GIORNALISTI GIUSTIZIATI E CRIMINALI IMPUNITI

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DI RITA PENNAROLA
La Voce Della Campania

Come in un allucinante remake del “ventennio” nell’Italia di oggi alcuni fra i grandi giornalisti d’inchiesta e di contrasto alla mafia sono ridotti al silenzio. E alla fame. Un reportage inedito dalle nostra Guantanamo dell’informazione.

IL SILENZIO DEGLI INNOCENTI

«Quanto coraggio ci vuole ancora per sostenere che viviamo in una democrazia reale, contro tutti i fascismi, di quanta ipocrisia bisogna essere capaci per non provare anche solo imbarazzo, quando la vita di ogni giorno in questo paese da operetta è piena di vicende dal sapore inconfondibile dell’epoca che fu: un fascismo riverniciato certo, riadattato per il Terzo Millennio, magari solo più subdolo, ma con il solito tanfo insopportabile di violenza di Stato, di disprezzo di ogni pudore e di ogni libertà. In una parola: di mafia». Le parole non sono nostre, anche se le sottoscriviamo in pieno. L’impietoso ritratto dell’Italia ripiombata in un fascismo subdolo, quello del Partito Unico, è di un collega siciliano, Marco Benanti. Un giornalista d’inchiesta ridotto al silenzio. E alla fame. Come presto o tardi saremo ridotti tutti noi che ci ostiniamo a capire, a documentare, a scrivere.MARCO

Il brano è tratto dalla lettera-verità scritta da Marco a Fausto Bertinotti, che aveva incontrato a Catania nel corso di una manifestazione per il lavoro, giusto un anno prima dell’ascesa del leader PRC alla presidenza della Camera. «Non lasciatelo solo», aveva detto dal palco Bertinotti. Autore di coraggiose inchieste antimafia su siti internet locali, collaboratore anche della Voce, per vivere e continuare a scrivere Benanti, un ragazzone alto e grosso, nel 2003 era riuscito a procurarsi un posto di operaio presso l’unica “azienda” funzionante in zona: la base Nato di Sigonella. E ha dato fastidio. Molto. Per l’ “antiamericanismo” di alcuni articoli dopo solo sei mesi viene licenziato la prima volta. Con un ricorso urgente il giudice del lavoro ne ordina la riassunzione. L’azienda risponde che lo pagherà per restarsene a casa. Dura poco. In brevissimo tempo viene fissata e decisa nel merito la causa di primo grado. Licenziato. E senza sussidio di disoccupazione Inps, proprio per i mesi di non-lavoro forzato. L’appello? Certo. E’ fissato per ottobre 2009. Chiusa in un silenzio di piombo la Cgil locale.

E nessuna attenzione nemmeno dai “compagni” parlamentari locali: «Sarà un caso, ma basta leggere i nomi di chi ha sottoscritto l’appello del comitato messo su con tanta passione da un pugno di cittadini, che non si rassegna a vivere in pantofole e televisione, per non trovarne alcuni: Anna Finocchiaro, Enzo Bianco, Claudio Fava, Adriana Laudani, tutte belle anime della sinistra catanese e siciliana, evidentemente impegnate in altro, in altre cose, più serie di questa». Ancor più amara – e lucida – la conclusione della lettera: «Presidente, la prego di rimanere certo che le sue parole non sono state inutili: “solo”, infatti, non sono rimasto. Sono rimasto con me e la mia coscienza e magari con pochissimi amici, quelli veri, che in una terra non libera, non democratica, non antifascista se non per le coreografie da parata, rappresentano l’unica e ultima ancora in mezzo al grigio vivere borghese di una società di abitanti indifferenti».

CARLO

E’ tenace, cocciuto, il ragusano Carlo Ruta. E non ha smesso un attimo di raccogliere documenti per le inchieste sulle connection fra potere e Cosa nostra pubblicate sul suo sito www.accadeinsicilia.it. Lo stesso al quale collaborava anche Marco Benanti. E ora paga caro anche Carlo. Che già prima conduceva, con la moglie e i sue figli, una vita di rigore al limite degli stenti. Il 27 settembre scorso è stato condannato per diffamazione a otto mesi di carcere dal giudice monocratico del tribunale di Messina Salvatore Venuto. Un avvocato. Che in quell’occasione vestiva i panni del giudice onorario. A querelare erano stati due nomi altisonanti: il procuratore della Repubblica di Ragusa Agostino Fera e l’avvocato Carmelo Di Paola, presidente del collegio dei probiviri della Banca Popolare Agricola di Ragusa. Ruta aveva pubblicato sul sito la testimonianza dell’ex funzionario pubblico Sebastiano Agosta (anche lui condannato a otto mesi) su un giro di miliardi con tanti punti rimasti oscuri.

Nell’agosto 2001 la Ellepi, una immobiliare ragusana, acquista un capannone rustico per poco più di 300 milioni di lire. A distanza di appena un giorno lo rivende all’amministrazione provinciale di Ragusa per un miliardo e mezzo di lire. Un’operazione palesemente sospetta, di cui si era occupata anche la magistratura, giungendo però, dopo qualche anno, all’archiviazione. «A sollevare il caso – ricostruisce Ruta – era stato Sebastiano Agosta, ex funzionario della Provincia, che aveva partecipato alla gara. Questo signore di 75 anni era in grado di documentare quanto l’affare fosse poco limpido. E in effetti mi ha permesso di leggere importanti documenti. Naturalmente ho raccolto la sua testimonianza». Per Carlo non è ancora finita. Nemmeno col carcere sarà punito abbastanza un giornalista: contestualmente alla chiusura del sito era stato aperto infatti un procedimento civile. La richiesta, come risarcimento dei danni patiti, è di 100 milioni delle vecchie lire.

«Mentre i giornalisti scioperano per il rinnovo del contratto bloccato da anni – commentano a Girodivite – nel profondo Sud si lotta ancora per il diritto elementare alla libertà di espressione». Finchè potrà, Ruta continua intanto il suo lavoro: ha appena dato alle stampe un libro d’inchiesta proprio sulla Banca Popolare Agricola Ragusana e si sta già occupando di un altro caso: i delitti Tumino-Spampinato del 1972, sui quali per trent’anni è stata imposta un’assoluta sordina, anche perchè i responsabili sono tuttora in libertà. Nel movimento spontaneo di solidarietà sorto intorno al caso Ruta spiccano Peacelink, con cui collabora, l’associazione Terre Libere e il sito d’inchiesta Censurati.it.

RICCARDO

Nomi che tornano nella vicenda umana e professionale di un altro giornalista d’inchiesta, Riccardo Orioles. La sua Catena di San Libero viene infatti ospitata non solo dai siti Peacelink e Censurati, ma anche da Macchianera, Il dialogo, Carmilla, lo stesso Girodivite, Canisciolti, Bellaciao, Indymedia… vale a dire la parte più brillante di quella galassia d’informazione rigorosa e militante che prova ogni giorno a tener viva la fiammella della democrazia nel buio di un Paese sempre più – per dirla alla Benanti – fascistizzato. E così, nonostante tutto, il tam tam di San Libero non ha mai smesso di farsi sentire. E da qualche mese lui, Riccardo, che per anni aveva chiesto ad amici e militanti di ricaricargli il telefonino per permettergli di andare avanti, ha anche un sito tutto suo, anzi, un blog: www.riccardoorioles.org. Chi è e che cosa ha fatto Orioles ce lo dice Wikipedia, l’enciclopedia on line diventata un imprescindibile punto di riferimento informativo: «Assieme a Pippo Fava ha fondato e sostenuto I siciliani, uno dei primi giornali che hanno denunciato la normalità delle attività illecite di Cosa nostra in Sicilia. Cavalieri, massoneria, mafia e politica i temi principali di un giornalismo che si proponeva rigoroso nelle inchieste e nel mestiere, per portare alla luce ciò che la mafia per anni aveva fatto al buio. Giuseppe Fava, a un anno dalla nascita del giornale, viene ucciso dalla mafia.

Orioles è il punto di riferimento più forte nella redazione del dopo Fava, impegnato a contrastare in ogni modo il fenomeno della mafia». In seguito è stato tra i fondatori del settimanale Avvenimenti. Vengono inoltre ricordati gli ampi profili di Riccardo Orioles presenti in due libri di Nando Dalla Chiesa: Storie (Einaudi, 1990), e Storie eretiche di cittadini perbene (Einaudi, 1999).

Quel che Wikipedia non dice ve lo raccontiamo noi. Abbiamo incontrato Riccardo nel settembre 2005 a Pescara durante un convegno nazionale sulla contro-informazione promosso da Peacelink. C’erano anche Marco Benanti e Carlo Ruta. Per arrivare dalla Sicilia avevano viaggiato in auto tutta la notte. E c’eravamo noi della Voce. Orioles non lo avevamo riconosciuto. Smunto, appeso ad un bastone, vestiva abiti laceri. Ma la fierezza della lunga militanza giornalistica sul fronte antimafia, quella no, non l’aveva persa. Solo che anche a lui, forse più ancora che a tutti noi, è costata cara.

Le vie del pignoramento

La scure della condanna per diffamazione ha cominciato a far sentire i suoi effetti il 27 luglio scorso con il fatidico “quinto”. E andrà avanti così, duecento euro in meno ogni mese (su una busta paga di appena mille) per anni. Fino a quando non sarà risarcito l’onore del medico che lo aveva denunciato per diffamazione, ottenendone la condanna. Stavolta non parliamo di un giornalista ma di un sindacalista: è Vincenzo Maddaloni, cinquant’anni e tre figli, ma soprattutto uno spirito che non si rassegna alla mercificazione di un sistema sanitario sempre più lottizzato. In servizio presso la Asl 2 di Salerno, Enzo è uno di quegli operatori sanitari che continuano a battersi non solo per i diritti dei pazienti (vent’anni fa fu tra i fondatori del Tribunale per i diritti del malato) e dei lavoratori, ma soprattutto per una medicina “altra”. Ha promosso ad esempio la sede campana di Riderepervivere, l’associazione no profit che in tutto il mondo pratica la comicoterapia nei luoghi di cura e del disagio sociale attraverso le figure del Clown Dottore e dei Volontari del Sorriso. Ed oggi si occupa anche di dar vita ad una Casa per i risvegli dal coma in Campania, sul modello di quella operante in Emilia Romagna.

La vicenda giudiziaria era stata aperta dalla denuncia di un medico della Asl che, in seguito ad un provvedimento di mobilità deciso dall’allora direttore sanitario Domenico Pirozzi (poi destinato ad altro incarico tra mille polemiche), era stato definito “raccomandato” da Maddaloni in un comunicato sindacale. «Ho esercitato solo un diritto di critica – spiega Maddaloni – come segretario provinciale della UIL FPL, nei confronti della gestione del direttore generale Pirozzi che ha agito, durante il suo incarico, in costante dispregio delle norme contrattuali e legislative, tanto che la Regione Campania ha motivato proprio con queste ragioni la sua rimozione a gennaio del 2006 dall’incarico, sostituendolo con il professor Tancredi». Per sostenere Enzo ed aiutarlo a pagare i 16 mila euro al medico “diffamato” è nato un comitato di solidarietà che ha finora raccolto circa la metà della somma. «Dovrà servirmi – spiega Maddaloni – anche a garantirmi attraverso un avvocato la possibilità di produrre appello, ma non ho molte speranze di successo, per come è stata costruita fin dall’inizio la causa». «Il rischio vero – conclude – è che vicende come questa soffocheranno la nascita delle nuove domande di libertà e di diritti. Imponendo a tutti una sola cosa: il silenzio».

Rita Pennarola
Fonte: http://www.lavocedellacampania.it
Link: http://www.lavocedellacampania.it/detteditoriale.asp?tipo=inchiesta2&id=58
Dicembre 2006

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