GHEDDAFI REGGERA', IN CIRENAICA RIVOLTA ENDEMICA

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DI TOMMASO DI FRANCESCO
ilmanifesto.it

Sulla sanguinosa crisi libica in corso, dagli esiti drammatici e incerti anche per la difficoltà delle fonti, abbiamo rivolto alcune domande ad Angelo Del Boca, esperto di Libia e storico del colonialismo italiano.

Le notizie che arrivano parlano di un paese spaccato in due, anche l’esercito e i «comitati rivoluzionari» sarebbero divisi, la Cirenaica con le città di al Bayda, Bengasi, Tobruk è nelle mani degli insorti. La situazione sembra precipitare e le vittime sono quasi un centinaio…

Sì, precipita. Però, come giustamente dicevi, il paese è spaccato in due. Per la Cirenaica era già possibile prevedere una rivolta. Non è la prima volta, è già accaduto nel 2006 per la provocazione anti-islam del «nostro» ministro Calderoli e c’è da dire che, perlomeno negli ultimi 15 anni siamo alla terza insurrezione. Nel 1996 infatti non abbiamo mai saputo il numero delle vittime, solo gli arrestati furono migliaia, eppure allora intervenne contro quella rivolta islamista l’esercito, l’aviazione e la marina che sparò contro la Montagna verde, l’unica presenza montuosa simbolo dell’eroe Omar al Muhtar. Impossibile sottovalutare ancora l’influenza fortissima in Cirenaica della storica confraternita politico-religiosa della Senoussia.Quindi secondo te il colonnello Muammar Gheddafi non ha le ore contate…

No, anche perché la stessa famiglia Gheddafi è come spezzata in due. Una divisione che è quasi una risorsa.

C’è la possibilità che questo conflitto apra le porte del potere a Seif al Islam, il figlio di Gheddafi che lavora da tempo ad una riforma della costituzione libica e che ha trattato per la liberazione dalle carceri di centinaia di integralisti?

Su questo ci andrei un po’ con calma. A proposito dei figli, voglio ricordare che da un parte ci sono Khamis che è a capo di questi battaglioni di sicurezza, che poi sarebbero i pretoriani del regime, e Motassem, anche lui coinvolto nell’esercito; entrambi a favore di Gheddafi e adesso suoi strenui difensori, a ogni costo, come si capisce dagli avvenimenti di Bengasi e al Beida, dove era presente proprio Khamis. Dall’altra parte abbiamo Seif al Islam, che in questa situazione non ha fatto particolari dichiarazioni, ma da quanto sappiamo è l’unico che dà informazioni su quello che sta succedendo. E certo è l’unico che ha fatto liberare negli ultimi mesi centinaia di integralisti islamici di Bengasi. Che aveva liberato a condizione che loro, in un certo senso, si pentissero, ammettessero il loro errore e non tornassero più a fare operazioni di carattere violento. Ripeto che in questi ultimi mesi e giorni, è l’unico che dà informazioni su quello che accade.

In questo momento il mondo occidentale, quello che ha interessi strategici fondamentali in Libia, sembra molto preoccupato. Non parliamo solo dell’Italia, con l’Eni e Finmeccanica, ma anche degli Stati uniti…

Sì, gli Stati uniti da quando hanno deciso con Bush nel 2004 che la Libia non è più uno stato canaglia, sono tornati ormai da sette anni con quattro multinazionali petrolifere ad attingere al petrolio di Tripoli. E gli interessi non sono solo per il petrolio perché i francesi hanno attivato contratti per vendere i loro aerei da combattimento, la Gran Bretagna aveva mandato Tony Blair – che con Seif al Islam risolse anche la vicenda drammatica di Lockerbie – come commesso viaggiatore d’affari. Tutti in fila per vendere forniture. Perché in Libia-Piazza Affari c’è da cambiare tutto: ci sono da costruire aeroporti nuovi, la famosa ferrovia, l’autostrada litoranea dovrà costruirla l’Italia. Come da accordo storico con il quale il governo italiano riconosce le infamie italiane colonialiste e fasciste, per avere in cambio il contenimento – vale a dire nuovi campi di concentramento – dell’immigrazione disperata del Maghreb e dell’interno africano.

A proposito d’Italia. Come giudichi le dichiarazioni di Berlusconi di fronte al precipitare della situazione e alla repressione sanguinosa: «Non ho chiamato Gheddafi perché non lo voglio disturbare»?

È una forma di viltà. Da parte di uno che proclama di essere un personaggio «amico e fraterno», ecc. ecc., e che «ha imparato il bunga-bunga da lui», ecc. ecc. Io non solo gli avrei telefonato, ma intanto gli avrei chiesto com’è la situazione, anche perché dalla sua voce sarebbe una dichiarazione autorevole. E poi gli avrei chiesto di essere clemente e di cercare di non provocare altro sangue. Invece «lui» non lo vuole disturbare. Non lo vuole disturbare perché oltretutto è anche un vigliacco.

Tommaso Di Francesco
Fonte: www.ilmanifesto.it
20.02.2011

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