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La Redazione

 

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GIOCO SPORCO A KIEV

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A cura di Davide
Il 17 Dicembre 2013
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DI RICCARDO SEREMEDI
orizzonte48.blogspot.it

Era il 25 gennaio 1904 quando alla Royal Geographical Society venne presentato un articolo intitolato “The Geographical Pivot of History” (Il Perno geografico della Storia) destinato a provocare grande sensazione nella comunità scientifica per le acute e ardite analisi geopolitiche; HALFORD MACKINDER , stimato geografo e politico inglese, vi elaborava la teoria di HEARTLAND – nuovo nome dato alla zona centrale del continente Eurasia, corrispondente alla Russia e province limitrofe – secondo cui “chi controlla l’Europa orientale domina l’Heartland, chi controlla l’Heartland domina l’isola-mondo ( il blocco eurasiatico-africano), chi controlla l’isola-mondo domina il Mondo”.

Nella foto: Parigi: Femen in slip e topless urinano su foto Yanukovich

Dalla Guerra Fredda fino alle ultime pseudo Rivoluzioni colorate nelle ex repubbliche sovietiche è questo il fil rouge della grande strategia che ispira i politologi e le amministrazioni statunitensi, dove i mantra di Mackinder hanno sempre avuto molti proseliti.
Continuatore delle idee dello studioso inglese è il famigerato politologo Zbigniew Brzezinski (Trilateral) che nel suo libro “La Grande Scacchiera” (1997)() scrive: “Gli Stati che meritano il più forte sostegno geopolitico americano sono l’Azerbaijan, l’Uzbekistan e l’Ucraina, in quanto tutti e tre sono pilastri geopolitici. Anzi è l’Ucraina lo Stato essenziale, in quanto influirà sull’evoluzione futura della Russia[…] Tra il 2005 e il 2010 l’Ucraina dovrà essere pronta per un confronto serio con la NATO. Dopo il 2010, il principale nucleo della sicurezza in Europa consisterà in Francia, Germania, Polonia e Ucraina”.
Questa volontà di integrare l’Ucraina è stata successivamente confermata nel 2007 dal Congresso americano che ha approvato una risoluzione con la quale autorizza “l’aiuto USA per assistere l’Ucraina nella preparazione di una possibile adesione alla NATO” e da George Bush al vertice di Bucarest nel 2008, dichiarando di “offrire un ‘forte sostegno’ alla richiesta dell’Ucraina di ricevere dalla NATO un Piano d’azione per l’adesione”.
La principale strategia sottesa a queste nemmeno tanto velate pressioni su Kiev è legata all’indebolimento strategico della Russia; a tal proposito ci aiuta ancora Brzezinski: “Senza l’Ucraina, la Russia non è altro che una grande potenza asiatica. Se la Russia riprende il controllo dell’Ucraina, dei suoi 52 milioni di abitanti, delle ricchezze del sottosuolo e del suo accesso al Mar Nero, essa ritornerà ad essere una grande potenza che si estende su Europa e Asia”.
Ecco perché il vertice dell’Unione Europea per il Partenariato orientale tenutosi a Vilnius (Lituania) il 28 e 29 novembre scorsi, che era visto come una formalità, si è trasformato per Washington e Bruxelles in uno psicodramma; dei sei paesi invitati per firmare i protocolli relativi all’Accordo di Libero Scambio (DCFTA) solo due (Georgia e Moldavia) hanno firmato e l’Ucraina non è tra questi.
Qualche giorno prima il Primo Ministro ucraino Mykola Azarov aveva già anticipato che il suo paese non avrebbe firmato tale accordo e avrebbe invece rilanciato l’Unione Doganale Euroasiatica con la Russia e i paesi della CSI.
Dall’Occidente, come era lecito attendersi, sono arrivate reazioni grottesche alla decisione del presidente Yanukovich: JOSE’ BARROSO (Pres. CE) “In Europa è finito il tempo della sovranità limitata (…???). Il veto di un altro Paese su un accordo bilaterale è inaccettabile per il diritto internazionale” ; CATHERINE ASHTON (capo diplomazia UE): “La porta dell’UE è aperta, è importante per noi e per loro che lo sia. Spero si vada avanti il più presto possibile, vogliamo una relazione forte con l’Ucraina”.
Piccola postilla: dato che l’UE brilla per democraticità e per un’alta considerazione delle opinioni altrui, fategli fare un bel referendum, possibilmente plurimo, fino all’inevitabile SI per sfinimento.
Anche l’Uomo dei Sogni euro-parnassiani Letta ha ammonito “a non fermare il riavvicinamento tra UE e Ucraina […] congelare le relazioni sarebbe un errore storico”.

Fatto sta che per gli zombies con le stellette gialle la querelle non è ancora chiusa ed è tutto un blandire gli ucraini; PAT COX (ex presidente Europarlamento) : “Un accordo con l’UE è un’occasione unica di invertire il calo degli investimenti esteri diretti in Ucraina e dare slancio ai negoziati con il Fondo Monetario Internazionale”; STEFAN FULE (comm.rio alla politica di vicinato) : “A mettere la grossa cifra per aiutare Kiev sarebbe l’FMI, con dietro il sostegno dell’UE”.
Si tratta di posizioni chiaramente faziose e abborracciate che mancano l’analisi reale del problema; i motivi sono soprattutto di natura economica, con la crisi del 2008 che ha colpito il Paese molto duramente; ( ) guardando i dettagli della transazione è chiaro perché Kiev non ha scelto di mettere volontariamente la testa nel cappio.

Mentre Bruxelles pretendeva dagli ucraini impegnative concessioni politico-economiche, non riteneva di fornire – di contro – nessuna garanzia finanziaria; ignorando la preoccupazione del governo ucraino per una perdita di 8 miliardi di dollari entro la fine di quest’anno, l’UE ha offerto all’Ucraina 1 miliardo di euro, cifra definita “ridicola” dal deputato polacco Pawel Zalewski, aggiungendo al postutto la (consueta) richiesta di diminuzione del deficit dai risvolti sociali potenzialmente letali.
“La posizione dell’FMI presentata nella lettera del 20 novembre è stata l’ultima goccia”, secondo il Primo Ministro Mykola Azarov.
Le dolorose condizioni di credito dettate dall’FMI avrebbero significato il raddoppio delle bollette, così come il congelamento degli stipendi.
Abbiamo capito che non ci possiamo aspettare aiuto da nessuna parte, non possiamo lasciare la nostra gente senza salari e pensioni”, ha detto Azarov.
Inoltre se l’Ucraina diventasse una zona di libero scambio con l’UE, la Russia dovrebbe considerare la chiusura dei confini con il vicino per il timore di un’invasione di prodotti europei, non gravati dai dazi, sui mercati dell’Unione Doganale, rendendo necessaria l’introduzione di misure protezionistiche nei confronti di Kiev.
Le perdite dovute alle sanzioni si quantificherebbero in circa 15 miliardi di dollari, una mazzata per il Paese che nel “favorevolissimo” Accordo di Libero Scambio con l’UE vedrebbe esclusi proprio i prodotti agricoli, uno dei maggiori comparti destinati all’esportazione; nella UE l’Ucraina sarebbe condannata ad essere una seconda Grecia, mentre la sua collocazione storica nell’Eurasia la renderebbe un attore importante nel nuovo assetto geopolitico russo.
La commistione tra gas e politica è uno dei problemi del Paese. La Naftogaz, la società nazionale degli idrocarburi nonché la maggiore azienda del Paese, è fortemente indebitata con Gazprom, anche a causa di quei contratti sfavorevoli al Paese sottoscritti nel 2009 dalla Tymoshenko quando era ancora Primo Ministro: Kiev paga a Mosca prezzi esorbitanti per il suo gas (400 dollari ogni 1000 metri cubi), e a fine ottobre Gazprom ha richiesto alla controparte ucraina un pagamento di ben 882 milioni di dollari per le forniture di gas di agosto, portando così il debito della compagnia a 1,4 miliardi.
Il fallimento delle trattative tra l’Ucraina e l’FMI ha avuto senza dubbio un ruolo cruciale nell’allontanare Kiev da Bruxelles e nel riavvicinarla a Mosca. Un riposizionamento che ha già iniziato a dare i propri frutti: il 24 novembre, infatti, il Cremlino ha annunciato la propria disponibilità a una revisione dei termini dei contratti sul gas con l’Ucraina.
Accanto alle questioni del gas e dei debiti, va ricordata quella della bilancia commerciale del Paese.
Per la Russia un eventuale ingresso dell’Ucraina nell’Unione Doganale rappresenterebbe senza dubbio un grande successo geopolitico e morale, ma dal punto di vista economico i benefici sono più limitati, sebbene consentirebbe al mercato eurasiatico una maggiore autosufficienza.
Assai cospicui sarebbero invece i vantaggi per l’Ucraina: secondo alcune stime, infatti, gli sconti sul gas, l’abolizione delle misure protettive e delle barriere tecniche e la rimozione delle tasse sulle esportazioni garantirebbe al Paese esteuropeo guadagni pari a 11-12 miliardi annui.
Ben diverso, invece, è il discorso nei riguardi dell’Accordo di Associazione con l’UE.
L’industria ucraina, malgrado il suo potenziale, non è competitiva con quella dei Paesi europei, e si prevede che la stipula dell’accordo provocherebbe un peggioramento del 5% della bilancia commerciale del Paese. L’impatto sarebbe particolarmente pesante nelle regioni orientali, polmone industriale del Paese nonché roccaforte elettorale di Yanukovich, e agli inizi di novembre Azarov ha dichiarato che il Paese necessiterebbe di 150-160 miliardi di euro per allineare agli standard europei l’industria nazionale.
Quali sono le reali motivazioni per l’interesse occidentale in Ucraina?
Oltre al già citato piano di accerchiamento strategico della Russia mediante l’uso di basi militari e postazioni missilistiche NATO, è il mercato ucraino ad essere uno dei bocconcini prelibati su cui si concentrano gli appetiti di numerosi “investitori” internazionali.
Come rivelano gli archivi resi pubblici da Wikileaks, nel 2006 l’ambasciatore USA in Ucraina aveva suggerito – per migliorare “il clima per gli investimenti” – che il paese dovesse piegarsi all’FMI, ridurre le spese statali, deregolamentare il mercato, riformare il sistema bancario e privatizzare i beni pubblici.
Ecco spiegata tutta questa uniformità di vedute tra Washington e Bruxelles: le ricette ordoliberiste sono sempre le stesse e l’Unione Europea avrebbe anche l’indiscutibile vantaggio di “allargare la base imponibile” su cui socializzare le perdite e una nuova massa di neo-mugik da sfruttare.
Un altro significativo dispaccio diplomatico 10KYIV278 del 2010 tratta del colloquio tenuto dall’ambasciatore USA a Kiev, John F. Tefft, con l’ex Ministro delle Finanze Viktor Pynzenyk, in cui quest’ultimo propone alcune “riforme” ritenute “indispensabili”: aumento dell’età pensionabile da 2 a 3 anni; soppressione dei prepensionamenti; triplicazione del prezzo del gas per le famiglie; aumento dei prezzi dell’elettricità del 40%; privatizzazione di tutte le miniere di carbone ecc.
Alla luce di queste informazioni non destano quindi nessuna sorpresa le “spontanee” proteste di questi giorni in Piazza Maidan a Kiev, con Nato e UE che soffiano sul fuoco.
A ottobre la costruzione del South Stream è stata avviata anche in Serbia e la Turchia ha aderito al progetto.
Inoltre il vertice Europa centro orientale-Cina tenutosi a Bucarest è ancora più irritante; il desiderio della Cina di discutere di investimenti con gli Stati dell’Europa centro-orientale bypassando Bruxelles ha gettato l’UE sull’orlo di una crisi di nervi.
Il commissario europeo Karel de Gucht ha dichiarato che la Cina pratica la tattica del “divide et impera”. Bruxelles ha emesso due direttive che precettano i 16 paesi della regione a concludere accordi economici separati con la Cina; l’azione non ha tuttavia sortito effetto alcuno, poiché tali Stati hanno firmato () un numero record di accordi, con molti politici che hanno colto l’occasione per rinfacciare a Bruxelles che la vuota retorica dei “valori europei” non è mai sostenuta da denaro reale. Questo è il risultato delle politiche di austerità: compressione dell’economia e “cinesizzazione” del lavoro che ha portato proprio la Cina, colei contro cui si vorrebbe rivaleggiare, nell’anticamera del “salotto buono” europeo.
Abbiamo testé accennato alle proteste di piazza dei filo-UE e alla loro opacità, vediamo chi sono i Tre Moschettieri che “amministrano” piazza Maidan: quello meno carismatico del trio è senza dubbio il tecnocrate Arseni Yatseniuk ex Governatore della Banca Nazionale dell’Ucraina ed ex Ministro dell’Economia – leader del partito della Tymoshenko Unione Pan-Ucraina “Patria” che spera di ricompattare il popolo arancione dopo la diaspora degli ultimi anni; sul secondo gradino del podio abbiamo Oleh Tiahnybok, leader del partito ultranazionalistico antisemita “Svoboda” (Libertà), i cui sostenitori sventolano la vecchia bandiera rossa e nera che era stata utilizzata dalle formazioni ucraine collaborazioniste di Stepan Bandera, dopo che la Germania nazionalsocialista aveva invaso l’Unione Sovietica nel 1941; la star indiscussa di questo accrocco é Vitalij Klitschko – l’ex pugile campione dei pesi massimi – leader del partito Udar (Alleanza democratica ucraina per le Riforme).
Nonostante egli sia un impubere politico, la sua indiscussa popolarità è la forza vincente su cui punta l’Occidente e la Germania per mettere le mani sull’Ucraina. Klitschko è praticamente “le garçon pipì” () della CDU e della Merkel, visto che il partito tedesco ammette apertamente che la sua Fondazione Konrad Adenauer ha “assegnato” a Klitschko il compito di creare un partito di destra in Ucraina, al fine di avere una stabile maggioranza pro-UE a Kiev. Durante un evento della Fondazione con Klitschko a Bruxelles, Elmar Brok della CDU tedesca, disse chiaramente perché Berlino ha un grande interesse sull’Ucraina. Dopo tutto, si tratta di “un Paese con grandi possibilità economiche”, con “una popolazione ben istruita” e “buoni prerequisiti agricoli”.

Il Drang nach Osten si ripropone quindi sotto il “rassicurante” labaro blu del “partenariato d’asporto”, con la Germania che usa l’Unione Europea per esercitare pressioni sull’Ucraina affinché si integri nella sfera politica ed economica di Berlino in questa nuova “Unternehmen Barbarossa”.
Molte persone che attualmente guidano le proteste contro il governo ucraino provengono da quella classe sociale giovane, nazionalista ed animata da forti sentimenti anti-russi i cui orientamenti politici erano stati indirizzati verso tendenze anti-russe dalla miriade di Organizzazioni Non Governative (Open Society, Albert Einstein Institute, National Endownment for Democracy, Konrad Adeanuer Fondation, Friedrich Ebert Foundation ecc.) che nel 2004, alla vigilia della “rivoluzione arancione”, aveva fatto irruzione nello scenario ucraino acquistando giornali e canali televisivi in conformità alle direttive contenute all’interno del celeberrimo “ manuale Sharp”.
E’ interessante far notare, en passant, la variegata e garrula umanità che si accalca sul proscenio: si potrebbe ad esempio parlare del reclutamento di barboni e sfaccendati, dotati di una bella bandierina UE linda e pinta, “affittati” a chilometro “stile bike sharing”, costumanza già sperimentata nel 2004 e nel 2010 ; oppure discorrere amabilmente sulle profonde doti spirituali delle Femen le “attiviste” come le definiscono i media €uroti– che urinano sulla foto di Yanukovich davanti all’ambasciata ucraina a Parigi, immortalate – per puro caso – dalle telecamere di mezzo mondo.
Del resto Guy Debord con la sua opera “La Società dello Spettacolo” – come anche Pier Paolo Pasolini – aveva intuito la metamorfosi e la trasformazione del mondo reale in immagini, lo “spettacolo” del vissuto che sarebbe diventato “la principale produzione della società postmoderna”; ad onta di ciò, è fondamentale per chi detiene le leve del comando – e intenda fare passare l’idea che in Ucraina ci sia un governo corrotto e non più nei suoi pieni poteri – innalzare il climax emotivo/mediatico, creando una saturazione di immagini e opinioni spacciate per verità irrecusabili.
Ecco subito servita la pozione manichea, da una parte i manifestanti pro-UE – i BUONI – dall’altra il governanti ucraini – I CATTIVI- ; e allora “dagli all’untore” con la CNN che tratteggia – pro domo sua – scenari deamicisiani, dove “i coraggiosi manifestanti sventolavano bandiere ucraine ed europee e cantavano l’inno nazionale davanti al Monastero dalle cupole dorate di San Michele, dove gruppi di manifestanti si sono ritirati in precedenza, dopo una carica della polizia antisommossa lasciando sette persone ferite e decine di arresti a Piazza Indipendenza[…]”; oppure il New York Times piuttosto che il Deutsche Welle; senza tacere le esternazioni surreali dello stolido e infaceto Van Rompuy sulle “inaccettabili pressioni esterne” di Putin, quando l’Unione Europea è il non plus ultra in termini di lobbismo: per informazioni rivolgersi alla Turchia – evidentemente anche Van Rompuy ha una pagliuzza nell’occhio

E’ cosa ormai riportata dallo stesso circuito mainstream – sebbene magistralmente derubricata a mera filantropia e attivismo sociale – il coinvolgimento di personaggi e organizzazioni finanziarie riconducibili a Washington in queste pseudo-rivoluzioni; non è un mistero che dietro alla sollevazione dei serbi contro Milosevic ci siano Soros – con la sua Open Society e altre consorelle – e importanti settori del Dipartimento di Stato, agenzie para-governative come il National Endowment for Democracy e ONG finanziate dal Governo.
Nel caso dell’Ucraina, nel 2004 come adesso, si ritrova la stessa comunione d’intenti tra ONG finanziate dall’Occidente, mezzi di comunicazione e agit-prop; nelle elezioni di dieci anni fa le ONG hanno avuto un ruolo enorme nel delegittimare le elezioni, addirittura prima che queste avessero luogo. Non cessavano di parlare di frodi e brogli generalizzati; le manifestazioni di piazza che si scatenarono dopo il secondo ballottaggio vinto da Yanukovich si fondavano su una campagna mediatica che si era innescata ben prima dello spoglio del secondo turno; la principale ONG responsabile di queste accuse, il Comitato degli elettori dell’Ucraina, è stata finanziata, tra gli altri dal National Democratic Institute e aveva i suoi uffici ornati dalle fotografie di Madeleine Albright.
Con la pressione emotiva della piazza, l’uso sapiente di sondaggi artefatti e il caravanserraglio mondialista che bussava alla porta, le elezioni furono invalidate dalla magistratura e fatte ripetere; lo sfidante Yushenko (ex presidente della Banca centrale ucraina) vinse la contesa con il 51,99% dei voti; il neo-vincitore era l’uomo su cui puntava l’Occidente, come rivela il rapporto n°RL32845 intitolato “Rivoluzione Arancione in Ucraina e politica degli Stati Uniti reso pubblico da Julian Assange; nel rapporto firmato da Steven Woehrel (delegato per gli affari europei) e inviato al Congresso americano nel luglio 2005; in esso si ricorda che Yushenko ha promesso riforme liberiste, legami più stretti con Unione Europea, NATO e USA; di sostituire gli interessi dell’occidente a quelli russi, attraverso le privatizzazioni dei grandi complessi industriali del bacino carbonifero Donbass, come le grandi acciaierie Kryvrizhstal, nonché aprirsi ad un’economia di mercato, a una zona di libero scambio con l’UE e, infine, aderire alla NATO.
L’attuale Primo Ministro Azarov ha detto agli ambasciatori occidentali: “Sappiamo che un piano è stato preparato per occupare il Parlamento… questo è il segnale di un golpe…Siamo molto pazienti, ma vogliamo che i nostri partner non credano che gli sia permesso tutto”; in effetti il comportamento della polizia è stato responsabile, considerando le intimidazioni da parte degli squadristi di “Svoboda” che hanno occupato sedi istituzionali, inscenando scorribande metropolitane addirittura con un bulldozer.
A ben guardare, l’ipotesi di un colpo di Stato “mascherato“ è un’eventualità tutt’altro che peregrina; già Curzio Malaparte nel 1931 in “Tecnica di un colpo di Stato” forniva le linee guida in proposito, arrivando ad affermare – come Trotzkij – che un cambio di regime può essere promosso in qualsiasi paese, incluse le nostre democrazie europee, a condizione che ci sia un numero sufficientemente determinato di uomini intenzionati a porlo in essere.
Il controllo dei media durante il cambio di regime è di fondamentale importanza per creare una percezione virtuale degli accadimenti; le notizie dei fatti principali, spesso dissimulate da un’apparente diversificazione delle fonti, in realtà nascono e si propagano da un’esigua e molto spesso unica fonte che si “autoalimenta” e “autorinforza” ad ogni successivo passaggio, fino a diventare realtà fattuale e incontrovertibile.
I moderni sistemi di condizionamento devono moltissimo a Willi Munzenberg , figura semisconosciuta ma forse ancora più importante di Joseph Goebbels; uno dei punti precipui mutuato dalla “dottrina Munzenberg” consiste nel creare una rete di giornalisti-opinionisti per diffondere le idee funzionali al Nuovo Ordine, “arruolando” star del jet set ed intellettuali più o meno organici per rafforzare la “matrice”, tutti elementi di primaria importanza per la manipolazione delle opinioni nell’odierno Nuovo Ordine Mondiale: a tal guisa basti ricordare, ad esempio, gli innumerevoli e pressanti appelli di rockstars anglofone o celebrità di Hollywood per sostenere leader politici esteri “very fashionable”, con la proposizione “diritti umani” brandita come una spada, sovente a sproposito.
La famosa “esportazione” della democrazia trova negli USA e nella tecnocrazia europea – diretta espressione delle ferali dottrine liberiste d’oltreoceano – i due principali centri di irradiamento globale, spesso con il pretestuoso “ombrello NATO” come copertura; molti studiosi e politici statunitensi, sia dem che neocon, hanno postulato una visione messianica, financo trascendentale, del destino imperiale degli USA, nella convinzione di essere il paese “faro di civiltà”: detto per inciso questa è la tesi utilizzata – tra gli altri- da BEN WATTEMBERG, che nel suo libro “The First Universal Nation” sostiene che gli Stati Uniti posseggano un diritto particolare all’egemonia mondiale, e da ROBERT D. KAPLAN (direttore economico della società privata di intelligence “Stratfor”) che, nel saggio “Supremacy by Stealth(http://www.theatlantic.com/past/docs/issues/2003/07/kaplan.htm) pubblicato nel 2003, propugna il ricorso alle operazioni segrete, alla costruzione dell’opinione pubblica e all’uso dell’esercito USA per “promuovere la democrazia” nel mondo.
Un libro fondamentale e per certi versi profetico è “La Subversion”, scritto nel 1971 dallo psicosociologo francese ROGER MUCCHIELLI ; in esso lo studioso transalpino descrive come nel mondo postmoderno la strategia più efficace sia quella di annegare la verità in un mare di informazioni, una dialettica complessa per infiltrare informazioni distorte e fuorvianti che appaiono autentiche.
Secondo Mucchielli il sistema si è talmente affinato che si può conquistare un paese senza attaccarlo fisicamente, facendo ricorso ad agenti interni che condizionano l’opinione pubblica, come false organizzazioni non governative ONG o “organizzazioni di facciata” per provocare un cambiamento politico all’interno di un altro paese; un’altra lungimirante intuizione di Mucchielli è l’aver capito che non sono le circostanze “oggettive”che procurano il successo o il fallimento di una rivoluzione, bensì la percezione di questa circostanza creata dalla manipolazione mediatica e che un putsch è sempre il frutto dell’azione di un gruppo ristretto e ben organizzato di cospiratori, laddove invece se ne presenta il risultato come il prodotto di movimenti di massa.
Sulla scorta degli studi sulla psicologia delle masse e con l’avvento di Internet, telefoni satellitari e computer portatili, l’arte della sedizione occulta ha fatto un ulteriore salto di qualità.
Uno dei massimi esperti mondiali nell’uso combinato di tecnologie hi-tech con l’ausilio di movimenti giovanili è Peter Ackerman (Board of Directors nel Council on Foreign Relations), che nel suo libro “Strategic Nonviolent Conflict” del 1994 riprende alcuni lavori precedenti e li attualizza; la strategia ideale (non guerreggiata) vede l’applicazione civile della “Revolution in Military Affairs” dell’ex segretario di Stato Donald Rumsfeld, dove piccoli gruppi di soldati – collegati in “tempo reale” con caschi hi-tech, dotati di schermi – sanno esattamente la posizione di ciascuna unità rispetto all’ambiente in cui operano: bande di giovani con telefoni cellulari Gps e computer portatili che “sciamano” all’unisono verso obiettivi predefiniti sono la ovvia applicazione civile.
Ackerman ha inoltre focalizzato l’attenzione sulle pulsioni adolescenziali, intrinsecamente ribelli e sovversive, dando nuova linfa agli studi del dott. Fred Emery, il direttore del Tavistock Institute, che nel 1967 studiò la potenziale efficacia della rabbia giovanile in un colpo di stato postmoderno nonché gli “effetti ipnotici” della televisione sugli “sciami di adolescenti”.
Il 20 novembre, un deputato ucraino del Partito delle Regioni, Oleg Tsarev, ha dichiarato: “Sono stato contattato da attivisti dell’organizzazione non governativa Volya che mi ha fornito solide prove che dimostrano che l’ambasciata degli Stati Uniti sta portando avanti un progetto dal nome in codice ‘TECHCAMP’ che mira a fomentare una guerra civile in Ucraina.
Il progetto Techcamp prevede presumibilmente la formazione di esperti delle agenzie statali in ‘guerre di propaganda’ e strumenti di ricatto mediatici, come pure potenziali rivoluzionari che organizzeranno proteste per rovesciare il governo. La campagna è gestita sotto l’egida dell’ambasciatore degli Stati Uniti in Ucraina Geoffrey R. Pyatt. I tirocinanti Techcamp sono tutti impegnati attivamente in attività sovversive in Ucraina, reclutando persone affini che hanno il compito di organizzare sommosse di massa, provocazioni e manifestazioni di protesta promettendo il supporto degli Stati Uniti”.
Il progetto Techcamp, pensato dall’ex Segretario di Stato Hillary Clinton, è una costola di un programma a largo raggio che va sotto il nome pomposo di “Civil Society: Supporting Democracy in the 21st Century”, gestito dal Dipartimento di Stato americano: che la dichiarazione del deputato ucraino non sia la boutade di uno squinternato complottista lo si evince da questo articolo di Bloomberg, in cui si parla candidamente di “sovversione”, con Microsoft e i due social network statunitensi pronti ad “esportare” la democrazia attraverso il cyberspazio.
Non è una novità che si voglia arrivare a un ”Lybian scenario”, una “balcanizzazione” dell’Ucraina con due paesi in uno: da una parte la zona industriale, quella filorussa delle aree operaie, dall’altra quella contadina, cattolica e filoccidentale di Lvov.
Una delle condizioni che la UE aveva posto all’Ucraina per la sottoscrizione dell’accordo era legata alla liberazione di Yulia Tymoshenko – la “pasionaria”, come viene definita dai nostri formidabili giornalisti (Dolores Ibarurri si rivolterà nella tomba) – la protagonista, con Yushenko, della Rivoluzione Arancione del 2004.

La narrazione favolistica della Tymoshenko (nata Yulia Volodymyrivna Hrihyan) perseguitata politica è per l’appunto una “favola”; la venusta e diafana Yulia è in realtà la combinazione tra una feroce volontà di affermazione unita ad uno spasmodico desiderio di potere e denaro, il tutto agevolato da un sapiente uso dei media e da un indubbio e consapevole ascendente verso gli uomini, specie quelli potenti.
La fortuna della famiglia Tymoshenko – Yulia, il marito Oleksandr e il suocero Gennadi – arriva con l’era delle privatizzazioni seguite al crollo dell’Unione Sovietica.
Con la ritrovata indipendenza nazionale del 1991, il ricco mercato dei combustibili fossili offre alle persone più scaltre ed intraprendenti enormi possibilità di arricchimento; tutto ha inizio con la fondazione della Korporacija Ukrainskij Benzin (KUB) – nella quale la famiglia di Dnipropetrovsk investe i proventi derivati dalla esportazione di metalli – la prima di molte compagnie con intrecci nebulosi; la KUB fu registrata a Cipro – paradiso fiscale – l’8 ottobre del 1992 come una joint venture ucraino-cipriota con la Somolli Enterprises Ltd, con l’85% delle azioni di quest’ultima nel “portafoglio” KUB.
Gli affari vanno piuttosto bene e in poco tempo l’azienda arriva ad ottenere il monopolio nella fornitura di prodotti petroliferi al settore agrario di Dnipropetrovsk , merito soprattutto dei buoni uffici di Pavlo Lazarenko, l’allora capo del Dipartimento dell’Agricoltura in quella città; nel frattempo la stella politica di Lazarenko comincia a brillare anche a livello nazionale e il presidente ucraino Leonid Kuchma lo chiama a Kiev, dove diventa il primo viceministro dell’Ucraina con delega all’energia.
La Tymoshenko, con la quale egli intrattiene una relazione clandestina, viene chiamata nella capitale dove il 20 novembre 1995 fonda la UESU (United Energy Systems of Ukraine), una nuova società nata dalla riorganizzazione della KUB; Yulia ne diventa a 36 anni il presidente e con il supporto del “padrino” Pavlo la UESU arriva a controllare, a fine 1996, il 25% dell’economia ucraina: l’espansione della società include 20 entità industriali, istituti di ricerca, la compagnia aerea EES e due banche – Pivdencombank e Slovyansky; uno “Stato nello Stato”, come scrive il quotidiano ucraino “Izvestia”.
Sono gli anni in cui Yulia Timoshenko diventa la “principessa del gas” per le accuse di aver stoccato enormi quantità di metano, facendo aumentare le tasse sulla risorsa e ricavandone notevoli profitti; le fotografie del tempo ce la mostrano con il piglio di una donna in carriera, vestita con tailleur occidentali e telefonino d’ordinanza ma i primi scandali appaiono all’orizzonte: il 13 febbraio 2001 viene arrestata insieme al marito con l’accusa di aver pagato tangenti a Lazarenko per 86,88 milioni di dollari in cambio del monopolio del gas: scarcerata dopo alcune settimane, tutto passerà in cavalleria con la Rivoluzione Arancione che la consacrerà eroina nazionale e le consegnerà il suo primo incarico come premier, con nuovi look e acconciatura stile “contadinotta ruspante” ucraina.
Anche la stella di Lazarenko – che era diventato Primo Ministro nel 1996 – comincia ad affievolirsi; un’indagine della corte del distretto settentrionale della California Divisione di San Francisco porta alla luce un alto livello di corruzione finalizzato al trasferimento di centinaia di milioni di dollari (destinati alla RAO GAZPROM, quali pagamento per le forniture di gas) a conti cifrati su banche offshore: dal dicembre 1995 fino al 1997 la UESU riceve forniture di gas naturale da RAO Gazprom, trasferendo dolosamente – ad inizio gennaio 1996 – i pagamenti degli utenti ucraini a conti esteri appartenenti alla United Energy International Ltd (UEIL), una consociata all’85% di UESU e fondata a Londra il 17 ottobre 1995 da un cittadino turco – Ercument Aksoy – alle dipendenze della Tymoshenko.
Tra l’8 aprile e il 31 dicembre 1996 anziché pagare le forniture di gas russe, la UEIL (controllata da Tymoshenko) trasferisce approssimativamente $140,000,000 alla Somolli Enterprises (controllata da Tymoshenko), che nel periodo aprile 1996-giugno1997 ne sposta $97,000,000 a conti cifrati in Svizzera, Polonia e Stati Uniti – compresi $13,000,000 in un account cifrato alla Pacific Bank a San Francisco – tutti intestati a Peter Kiritchenko (prestanome di Lazarenko): a questo punto il cerchio si chiude con il passaggio di più di $120,000,000 dai conti di Kiritchenko a quelli di Lazarenko in Svizzera e Antigua.
Il 1° luglio 1997, il presidente ucraino Kuchma, sotto le forti pressioni occidentali – solleva dall’incarico Lazarenko che, dopo alterne vicende, viene arrestato negli Stati Uniti e condannato nel 2006 a nove anni di prigione per riciclaggio ed estorsione; per queste vicende l‘Interpol ha emesso anche per la Tymoshenko un mandato di cattura che risulta sospeso per lo status di immunità.
I procedimenti giudiziari a suo carico ora si intensificano; nella primavera del 2010 è stato aperto un procedimento per l’appropriazione indebita di 480 milioni di euro, spettanti allo Stato per la vendita di quote ucraine di emissioni di gas a effetto serra; nel gennaio 2011 si cambia e il reato contestato è l’abuso d’ufficio, relativo all’acquisto – con fondi statali – di ambulanze a prezzo maggiorato, fino ad arrivare al 24 maggio 2011: la Procura Generale la accusa di abuso di potere e d’ufficio in occasione della stipula dei contratti per l’acquisto del gas dalla Russia.
Questo processo si è concluso con la condanna a 7 anni di reclusione e al risarcimento di 1,5 miliardi di grivnie per i danni provocati allo Stato: le motivazioni della sentenza sono gravi perché la Tymoshenko, comprando il gas a prezzi poco vantaggiosi, avrebbe “usato la sua autorità a fini criminali, commettendo atti che hanno oltrepassato chiaramente i suoi diritti e il suo potere”, provocando un danno all’Ucraina per 130 milioni di euro; la condanna è stata confermata anche in appello il 29 agosto 2012, diventando definitiva.
La Tymoshenko, spalleggiata da Unione Europea e Stati Uniti, ha sempre considerato la sentenza come “politica” ed ha presentato un ricorso presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha giudicato “ illegale e arbitraria” la detenzione; la detenzione – si badi bene – non la sentenza.
Infatti le motivazioni della Corte di Strasburgo riguardano solo l’opportunità del fermo coatto.
Qualche mese prima del verdetto della corte europea, un’indagine indipendente condotta per sei mesi dal prestigioso studio legale statunitense ”Skadden, Arps, Slate, Meagher and Flom”, con uno staff guidato da un partner dello studio – l’avvocato Gregory Craig, ex consulente della Casa Bianca – aveva esaminato tutto il materiale relativo al processo e intervistato tutti i protagonisti del processo, dal giudice ai testimoni, dall’accusa alla difesa, inclusa la Tymoshenko: il rapporto finale è stato sostanzialmente in linea con quello che, da lì a qualche mese, scriveranno i giudici europei, riconoscendo che ci sono state alcune violazioni del diritto alla difesa, ma non tali da ribaltare la sentenza, fondata su “supporti probatori” e “non politicamente motivata”.
Ma l’accusa più grave che la Tymoshenko si trova ora ad affrontare riguarda il suo coinvolgimento nell’uccisione del deputato Yevhen Sherban; nel novembre del 1996 Sherban, governatore di Donetsk e uno degli esponenti di spicco del clan locale, fu assassinato con la moglie all’aeroporto del capoluogo del Donbass da un commando mascherato; secondo gli osservatori il fatto risaliva alla guerra per il controllo del gas tra il clan di Donetsk e quello emergente di Dnipropetrovsk, guidato allora dall’ex premier Pavlo Lazarenko e Yulia Tymoshenko: Sherban avrebbe intralciato il piano per rendere la UESU l’unico fornitore nella regione industriale di Donetsk e così si decise di eliminarlo; il Procuratore Generale Viktor Pshonka ha dichiarato che su conti bancari riconducibili a Tymoshenko e Lazarenko sarebbero transitati i soldi per pagare i killer, un totale di 2,82 milioni di dollari.
“Un dì, quando le Veneri il tempo avrà fugate[…]” dice Germont a Violetta ne “La Traviata”: anche per Yulia il tempo è passato, e la bellezza che ne aveva contraddistinto l’ascesa economica e politica sopravvive solo sulle foto dei patetici striscioni che i suoi supporters continuano imperterriti a mostrare ai reporter occidentali; tra uno sciopero della fame e un appello alla sollevazione, sembra che la sua parabola politica sia terminata, Panta Rei, Yulia.
Oggi il nuovo cavallo su cui punta l’Occidente è Klitschko, invitato – leader in pectore – alle consultazioni UE a Bruxelles il 19 e 20 dicembre; la proposta, va da sé, è partita da Angela Merkel, con cui si incontrerà fuori dal summit. Dopo le caute dichiarazioni iniziali, l’Unione Europea e gli USA hanno gettato la maschera e sono cominciati a decollare gli infodroni (copyleft Fiorenzo Fraioli) per mettere sotto pressione l’Ucraina; “questo matrimonio s’ha da fare”, costi quel che costi, e così Carl Bildt, Ministro degli Esteri svedese ha dichiarato: “Penso che le forze della modernizzazione e della democratizzazione stiano diventando forti in questa società, abbiamo alcuni venti contrari, che soffiano più forte al momento, ma non ho dubbi che il vento dell’Occidente avrà la meglio”.
Ancora più esplicita l’assistente del Segretario di Stato, Victoria Nuland, che ha affermato che le autorità del Paese devono scegliere se ”soddisfare le aspettative della gente” o “deluderle e rischiare di far sprofondare il Paese nel caos e nella violenza”, per continuare con una petizione sul sito della Casa Bianca per imporre sanzioni personali al presidente Yanukovich e al Gabinetto dei Ministri, rei di ”negare il diritto al popolo ucraino di avvicinarsi alla civiltà occidentale”.

La stampa e i media internazionali, “imbeccati” a dovere, stanno presentando la protesta di non più di 250mila persone – nella migliore delle ipotesi – come la sollevazione di una intera nazione, denunciando le interferenze della Russia, senza accennare minimamente alle pervasive ingerenze di politici occidentali, con il segretario generale OSCE Lamberto Zannier e il capo diplomazia tedesco Guido Westerwelle immortalati – come se fosse la cosa più naturale del mondo – in piazza con i manifestanti.
Ma è del tutto anomalo che due personalità politiche straniere, in oggettivo conflitto di interesse – ed i cui rispettivi ruoli istituzionali, soprattutto nel caso del Segretario OSCE, imporrebbero comportamenti super partes – possano interferire nella legittima decisione di uno Stato sovrano di non aderire ad un accordo economico internazionale giudicato – a ragione – svantaggioso e di flirtare pubblicamente con gli esponenti dell’opposizione ucraina. I quali vogliono le dimissioni – costituzionalmente immotivate – di Yanukovich e dell’esecutivo, quando il Parlamento – nel pieno delle sue legittime funzioni – gli ha confermata la fiducia.
Immaginiamoci se in Potsdamer Platz a Berlino – ad un’ipotetica manifestazione per l’uscita della Germania dall’euro, organizzata da un’ Alternative fur Deutschland al 15/20% – si presentassero Cameron, Le Pen e Putin a fianco dei manifestanti, chiedendo a gran voce le dimissioni di Angela Merkel: quali sarebbero le reazioni?
E’ assai probabile che le dichiarazioni oscillerebbero tra “fatto di gravità inaudita” e “populismo”, perché le altrui manifestazioni sono per definizione “populiste”, soprattutto quando si vuole uscire dal lager dell’Euro.
Resta il fatto che l’Ucraina non ha molto margine di manovra – con le riserve in valuta estera in crollo verticale e i CDS sul debito oltre i mille punti – i rendimenti sui titoli di Stato hanno raggiunto il 13%, e con la valuta nazionale (la hrivnja, che è legata al dollaro USA a un cambio fisso) assai debole, un bell’attacco speculativo sulla divisa nazionale potrebbe ricondurre il recalcitrante Yanukhovic a ben più miti consigli.
Consapevole di trovarsi in una situazione delicata il presidente – mentre la piazza si accendeva – è volato in Cina e a Mosca per negoziati bilaterali, tornando da Pechino con una proposta per un prestito cinese di 10 miliardi di dollari, rispetto ai 5 che il FMI offre all’Ucraina in cambio di condizioni difficili e soprattutto inapplicabili a due anni dalle elezioni presidenziali. Mosca è tornata a offrire un nuovo accordo sul prezzo del gas, ma anche un prestito iniziale di 5 miliardi di dollari oltre ad ulteriori 15 miliardi in futuro.
E’ possibile che, nonostante la ventilata possibilità di firmare l’intesa con Bruxelles, la strategia di Viktor Yanukovich sia attualmente tenere (fino al 2015?) una posizione neutrale tra Bruxelles e Mosca, mentre costruisce l’integrazione bilaterale interstatale.
E’ notizia di oggi, riportata dal quotidiano tedesco “Bild Zeitung”, che Mosca avrebbe installate batterie di missili a corto raggio Iskander-M per testate convenzionali ed atomiche al confine con l’Unione Europea; il quotidiano tedesco ricollega questa decisione della Russia al progetto di scudo anti-missile in Europa. Ciò deve costituire un severo ammonimento per gli scellerati epigoni di Brzezinski. Chi pensava di occupare l’Ucraina per installarvi missili e accerchiare la Russia ha fatto male i suoi conti: Putin non è certo il tipo da farsi prendere per il naso con le pagliacciate di piazza Maidan

Riccardo Seremedi
Fonte: http://orizzonte48.blogspot.it
Link: http://orizzonte48.blogspot.it/2013/12/sebastopoli-ultima-spiaggia-sinistrao.html
17.12.2013

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