DI JUSTIN RAIMONDO
original.antiwar.com
Preparativi di ribellione a sud del confine.
Mentre gli USA proseguono ed espandono la loro “guerra al terrorismo” globale, estendendo i propri tentacoli militarizzati all’Africa e al Medio Oriente, più vicino a casa si sta materializzando una minaccia purulenta: lo scollamento del Messico e il suo rapido scivolare verso il fallimento. La risposta di Washington potrebbe determinare non solo il fato del nostro vicino più a sud, ma anche il nostro. Il Messico sta attraversando una crisi di autorità – una aperta sfida alla sua capacità di mantenere il monopolio nell’uso della forza internamente ai propri confini – che proviene da due direzioni diverse.
I primi a sfidarla sono i cartelli della droga: hanno varie denominazioni, dai “Cavalieri Templari” conosciuti come “Templarios” alla Gang Sinaloa, inizialmente limitata alla provincia messicana di Sinaloa, ma rapidamente espansa al resto del paese. Ogni banda ha specifiche alleanze regionali e una propria cultura, ma tutte utilizzano lo stesso tipo di pratiche brutali: a parte la vendita di droghe illegali, i cartelli sono coinvolti in massicce estorsioni, raccogliendo “tasse” sia da facoltosi uomini d’affari che da poveri campesinos delle campagne. Chi si rifiuta di pagare viene eliminato – crudelmente e spesso persino graficamente.
La polizia locale non è di aiuto: in realtà è una minaccia per tutti quei cittadini che vogliono vivere in pace, senza le molestie delle bande criminali, per il semplice fatto che i membri della polizia sono i peggiori criminali. Pesantemente infiltrate dai cartelli della droga, e molto spesso sul loro libro paga, le forze armate dello stato messicano sono impotenti di fronte ai cartelli, che dispongono di armi superiori – è ben noto che i cartelli sono stati aiutati nientemeno che dal governo USA nell’acquisto delle armi. Avendo de facto ceduto l’autorità alle bande e ai loro alleati in larghe fasce del Messico, il governo centrale di Città del Messico è restato notevolmente indifferente di fronte al destino di milioni di messicani abbandonati sotto il giogo delle bande criminali – fino ad ora. A risvegliarli di fronte a una crisi in espansione è stata la rivolta dei cosiddetti vigilantes: gruppi di messicani comuni, da ricchi proprietari terrieri a poveri braccianti, che si sono organizzati per riprendersi la loro terra – e le loro vite – dalle gang di delinquenti assassini (sia nel caso dei criminali dei cartelli che in quelli di chi commette lo stesso crimine sotto i colori dell’autorità statale). Avevo parlato di questo movimento già l’anno scorso, quando le forze di autodifesa dei cittadini avevano conquistato la città di Tierra Colorado, arrestato il capo della polizia, e organizzato posti di blocco ripulendo la città dagli scagnozzi del cartello locale.
Adesso i “vigilantes” hanno alzato il tiro in quello che appare essere un coordinato colpo al cuore del potere dei cartelli. La città di Nueva Italia è stato l’ultimo campo di battaglia, mentre le forze di autodifesa conquistavano il comune – sotto una pioggia di proiettili dai Templarios pro-governativi – e circondavano la vicina città di Apatzingan, nota a tutti come il quartier generale dei Templarios. L’epicentro del movimento dei vigilantes è negli stati di Guererro e Michoacan, nel sud ovest del Messico, una regione con una lunga storia di resistenza al governo centrale. Negli anni venti, dopo che il governo “rivoluzionario” del presidente Plutarco Calles aveva praticamente bandito il Cattolicesimo, iniziato a uccidere preti e suore e a sequestrare le proprietà della Chiesa, nelle province agricole del sud ovest aveva avuto inizio la ribellione dei “Cristeros”, con bande di guerriglieri a combattere le truppe governative in difesa della fede. È la regione più povera del Messico, dove le “riforme agrarie” dello stato – ispirate dalla rivoluzione bolscevica del 1917 – avevano tolto ai contadini indigeni la maggior parte della loro terra, trasformandoli in intrusi nei loro possedimenti storici. In risposta allo sforzo per “modernizzare” l’agricoltura con attività collettive, i piccolo proprietari terrieri si erano ribellati al governo– e l’attuale insurrezione dei vigilantes è permeata della stessa ostilità al centralismo messicano. Il governo ha reagito come in passato: con implacabile ostilità e richieste di disarmo. Dopo decenni di indifferenza per quello che succede nella parte sud occidentale del paese, i signori di Città del Messico stanno inviando migliaia di truppe federali a completamento della loro richiesta di disarmo delle milizie popolari.
Come riferisce il Guardian, i locali considerano questa richiesta con il disprezzo che merita:
‘Disarmo?’ un comandante dei vigilantes mascherato di Nueva italia ha detto con ovvia incredulità. ‘Se lo facessimo, i Caballeros verrebbero a cercarci e ci ucciderebbero.’
Be’, sì – ed in effetti potrebbe essere proprio quella l’idea, considerando gli stretti legami tra le notoriamente corrotte autorità messicane e i cartelli della droga. Potrebbe in parte giustificare la politica di laissez- faire del governo, come prosegue l’articolo del Guardian:
“Anche se durante le conferenze stampa con i giornalisti stranieri gli ufficiali governativi insistono sulla non negoziabilità del disarmo, sul campo i soldati e la polizia federale ignorano i checkpoint di sacchi di sabbia presidiati dai vigilantes.”
Certo che lo fanno: perché preoccuparsi di combattere i vigilantes quando i cartelli faranno lo stesso lavoro sporco per conto del governo e al loro posto?
Quello che sta succedendo in Messico è il collasso al rallentatore delle autorità governative sotto l’implacabile offensiva dei cartelli. Non è solo il fatto che i cartelli spesso sono meglio armati: è la natura invadente della loro influenza corruttiva, resa possibile dagli enormi profitti del traffico di droga. I cartelli sono un prodotto collaterale, grottesco e mortale, della guerra alla droga condotta a livello internazionale dagli USA e dai loro alleati: senza il divieto sulle droghe “illecite” i cartelli non potrebbero e non dovrebbero esistere. In questo senso, i cartelli e i governi che in teoria li perseguono sono collusi – e tale collusione assume spesso la forma di un’alleanza esplicita, come “Fast and Furious” e la ben nota collaborazione tra la polizia messicana e le bande della droga chiariscono bene. Qualsiasi atto coercitivo messo in atto da uno Stato produce distorsioni nella vita economica, politica e sociale delle persone: in questo caso, un irrazionale divieto di utilizzo di determinate droghe ha dato vita a bande di criminali in competizione che scimmiottano tutte le ben note devastazioni dell’oppressione governativa – estorsione, assassinii, e furto di massa – moltiplicato per dieci.
Nessuno dovrebbe sottostimare la gravità di quello che sta succedendo giù in Messico: il paese si sta disfacendo molto più rapidamente di quello che avevo predetto l’anno scorso. Mentre la crisi economica colpisce la già impoverita popolazione messicana, e un governo inetto continua a ciondolare mentre il paese brucia, la crisi di autorità è destinata a culminare in un’esplosione decisamente spettacolare – una che coglierà certamente di sorpresa la nostra ugualmente inetta ( e corrotta) classe politica. Una guerra civile conclamata in Messico significherebbe milioni di rifugiati al confine degli Stati Uniti, una vera e propria marea umana – che la nostra dogana non potrebbe fermare, né, tanto meno, potrebbe farlo un qualcosa che non fosse una massiccia mobilitazione di forze armate. Un conflitto militare tracimerebbe inevitabilmente fuori dai confini: per la prima volta dal conflitto tra Messico e Stati Uniti, il sud ovest americano potrebbe plausibilmente diventare zona di guerra. Inoltre, i Messicani – Americani, sia con cittadinanza che non, verrebbero inevitabilmente coinvolti: è noto che molti degli attivisti coinvolti nei gruppi di auto difesa sono nati negli USA e hanno vissuto qui per molti anni. D’altro canto, i cartelli hanno anche molti operativi a nord del Rio Grande, dove costituiscono una presenza enorme sulla scena criminale americana.
La guerra civile messicana potrebbe svolgersi nelle strade di città americane? È una domanda che la nostra classe politica dovrebbe porsi più o meno adesso, ma sono troppo impegnati nelle guerre nei lontani Afghanistan, Siria, Iraq per poter realmente comprendere ( o almeno notare) il fuoco che brucia alle porte di casa loro.
Naturalmente, quando si renderanno conto della minaccia risponderanno come hanno sempre fatto: con la forza bruta. I nostri sforzi per sostenere il governo del Messico risulteranno nella solita catastrofe, con la versione messicana di Hamid Karzai a gozzovigliare nella corruzione, mentre fuori da Città del Messico il resto del paese crolla. In effetti, un conflitto simile comporterebbe l’unione del governo centrale e dei cartelli contro i “vigilantes”. Gli Stati Uniti, come sempre, starebbero dalla parte del male.
C’è solo un modo di spezzare il potere dei cartelli e di spazzare via i corruttocrati che hanno preso il controllo del Messico, ed è legalizzare le droghe illecite – non solo in Messico e negli Stati Uniti, ma in tutte le Americhe ( per iniziare). Una legalizzazione limitata non eliminerebbe i profitti dei cartelli: in effetti, una legalizzazione parziale – che aumenterebbe la richiesta, con pesanti tassazioni e regolamentazioni sull’uso dell’erba – potrebbe far ottenere l’esatto opposto, ovvero aumentare i margini di profitto dei cartelli anziché farli fallire. È per questo che permettere l’uso della cannabis a scopi ricreativi come in Colorado non riuscirà a scalfire il problema; quello che serve è niente meno che la completa legalizzazione di tutte le droghe in questo emisfero. Altrimenti, i cartelli criminali sono destinati a restare.
Justin Raimondo
Fonte: http://original.antiwar.com/
Link: http://original.antiwar.com/justin/2014/01/19/down-mexico-way/
19.01.2014
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MARINA B.