hanno ormai spiegato che il 30 gennaio non era importante per quello che gli iracheni volevano, era importante per il solo fatto che avessero votato mostrando, ancora più importante, come il loro coraggio avesse portato conforto al modo in cui gli americani sentono questa loro guerra.. Apparentemente il vero scopo delle elezioni è stato di provare agli americani che, come ha detto Bush “il popolo iracheno tiene alla propria libertà”. Sorprendentemente questo fatto appare come notizia di cronaca. Il giornalista Mark Brown, del Sun-Times di Chicago, ha detto che il voto è stato: “il primo chiaro segnale che la libertà significa veramente qualcosa per il popolo iracheno.” Sul The daily Show, Anderson Cooper della CNN l’ha descritto come “è la prima volta che abbiamo qualcosa che ci indica se o no gli iracheni vogliono uscire allo scoperto e fare la loro parte.”

Questa è gente proprio lenta a capire. La sollevazione dei Shiiti contro Saddam nel 1991 non è stata sufficientemente chiara per convincerli che gli iracheni erano decisi a “fare la loro parte” per ottenere la libertà. Non è stata sufficiente nemmeno la dimostrazione dei 100.000 tenuta un anno fa per pretendere elezioni immediate, oppure le elezioni locali spontanee organizzate dagli iracheni nei primi mesi dell’occupazione, tutte e due sommariamente annullate da Bremer. Alla TV americana sembra che l’intera occupazione sia stato un lungo episodio della trasmissione “Fear factor”, nella quale gli iracheni hanno dovuto superare ostacoli sempre più difficili per dimostrare la sincerità del loro desiderio di riappropriarsi del proprio paese. Le città distrutte, i cittadini torturati a Abu Ghraib, i passanti uccisi ai posti di controllo, i giornalisti censurati , l’acqua e l’elettricità razionati, tutto ciò era solo il preludio dell’ultima e decisiva sfida: sfuggire alle pallottole e alle bombe per arrivare ai seggi elettorali. Finalmente gli americani si sono convinti che si, proprio si, gli iracheni vogliono la libertà.

Il premio finale qual è? La fine della occupazione, come hanno chiesto i votanti? Non facciamo gli ingenui, il governo USA non si sottometterà mai a una “scadenza artificiale”. Il lavoro per tutti, come promesso dalla UIA? Mi dispiace ma non sono ammesse elezioni per richieste socialiste insensate. No, hanno ottenuto soltanto le lacrime di Geraldo Rivera (Ho sentito come una linfa salire su!), l’orgoglio materno di Laura Bush (“Era proprio commovente per me e il Presidente vedere la gente uscire con il dito blu.”) e le scuse sincere della sempre dubbiosa Betsy Hart (“Wow—mi devo proprio correggere”).

E questo dovrebbe bastare. Perché se non fosse stato per l’invasione gli iracheni non avrebbero avuto l’occasione di votare per la propri libertà, per poi essere completamente ignorati. Il premio finale è proprio questo: la libertà di essere occupati. Wow- mi devo proprio correggere.

Naomi Klein
Fonte:http://www.commondreams.org/views05/0211-24.htm
11.02.05

Traduzione per Comedonchisciotte.net a cura di Vichi

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