GIOVANNI LINDO FERRETTI E L’INFAME RELATIVISMO

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DI LUCA PAKAROV
rollingstonemagazine.it

Critica disillusa di un vero fan. Con intervista dal cesso a un vero punk. E la verità è che…

Questo pezzo doveva essere un capolavoro. Il mio salto di qualità. La svolta. Ma per cause riconducibili al dissesto idrogeologico del giardino di un professionista della mente, la faccenda è andata in fumo. La sublime idea era consegnare a un mio amico psichiatra (bravo per di più) alcuni articoli di Giovanni Lindo Ferretti su l’Avvenire e stralci di canzoni dei CCCP, avevo pure cominciato a trascrivere la fenomenale intervista su La7 di qualche tempo fa, raccontargli poi che si trattavano di lettere indirizzate a me (l’amico psichiatra manco a dirlo ascolta Beethoven) e fargli tracciare un profilo psicologico, o come si dica. Un piano geniale in cui sarei stato l’iniziatore del “giornalismo clinico”, e che vedeva la parte più gratificante dell’operazione nella certificazione del Lindo nazionale: matto come un agnello lisergico, timbrato Istituto Superiore della Sanità.L’avrei fatto perché, malgrado tutto, un minimo a Ferretti ancora gli si vuole bene (o si cerca). Poi, con le spalle coperte dalla scienza, potevo cominciare a sparare a zero, come Jurij spara. Nelle aule di tribunale funziona così, no? Assolto per incapacità di intendere o di volere. Una scappatoia come un’altra, ma non per lui, ci mancherebbe, per me, per il mio senso critico scorticato, un bollino a giustificare l’ingiustificabile.

Ora già si saranno alzati un bordello di buuu. I fan. O fanatici, visto che la “linea gotica” della religione, è lì, facilmente valicabile. È come quando tocchi Vasco o Bruce Springsteen (qualcuno di RS oramai gira con la scorta). Difficilino scrivere in maniera equilibrata di uno squilibrato. Fra di voi comunque c’è anche una parte del mio disturbo bipolare, l’altra però, da qualche anno, lo ripugna l’ex Suonatore Indipendente. È il mio lato di maschio tradito che non si accontenta della musica e dei falsi storici, perché di questo si tratta. Un attimo, un attimo, so già cosa avete da dirmi: scindi la musica dalla sua vita. Troppo facile, no. Oramai il mahatma Ferretti riesce solo a dividere, tanto d’essere capace di riscontrare le macrocategorie dei sostenitori e i non. C’è quella che ho appena citato sopra: “musica e non vita”, di solito sono i tipi che alzano la voce ma si fanno mettere i piedi sopra (cioè votano PD).

Poi quelli che si prendono il pack in toto: “vita e uomo”, esaltandone il percorso umano (ci vuole che me lo spiegate però) e che, chiaramente, in società sono i più pericolosi. E chi “l’ho sempre detto che non mi convinceva”, gente per nulla socievole. Oppure quelli come me, per cui “amore e odio sono la stessa cosa”, e invece del cuore hanno i piatti di una bilancia e nelle braccia nervi sfilacciati. Niente da recriminare, sia chiaro, l’ascesa verso Dio (o chi per Lui), nell’epoca informatizzata ed ipertecnologica, potrebbe essere un sano cammino da intraprendere, fosse solo per coerenza con le sue perverse conversioni al non convenzionale. Sì, è uno scioglilingua.

Giovanni Lindo Ferretti è stato, infatti, sempre dall’altra parte, contrario, originale, e cosa c’è oggi di più irregolare di uno che si ritira in montagna per pregare con la madre? E fin qui niente da obiettare, anche questa sua scelta è l’espressione di un secolo stanco della scienza, lontano migliaia di chilometri dai quattro elementi, assolutamente dimentico dei valori della vita (non diciamo famiglia perché su questo tema Lindo ha già scazzato) eccetera eccetera eccetera. Per qualcuno l’ex-CCCP è stato un precursore di qualcosa (ha sdoganato il punk a modo suo e di certo non l’ha inventato) e ogni pioniere è estremo nelle sue ipotesi. È come quando leggi che c’è il ritorno alle campagne. Ferretti è già lì, com’era prima oltre il Muro di Berlino o in meditazione in Asia, quando gli altri cominciavano solo a sbirciare verso est. Così, ciò che dovrebbe ora interessarci (qui parla il mio lato fan) è la sua prossima profezia o la prossima mossa: monachesimo, una religione propria o un cambio d’identità? In aiuto mi viene una frase di Carmelo Bene in cui, affermava, ci sono cretini che vedono la Madonna, ma più che vedere la Madonna, sono loro stessi la Madonna.

Anche nella musica, col senno del poi, c’era il seme di quello che sarebbe stato. L’evoluzione (o involuzione) CCCP, C.S.I., P.G.R non poteva che approdare ad A cuor contento, l’ultimo tour con Ezio Bonicelli e Luca Rossi degli Üstmamò. È la curiosità artistica a farti compiere certe capriole, direbbe un mio amico quando dà l’ultima mano di vernice (è un pittore vero), mentre io gli rispondo sempre, no caro, è la noia dell’artista (laddove lo guardo e gli rollo una sigaretta). Ferretti non è mai stato filosovietico (al limite potrebbe essere stato una spia della CEI fra i rossi, con la canzone Paxo de Jerusalem a suprema parola d’ordine), si è appassionato all’Islam, all’ebraismo e al buddhismo, nella sua onesta disonestà, nel cammino logico del contraddire, colpire, scioccare. Ecco, forse noi comuni mortali avremmo preferito solo un po’ di morigeratezza, come ai vecchi tempi, meno parole e più musica, e invece ci sono stati gli interventi sulla Jugoslavia, i ceri alla Madonna, lettere d’amore a Giuliano Ferrara, i suoi discorsi ai meeting di Comunione e Liberazione, Lega Nord, Berlusconi, e che cazzo! Tavor-Serenase così non bastano perché ogni tanto ci piacerebbero che i nostri idoli durassero qualche stagione in più, non dico invecchiare con loro, ma almeno che non ci facciano cadere nel terribile relativismo di cui tanto sbraita Ratzinger (ahhh che stilettata, dimenticavo le parole di Ferretti sul Papa…).

Quest’articolo doveva uscire in occasione del nuovo tour di A cuor contento, allora mi presento alla seconda data, a San Ginesio, delizioso paesino a due passi dagli Appennini tanto cari ai cavalli di Ferretti e in cui, quindi, il nostro eroe non poteva che suonare in una chiesa sconsacrata. Un’“erezione triste”, in altre parole. L’ideale per allenarsi, almeno finché non prenderà i voti e potrà salire sul pulpito per i sermoni. Si arriva giusti in tempo, dopo un portentoso aperitivo nell’hotel dove Lindo and friends cenano. Anni fa avrei fatto carte false per conoscere Ferretti, chiacchierarci, però quando chiedo di poterlo incontrare e mi rispondono che nel tour non rilascia interviste (o sarà per la testata?), non sento nessun dispiacere, sopravvivrò al trauma, anzi arriva il buon uomo dell’assessore a consolarmi il quale, comunque, risulta l’unico rocker lì in circolazione (pardon, ho… come dire, dimenticato di saldare i caffè e le grappe… ripagherò con tre Atti di dolore).

Tuttavia le attese di chi è giunto fin lì, come si dice, non vengono tradite. Ferretti entra con le mani in tasca, teschio e sopracciglia e, come se l’Altissimo da sopra lo guidasse con dei fili, si piazza davanti al microfono. A differenza di altri concerti, la sua voce è ferma e potente. Ogni tanto sorseggia un bicchiere di rosso e finalmente si lascia alle spalle la veste di profeta e va dritto al sodo, né una parola né un’omelia, fa il suo onesto lavoro di cantante. Qualche volta cade in catalessi ma poi torna, come il vecchio Ferretti. E di questo, solo di questo, gliene siamo grati perché comunque emoziona quando salmodia Radio Kabul, Depressione Caspica o Annarella che, per noi della terza fila (seduti, preciso), sono vere e proprie categorie dello spirito. Come fa a metterci tanta passione, visto quanto bofonchia oggi? Al momento “mimporta nasega” se è mendace o se scrive terribili libri. Qui dentro, caro Lindo, sei al sicuro (la mia parte ripugna-Ferretti non aveva l’accredito). Intorno ho “pre” e “post”, ma soprattutto “pre”, bocche aperte, occhi lucidi, estasiati, Ferretti ha questa magia del canto e della poetica che nessuno può togliergli. Del Mondo ci ricorda proprio lo scampolo di quello che non c’è più (Ferretti compreso).

Quella sera mi sarebbero diventate orecchiabili pure le canzoni dei PGR, se le avesse cantate. Commosso penso al mio benessere, ma uno del servizio d’ordine mi riprende quando, chinato sul chiostro, cerco col ciglio di un marmetto di stapparmi una birra. È la stampa ragazzo, posso fare questo ed altro.

Così, pure con tutti i pregiudizi del pianeta, passo una bella serata. Anzi quasi mi faccio convincere e per un attimo, un solo attimo, mi sfiora il pensiero che dopo trent’anni di buona musica uno abbia il diritto di fare o dire quel cazzo che vuole.
L’eco del concerto per un po’ rimane, almeno finché non leggerò qualche sua merdosa opinione in linguaggio aulico. Ma attenzione, l’idea di Ferretti di nuovo muta, all’assalto sento arrivare tutto il resto delle truppe col suo carrozzone di sofferenze. Confuso, mi ritrovo terribilmente confuso, “mi ricordo di discorsi belli tondi ragionevoli, trafitto sono, trapassato dal futuro, cerco una persona”. Prima che la bile prenda il sopravvento provo a domandare a chi ne sa più di me e visto che, mentre batto i tasti, a casa mia, nell’altra stanza, ho uno che di punk qualcosa capisce, gli urlo: “Marco, che pensi di Ferretti?”.

E Philopat dal cesso: “Come uomo o come artista?”.

“Prima come artista”.

“Aspetta vengo di là. Allora, i CCCP e i CSI fanno parte dell’immaginario collettivo dei giovani irrequieti ascoltatori di musica indie e alternativa… sono troppo importanti… Zamboni e Ferretti erano un ottimo musicista e un bravissimo paroliere, per di più visionari, un’unione perfetta, quando però si sono separati sono diventati monchi, senza più creare nulla d’interessante”.

“Mmh, adesso ti voglio dal punto di vista umano…”.
Marco Philopat se la ride: “Con Ferretti non ci sono mai andato d’accordo, è sempre stato un calcolatore. Ha rappresentato per il punk di quel periodo, la prima metà degli anni ’80, un momento di rottura. Nella parete del Virus (centro sociale degli anni ’80 di Milano di cui Philopat fu uno dei fondatori, N.d.R.) c’era scritto “quando il sistema ti chiude ogni spazio non rimane che la musica per esprimere il tuo dissenso”, Ferretti ha utilizzato le strutture della scena punk italiana per essere controcorrente. Però si vedeva subito che voleva sgomitare, che voleva essere un professionista di musica ed arrivare al grande successo… e per noi non era importante, la musica era una scusa e un’esperienza di vita totale… c’è da dire però che noi del centro sociale eravamo molto più giovani di loro”.

“Ok, però usciti da quella scena in diversi hanno trovato, come dire, una sistemazione, una collocazione culturale… tu incluso…”.

“Beh, loro sono stati i primi a rompere quando chiesero un milione di lire per fare un concerto al Leoncavallo, noi ci organizzammo per tirargli frutta e verdura e Ferretti dal palco disse: ‘siamo filosovietici e non Philopattiani’… il problema è che già all’epoca c’erano le folle osannanti che noi odiavamo… per farla breve rischiai il linciaggio”.

“I discepoli di oggi, chissà, sono più teneri…”.

“A vedere bene, altri famosi che vengono da una scena underground non sono come lui, Ferretti non ha capito la lezione dei Clash che portavano nei camerini la gente, lui è rimasto ai Led Zeppelin, all’idolo, non con le groupie ma con i discepoli… ormai pontifica, è diventato una sorta di Papa, peggio è Papa e papista”.

“Vuoi dire che è l’ennesima invenzione?”.

“Voglio dire che, per stare sempre sulla cresta dell’onda, continua a fare il tipo controcorrente anche se non lo è”.

La risoluzione dell’intrigato enigma forse ce la offre proprio Ferretti: “se fosse figliol prodigo sarebbe un vitello grasso”.

Tutto qua. Si è perso pure troppo tempo con questa storia. Ai fan, al mio stesso insipido lato fan, consiglierei di allontanarsi dai santoni. Senza un motivo preciso mi viene di chiudere con la frase di un vero saggio, un grande uomo (coerente perfino) che si chiamava Krishnamurti e che disse: “La verità è una terra senza sentieri. L’uomo non può arrivarci tramite alcuna organizzazione, credo o dogma, preti o reti, e nemmeno attraverso la conoscenza filosofica o teoria psicologica”. Magari non c’entra niente, magari sì. La pace sia con voi anche se, io, il Valium per dormire, l’ho finito per davvero.

Luca Pakarov
Fonte: www.rollingstonemagazine.it
Link: http://www.rollingstonemagazine.it/musica/notizie/giovanni-lindo-ferretti-e-linfame-relativismo/50930
2.04.2012

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