GLI ANIMALI NEI CIRCHI E NEGLI ZOO HANNO SOGNI DI LIBERT E VENDETTA

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Gli animali rinchiusi nei circhi e negli zoo hanno sogni di libertà e vendetta contro i loro padroni? Un autore dice di si.

DI THADDEUS RUSSELL
Alternet.org

Interpretare la coscienza rivoluzionaria di animali che non hanno la possibilità di esprimersi, non è più ridicolo che fare lo stesso per gli esseri umani.

La resistenza sarà ignorata, dimessa e derisa. Pubblicato dalla piccola e stravagante AK Press e scritto da un accademico sconosciuto, propone un argomento che farà fare un sorrisetto compiaciuto a chiunque non sia un accanito sostenitore della PETA. Eppure dovrebbe essere una lettura obbligatoria per tutti gli studiosi in scienze sociali e per tutti gli attivisti politici, perché mette in luce un problema centrale e duraturo del moderno dibattito politico di sinistra: la tendenza a parlare a nome di chi non si è espresso.

Hribal sostiene che per oltre due secoli gli animali costretti negli zoo, nei circhi e nei parchi acquatici, non solo sono stati “oppressi” e “sfruttati” ma hanno avuto coscienza dell’oppressione e dello sfruttamento subiti, intraprendendo una “battaglia” cosciente per il “controllo della produzione”, “autonomia”, “vendetta” e il “sogno di libertà”.

Non è difficile bollare Hribal come una sorta di Dott. Doolittle Marxista o la sua scienza sociale comica. Dopotutto, attribuisce una coscienza politica anche a quelle creature i cui pensieri non possono essere conosciuti. Ma le sue affermazioni di conoscere i pensieri degli animali non risultano più arroganti o assurde delle affermazioni che innumerevoli accademici e attivisti continuano a fare riguardo la coscienza delle persone le cui idee sono altrettanto inaccessibili.
La gran parte di Fear of the Animal Planet (Paura del Pianeta Animale) è un accurato catalogo di animali che si rifiutano di eseguire giochetti, evadendo da gabbie e recinti e attaccando addestratori e pubblico. Diversamente dalle sue descrizioni della mente animale, che naturalmente sono impossibili da dimostrare, i resoconti di Hribal dei loro comportamenti poggiano su prove riscontrabili (perlopiù dichiarazioni di testimoni oculari). Sicuramente mostrano che numerosi animali non hanno fatto quel che erano stati addestrati a fare.

Così veniamo a conoscenza del comportamento indisciplinato di Jumbo, un elefante del XIX secolo proveniente dalla savana africana, prima celebrità facente parte del regno animale. Nello Zoo di Londra, a Regent’s Park, Jumbo era solito sbattere contro le porte di ferro della gabbia in cui si esibiva e scaraventare a terra il suo addestratore. Poi fu venduto al circo di P.T. Barnum, negli USA. Per diverse settimane Jumbo si rifiutò di entrare nel container della nave, nonostante gli incitamenti e le aggressioni degli addestratori. Questi eventi sono tutti accuratamente documentati e difficili da mettere in discussione.
Ma nel determinare il significato degli eventi, Hribal, come la maggioranza degli studiosi marxisti che lo hanno ispirato, diventa un ventriloquo. Jumbo “non vedeva sé stesso come una macchina” scrive Hribal, e “la resistenza era il suo nuovo pensiero”.Un altro elefante da circo ribelle, chiamato Janet, “odiava” i suoi addestratori. Mary e Tony non erano solo pachidermi che abbandonavano l’anello del circo; erano “due impiegati scontenti”. Scrivendo come se avesse letto il manifesto dell’elefantessa Tyke, Hribal afferma che il più tristemente famoso degli animali da circo avesse schiacciato e ucciso il suo addestratore durante una performance a Honolulu perché era “stanca di essere affittata a circhi e carnevali”, “stanca delle penose e pericolose condizioni di lavoro” e “ sfinita dalle lesioni non curate, dalle ferite e dalla mancanza di assistenza sanitaria di base”.

Non solo Hribal assegna idee specifiche ai suoi elefanti “ribelli” ma come quei comunitaristi che parlano a nome delle masse, li proietta anche come parte di una consapevolezza collettiva, globale, al di là della storia. I comportamenti di Jumbo a Londra nel 1882, Janet in Florida nel 1992, Tyke alle Hawaii nel 1994 e Mary e Tony nel Wisconsin nel 2002 facevano tutti “parte di una battaglia più grande contro l’oppressione e lo sfruttamento”.

Stando a quanto afferma Hribal, la “lotta più grande” non solo attraversa il tempo e lo spazio, ma anche le specie. Come i loro compagni pachidermi, le scimmie e gli scimpanzé che scappano dagli zoo “sanno cosa sia la libertà e la reclamano”. Così anche i leoni marini, i delfini e le orche, nei parchi acquatici condividono questo “sogno di libertà”. I loro rifiuti occasionali di obbedire agli ordini degli addestratori sono “scioperi” che fanno parte della “battaglia per il controllo della produzione”. L’orca del parco acquatico Sea World, di nome Tilikum, che nel 2010 ha trascinato la sua addestratrice sul fondo di una vasca, trattenendola finché non è affogata, stava in realtà mostrando “una chiara, notevole dimostrazione della sua avversione per la cattività e di tutte le sue implicazioni: dall’assenza di autonomia alle relazioni di sfruttamento, al sempre maggiore carico di lavoro”. I biologi marini sono convinti che le orche comunichino una con l’altra, ma dubito che qualsiasi scienziato abbia udito incitamenti rivoluzionari nei loro fischi e rumori.

Hribal non si limita semplicemente a far utilizzare ai rivoluzionari con pinne e quattro zampe il suo linguaggio politico. Per lui, sono in lotta per tutti i loro fratelli in gabbia, la stragrande maggioranza dei quali non ha mai provato a evadere dai propri confini o a calpestare un custode. In questo senso, di nuovo, non differisce da molti storici degli esseri umani.

Nel 1988 la teorica della letteratura Gayatri Spivak pubblicò un saggio che criticava un nuovo movimento tra gli studiosi del Sud asiatico conosciuto come “subaltern studies”. Il movimento era un tentativo di rimpiazzare le storie colonialiste del subcontinente con la “storia dal basso”, un’iniziativa che era stata intrapresa dagli storici di sinistra in Gran Bretagna e negli USA fin dagli anni sessanta. Ciò che Spivak trovò in questo nuovo approccio alla storia del Sud asiatico, lo ritrovo nella “nuova storia sociale” degli Stati Uniti: uno sforzo diffuso, ma perlopiù inconscio di piazzare esplicite idee politiche e sinistroidi nelle menti di soggetti storici che non hanno lasciato alcuna registrazione dei propri ricordi. La Spivak sostiene che l’obiettivo degli studiosi universitari di “stabilire la vera conoscenza del subalterno e della sua coscienza” poteva essere definita essenzialmente una nuova forma di imperialismo – un tentativo di rifare il mondo a immagine di sé stessi.

Provate questo esercizio: Aprite un qualsiasi libro scritto negli ultimi 40 anni sulla storia afroamericana, sulla storia femminile, o storia del lavoro e contate quante volte i termini impiegati da Hribal per descrivere la consapevolezza degli animali sono utilizzati per descrivere la consapevolezza delle persone. Poi cercate la prova che la gente stessa ha utilizzato quegli stessi termini. Più spesso, troverete quelli che si sono autoproclamati leader degli “oppressi” e degli “sfruttati” – abolizionisti, femministe, sindacalisti, capi dei diritti civili e estremisti politici- sostituire coloro che rappresentano e parlare il linguaggio che gli storici di sinistra vogliono sentire.

Non è una difesa della schiavitù, della segregazione, della negazione dei diritti delle donne o della povertà riconoscere che, stando ai dati disponibili, solo una minima parte delle loro presunte vittime si autodefinisce così. Solo pochi storici menzionano il fatto che la maggioranza degli ex-schiavi che è stata intervistata aveva una visione positiva dei giorni trascorsi nelle piantagioni (inclusi quelli che furono intervistati da afroamericani) o, ancora più importante, che più del 99 percento degli schiavi americani non ha lasciato neppure una testimonianza dei propri pensieri. L’implicazione della tesi di Spivak, che è stata applicata a simili trattamenti di contadini indiani, è quello che, rivendicando per tutti gli schiavi lo status di “vittime” o “oppressi” rischia di omogeneizzare gli atteggiamenti, i comportamenti e le culture di milioni di persone e di renderli i burattini di qualcuno. Analogamente, il totale della partecipazione Afroamericana nell’movimento per i diritti civili organizzato del 1950 e ’60, equivale appena all’1% del totale della popolazione Afroamericana di quel periodo. Sappiamo inoltre che molti afroamericani, perlopiù nazionalisti neri, attaccarono i leader dei diritti civili per essere degli svenduti “Zii Tom” e assimilatori culturali. Nei nostri libri di testo tuttavia, Martin Luther King Jr. è ancora presentato come la voce dei 20 milioni di persone di colore vive in quegli anni.

Il più notevole ventriloquio politico può essere trovato nella storia del lavoro degli Stati Uniti, in cui i socialisti e i social democratici che presero controllo di alcuni sindacati sono utilizzati dagli storici per sostenere che la classe operaia americana abbia una lunga tradizione di aspirazioni collettiviste. Il mio libro del 2011 su Jimmy Hoffa, Out of the Jungle, fu il primo a notare questa unioni anti-socialiste, strettamente necessarie come i Teamsters sminuirono l’adesione congiunta dei sindacati guidati dai socialisti tanto amati dagli storici del lavoro della nuova sinistra.

E le opinioni di quante donne sono state rappresentate dal discorso femminista dalle sue origini nel XIX secolo? Jason Hribal fa ai delfini quello che Hilary Clinton sta facendo alle donne in Afghanistan, ma con una conseguenza molto più importante della distruzione del parco di Sea World. La Clinton e una grande maggioranza di femministe stanno giustificando l’occupazione militare in Afghanistan affermando che le donne afghane sono attuali o potenziali “vittime”della Sharia e dei Talebani. Però solo ad una piccola parte di donne afghane è stato chiesto nei sondaggi se fossero d’accordo con questo giudizio sulle proprie vite; una maggioranza che ha chiesto di approvare la legge della Sharia, e una percentuale significativa appoggia addirittura il ritorno al potere dei Talebani. Se liberiamo le donne in Afghanistan, lo faremo contro il desiderio di molte di queste.

Parlare a nome dei subalterni non è una pratica esclusiva della sinistra. Recentemente due feti hanno testimoniato contro i diritti riproduttivi nel corso di un’udienza della registratura dello stato dell’Ohio. Adagiate su delle barelle in aula, due donne incinte sono state scansionate da una macchina ad ultrasuoni mentre su di un monitor venivano trasmesse le immagini e i suoni dei cuori pulsanti dei loro feti. I feti erano lì per contribuire con il loro inconsapevole sostegno al “progetto di legge battito del cuore”, che renderebbe illegali gli aborti in Ohio, non appena un battito del cuore possa essere rilevato, fatta eccezione per le emergenze mediche.

Quindi cerchiamo di impiegare le apparenti assurdità di questo libro per mettere in discussione le nostre  stesse rivendicazioni, altrettanto assurde e in più imperialiste, riguardo le credenze e le aspirazioni di coloro che non conosciamo.

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Fonte: www.alternet.org

22.05.2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di GIULIA CONSOLINI

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