DI GIANLUCA FREDA
Blogghete!
“In ultima analisi, non è dunque un pugno di governanti quello che ci schiaccia, ma è l’incoscienza, la stupidità dei montoni di Panurgo che costituiscono il bestiame elettorale. Noi lavoreremo senza tregua in vista della conquista della “felicità immediata”, restando partigiani del solo metodo scientifico e proclamando con i nostri compagni astensionisti: L’ELETTORE, ECCO IL NEMICO!
E adesso alle urne, bestiame!”
(Manifesto dei redattori del giornale francese “L’Anarchie”, 1906)
Comprereste un governo usato da quest’uomo? Io neanche se me lo regalasse.
Walter Veltroni ha iniziato la sua campagna elettorale esattamente come mi aspettavo: con la prepotenza, la retorica e la cialtroneria di un quisling perfetto. Dietro di lui ci sono gli Stati Uniti e Israele, le loro guerre e i loro orrori. Ma occupati come sono a creare nuovi burattini, questi due stati-canaglia non hanno pensato a rinnovare il copione della commedia. Che essendo da sessant’anni sempre la stessa, tende ormai a provocare insofferenza e fitte intestinali anche nel pubblico più robusto di stomaco. Questa volta la rappresentazione potrebbe finire con un fitto lancio di ortofrutta stagionata, prospettiva che è tra quelle da me più accarezzate. Veltroni ha concluso la passata, inqualificabile legislatura con un tentativo di inciucio bipartisan con lo stesso “pericolo per la democrazia” di cui i suoi elettori ubriachi si riempiono la bocca. E non desiste. Oggi Repubblica, il giornale che funge da PR al quattrocchi, riporta ancora, in prima pagina, le sue invocazioni alla cessazione immediata del “muro contro muro”. Gli sbandati seguaci del John Fitzgerald del Gianicolo credono davvero che il loro partito sia – o sia mai stato – un muro contro la coalizione avversaria? Se è così sono ormai così irrimediabilmente fumati da non riuscire nemmeno più a distinguere un muro da uno scendiletto. Il 13 e 14 aprile sbatteranno contro l’impietoso muro degli exit poll e questo potrebbe aiutarli a intuire la differenza, sempre che sopravvivano allo schianto. Veltroni, invece, non corre alcun pericolo. In un modo o nell’altro, che vincano o che perdano le elezioni, saranno le sue truppe a gestire e amministrare il potere nei prossimi anni. Perché, per coloro che ancora non lo avessero capito, questo paese non si amministra dal Parlamento o dal Governo. Si amministra dalle poltrone degli enti pubblici, dalle sedi bancarie internazionali, dai consigli d’amministrazione delle multinazionali italiane e straniere, dalla Knesset e da Wall Street. E questi poteri hanno già deciso chi sarà il loro vicerè per l’immediato futuro. Non certo il patetico nano di Arcore, troppo ricco per essere manipolabile e troppo ignorante per essere prevedibile. Ma proprio il vecchio Walter, l’uomo che si presentò all’elettorato italiano pigolando “I Care”. Il “democratico” che plaude alla censura di un blog fastidioso per i suoi comandanti vomitando ettolitri di sciocchezze e di menzogne. Il più scrupoloso e fedele dei maggiordomi. Non ha nessun bisogno di essere al governo per esercitare questo prestigioso incarico. Il governo, le elezioni, la campagna elettorale fatta di urla, spintoni e strillazzi di Repubblica, sono favole per le vecchie. Che Berlusconi si pigli pure la maggioranza schiacciante di tutte queste scatole vuote. La situazione non cambierà di mezza virgola. Sarà sempre Walter a gestire la situazione, per conto di Mangiafuoco, il burattinaio che non tollera errori. E’ per questo che Walter tende la mano ai burattini avversari. Perché non si può recitare la grande commedia della “democrazia” con un burattino solo. Gli altri fantocci devono capire bene qual è il copione e convincersi che se il pubblico in sala non trovasse la recita convincente, Mangiafuoco ne sarebbe molto, ma molto contrariato.
Gli zotici nel loggione, da sempre, si appassionano all’operetta. Soffrono e s’immedesimano. Si sentono nel “mondo reale” e non vedono il palcoscenico di legno, il cielo dipinto. Applaudono a scena aperta i frizzi e lazzi dei pupazzi. S’indignano o esultano all’arrivo in scena del loro beniamino, alle avventure e disavventure ora dell’una, ora dell’altra parte in commedia. Fremono d’orrore alla comparsa dei malvagi sullo sfondo di cartapesta. Ecco il maligno antisemita, nemico del genere umano, pronto a ridurre in sapone l’intero pubblico pagante! Tremate, bifolchi! Invocate il vostro eroe, quale che sia, ed egli arriverà a razzo in vostro soccorso, sputando sentenze e mandati di cattura. Ecco il truce neonazista con la sua bella svastica di truciolato a listelle e i suoi baffetti di spago, che v’invaderà la Polonia per tutta la vita se solo distogliete per un attimo lo sguardo! Aita, bifolchi! Belate in coro il nome dei liberatori e delle sante vittime dell’olocausto ed egli sparirà in una nuvola di zolfo! Ecco il bieco comunista, col suo carretto puzzolente di purgati siberiani! Ecco il pedofilo feroce, che vi schiaffa la prole su internet e se la vende su E-bay. Nessun timore, ovini! Walter e Silvio sono qui per salvarvi, a turno, il primo nei giorni pari, l’altro nei giorni dispari.
Quando venne il suo turno (nei giorni pari) Silvio, povero scemo, era convinto di poter fare il sovrano assoluto solo perché aveva vinto le elezioni con una maggioranza bulgara. Dovette capire ben presto, e con somma costernazione, chi comanda davvero in questo e altri paesi. La sua maggioranza bulgara fu appena sufficiente a sfornare leggi su leggi per salvarlo dai processi penali che incessantemente si affastellavano contro di lui. Non dico che non avrebbe strameritato un milione di volte di andare in galera. Dico che per tutti i suoi cinque anni di legislatura bulgara fu tenuto sotto schiaffo dai magistrati e non potè fare altro che fuggire disperatamente in cerca di salvezza. Non appena conclusa la legislatura, guarda caso, i processi contro di lui si fecero improvvisamente più blandi, le accuse furono lasciate cadere, le leggi-vergogna furono tenute in vita dai suoi “acerrimi nemici”, libere di produrre i sospirati effetti assolutori. Berlusconi, ormai domato e messo sull’avviso di chi è che porta i pantaloni, andava adesso salvaguardato nella funzione di “spalla” del teatrino repubblican-democratico, di cui aveva ora imparato a conoscere le regole. Quei processi, per quanto fondati su malefatte autentiche, non erano autentici. Erano un consiglio, un avvertimento se volete: vedi di rigare dritto o ti sostituiamo col primo che passa dall’oggi al domani e finisci a coltivare carciofi. Questo è quel che è successo all’uomo con la maggioranza parlamentare più robusta della storia repubblicana, questo è quello che gli succederà ancora se non si rassegna a recitare la sua parte in commedia. Non a caso – leggo oggi sui giornali – il suo atteggiamento elettorale è oggi tanto mite, tutto un “parliamone”, “dialoghiamo”, “facciamo le larghe intese”. L’uomo ha visto la luce. Ha anche visto cosa succede ai magistrati che tentano di indagare sui favoriti di Mangiafuoco. Non si perde non dico una legislatura, ma nemmeno una settimana, a difendersi da loro. Li si fa fuori con un trasferimento, con un’incriminazione davanti al CSM, con il linciaggio mediatico, in un battibaleno. Chi tocca i maggiordomi dei potenti – quelli veri e lontani – non solo muore, ma muore senza togliere tempo prezioso agli affari. Il fantoccio di Arcore osserva ammirato e sogna i suoi problemi con i De Magistris e le Forleo del futuro risolti in un battito di ciglia dalla sua cedevole affiliazione. Fare il maggiordomo, in fondo, non è poi un mestiere così spiacevole.
C’è tuttavia, come dicevo all’inizio, un’incognita che potrebbe mandare a monte l’ennesima, scialba replica di questi decrepiti saltimbanchi. Quest’incognita è la noia. Siamo appena all’ouverture dell’opera dei pupi e già risuonano le stesse litanie ritrite, le stesse chimeriche logorree già ascoltate fino all’intasamento delle trombe d’Eustachio, fino alla somatizzazione ansiogena. “Meno tasse, su i salari”, strilla il quattrocchi entrando in scena. “Via gli immigrati”, gli risponde a freddo il nano saltellante. E noi già sappiamo, disperatamente sappiamo, che ne sarà di queste promesse/minacce nel secondo atto della performance. Questa volta il pubblico potrebbe anche decidere di cambiare spettacolo. Potrebbe decidere di uscire dal teatro, di non pagare, né con denaro, né con la propria presenza, per assistere al miliardesimo allestimento di questa rappresentazione primordiale. Potrebbe ricoprire Mangiafuoco e i suoi sciancati pupazzi di tanta verdura fresca da aprirci un mercatino; potrebbe abbandonarli al loro destino e decidere di scindere, fuori, all’aperto, la propria vita concreta dalla realtà virtuale di una recita in cui il lavoro, i salari, l’immigrazione sono solo frasi scritte su un canovaccio da un pessimo sceneggiatore. Il pubblico potrebbe decidere di disertare la messinscena del 13 e 14 aprile e di lasciare i suoi burattinai a recitare davanti a una sala vuota. Io ci spero un sacco.
Ma non ci conto. Il teatro – Pirandello insegna – possiede una sua metadimensione, una volta entrati nella quale è difficile distinguere il pubblico dagli attori, la realtà dei personaggi del dramma dalla realtà di chi al dramma assiste. Non è perciò inverosimile che il pubblico di ovini si metta anche stavolta in fila, zitto zitto, per salvare l’Italia dal nazismo di Berlusconi o dal comunismo di Veltroni. Non è detto che non ricominci a ciarlare, perfino in quest’estrema notte delle speranze, di mali minori e di “esercizio dei propri diritti” (è così che viene chiamato l’accorrere dei ruminanti alla tosa al risuonar del campanaccio pastorizio). Se così sarà, questa volta sarò io a godermi lo spettacolo. Guarderò ballare le marionette sulle assi della ribalta, ma anche quelle nella sala gremita, tutte manovrate dagli stessi fili, tutte rassegnate a vivere o morire secondo il volere dei direttori artistici. Mi farà ridere e sentire un po’ meno marionetta, anche se sono, in realtà, solo una marionetta che ha la sciagura di vedere i suoi fili. E che ha avuto la fortuna, per caso, per puro caso, di scoprirsi un giorno di tanti anni fa in un teatro molto più grande.
Gianluca Freda
Fonte: http://blogghete.blog.dada.net/
11.02.08