DI CARLO BERTANI
La notizia che l’art. 32 della Finanziaria si mette a proteggere i quotidiani e le riviste dalle “copiature” che farebbero gli editori, soprattutto sul Web, ha un che di strano e sembra veramente fuori luogo. Anzitutto, bisogna distinguere la “copiatura” dalla pura e semplice citazione.
La citazione – se la memoria non mi tradisce – è limitata a 200 parole, ma la Legge sul Diritto d’Autore (Gazzetta Ufficiale del 16 luglio 1941, n. 166) dice anche altro, che non è stato modificato.
Leggiamo l’art. 65 originale, così come lo scrissero durante il Fascismo (!).
65. Gli articoli di attualità, di carattere economico, politico, religioso, pubblicati nelle riviste o giornali, possono essere liberamente riprodotti in altre riviste o giornali, anche radiofonici, se la riproduzione non è stata espressamente riservata, purché si indichino la rivista o il giornale da cui sono tratti, la data e il numero di detta rivista o giornale e il nome dell’autore, se l’articolo è firmato.
Ed ecco come viene “riformato” dall’Ulivo “rampante”, che ritiene l’antifascismo e la Resistenza come la sua radice. I fascisti limitavano la libertà di stampa? E noi vogliamo cancellare ogni segno di quel triste periodo, affinché la gloria del popolo sovrano sancisca definitivamente la fine d’ogni privilegio delle classi dominanti, e conduca finalmente il proletariato internazionale al caldo sole del socialismo! Firmato: Peppone.
Così non vi piace? Allora vediamo…dunque…ecco: la libertà è il nostro credo, e senza libertà non ci può essere realizzazione dell’individuo. La libertà, però, non può degradare in licenza e dunque è necessario proteggere i deboli, coloro che vedrebbero usurpato un loro diritto, e quindi limitata la loro libertà. Firmato: Don Camillo.
Articolo 32. Riproduzione di articoli di riviste o giornali
1. All’articolo 65 della legge 22 aprile 1941, n. 633, dopo il comma 1, è inserito il seguente:
«1-bis. I soggetti che realizzano, con qualsiasi mezzo, la riproduzione totale o parziale di articoli di riviste o giornali, devono corrispondere un compenso agli editori per le opere da cui i suddetti articoli sono tratti. La misura di tale compenso e le modalità di riscossione sono determinate sulla base di accordi tra i soggetti di cui al periodo precedente e le associazioni delle categorie interessate. Sono escluse dalla corresponsione del compenso le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.».
Questa è roba moderna, scritta pochi giorni or sono da un Gentilone e Prode Cavaliere con lo Schioppo. Che ci sia anche la mano del “Veltro”? Da quando è diventato scrittore di successo…non si sa mai…probabilmente l’hanno scritto con succo di Margherita e sigillato con estratto d’Ulivo. La “sinistra” della coalizione non s’è accorta di nulla? No, il Bertinotto è sempre assiso sul suo alto scranno con la cravatta in tono all’arredamento di Montecitorio, altri staranno meditando su come far “digerire” la Finanziaria al popolo dei “Girotondi”, ai “Movimenti”, insomma: alla loro base. I più, si saranno felicitati per l’imposizione del segreto d’ufficio – da parte del Magistrato competente che ha sequestrato tutto il materiale – sulla vicenda della droga in Parlamento, e da oggi le “Iene” sanno d’esser diventate dei dolcissimi gatti d’Angora. Castrati.
Si potrebbe anche ipotizzare qualche strascico legale, perché il successivo art. 70 non è stato modificato e sembrerebbe contraddire, almeno in parte, l’art. 1-bis provvidenzialmente aggiunto per sopperire alla troppa liberalità di Mussolini.
70. Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera, per scopi di critica, di discussione ed anche di insegnamento, sono liberi nei limiti giustificati da tali finalità e purché non costituiscano concorrenza alla utilizzazione economica dell’opera.
Nelle antologie ad uso scolastico…(omissis)
Il riassunto, la citazione o la riproduzione debbono essere sempre accompagnati dalla menzione del titolo dell’opera, dei nomi dell’autore, dell’editore e, se si tratti di traduzione, del traduttore, qualora tali indicazioni figurino sull’opera riprodotta.
Può darsi che debbano ancora imparare a scrivere le leggi – non sarebbe la prima volta – ma, se l’articolo “bis” aggiunto ha evidenti tratti liberticidi, si fa un po’ di fatica a capire a chi è rivolto. Al popolo della controinformazione che scopiazza i giornali? Per carità: non è che ci sia molto da copiare…
Piuttosto, sarebbe interessante capire come si dovrà comportare chi – dal Web, dai libri o dagli articoli – si vedrà scopiazzare brani dei propri scritti sui giornali od in TV. Un esempio?
Autunno 2005: sulla gran Rete 1 va in onda una domenica sera uno “speciale” sul terrorismo. La domanda è assai pregnante ed esaltante: che cosa è Al-Qaeda? Franco Di Mare si spertica con gli assidui ospiti in studio – tutti rigorosamente “embedded” – per riuscire a dimostrare qualcosa, tanto per trascorrere gli intermezzi fra una pubblicità e l’altra.
Sto facendo lo zapping fra i canali per sapere cos’ha combinato il mio amato Toro (allora in B) e sto meditando che l’ora inizia ad essere tarda…domani entrerò alla prima ora…quando capito sulla “gran rete” e riconosco delle parole che mi sono familiari.
Scorrono sul teleschermo le solite immagini che abbiamo visto mille volte – i mujaiddin che s’addestrano al karaté, Osama che spara (vi siete accorti che è mancino?) – ma il linguaggio mi è familiare. Accidenti – penso – guarda te che a qualcuno è venuta in mente la stessa espressione “nonostante si vesta come un pecoraio della steppa, il signor Osama Bin Laden…”.
Già, perché quelle parole le avevo scritte anch’io – al momento ero solo stupito – nel libro “Al-Qaeda, chi è, da dove viene, dove va” che era uscito pochi mesi prima da Malatempora.
Passa il tempo e aumentano le coincidenze “La nostra storia inizia in un albergo di Peshawar: seduti a terra ci sono un gruppo d’arabi e uomini della CIA con il classico vestito scuro…”
Insomma, s’erano copiati non proprio tutto, ma quasi.
Poi si chiedono perché uno s’arrabbia: beh, vorrei vedere voi…quelli ad acchiappare i dobloni per stare seduti nello studio del TG1, io a scrivere per farmi copiare (gratis) il tutto.
Il giorno seguente, un caro amico scarica il sonoro della trasmissione e me lo invia (quando arriverà l’ADSL anche qui? L’innovazione tecnologica dov’è?) ed inizio – libro alla mano – ad indicare i “furti”. Riempio diverse pagine e le invio in allegato alla redazione del TG1.
La risposta è duplice: la sera seguente mi telefona uno strano tizio, il quale mi confessa che il servizio era stato acquistato da “Der Spiegel” ma che il commento era in tedesco. Risposta: Spreche Sie Deutsch? Nein, spreche nicht. Beh qualcuno che lo “spraccava” lo avreste pur trovato…
No, il problema non era “spraccare” il tedesco, perché il commento era…come dire…vista la posizione della Germania sull’Iraq…insomma…lei mi capisce…
Ho capito: il commento tedesco non avrebbe superato l’imprimatur di Mimun e di Berlusconi. Ma, il mio libro ci va giù ancora peggio…
Certo, e per questo abbiamo fatto degli “estratti”…avevo chiesto al TG1 di fare la doverosa citazione, a lei ed a Der Spiegel…purtroppo…
Quelli di Der Spiegel avranno preso i dobloni ma non “spraccano” italiano, e ci vuole una buona dose di sfiga perché un Deutsch che parla italiano sia sintonizzato sul satellite a quell’ora…io invece…maledizione ai risultati del Toro…
La telefonata mi fa incazzare ancor più, perché hanno fatto a pezzi il libro e lo hanno utilizzato stravolgendone completamente il significato: l’interlocutore sembra addolorato, mi promette un interessamento (non richiesto) per una futura trasmissione…insomma, non sa più che pesci pigliare.
Al servizio legale della RAI sono invece tutti ottimi pescatori, e la risposta giunge fulminea:
Gentile DottProfAvv Carlo Bertani (così, pensano, almeno uno lo “piglio”)
“Non intravediamo nel materiale esposto nessun reato…né, a nostro parere, si può ravvisare che il testo sia stato…”
Morale: se ritieni d’aver ragione, facci causa.
Il giorno seguente chiedo consiglio ad un collega scrittore, e avvocato, il quale si mette quasi a ridere: fare causa alla RAI? Dai, Carlo, abbiamo già abbastanza guai per roderci il fegato senza cercarcene altri…
Due anni or sono ho sporto querela per diffamazione per un’altra vicenda e, ad oggi, mi è giunta solo la comunicazione che il caso non è stato archiviato: da qui in avanti, tre gradi di giudizio! Auguri (spero di campare).
Tutta la storia del diritto d’autore non può essere risolta con un articoluzzo (pure “bis”!) aggiunto in Finanziaria. Ma cos’è diventata la Finanziaria, il ricettacolo d’ogni pulsione che salta in testa agli onorevoli? Non dovrebbe essere la stesura del futuro bilancio dello Stato? E se il prossimo anno ci scrivono che dobbiamo abbattere tutti i criceti? Che i possessori d’auto gialle dovranno circolare solo con cravatte rosse? (Chiedere al Bertinotto per un consiglio).
Siccome noi siamo gente seria, dovremmo rispondere loro per le rime; ossia: come regoliamo il rapporto fra il Web e la carta stampata? Diritti d’autore da pagare per i primi e caccia libera per i secondi?
Già, perché quell’articolo “bis” trasuda paura: il timore che non basti nemmeno più il miliardo[1] di euro l’anno che i signori della stampa si “beccano” per essere fedeli al potere politico. Tutti insieme, appassionatamente.
Facciamo pure pressione perché l’articolo “bis” sia modificato ma a me – personalmente – come stanno attualmente le cose non garba mica tanto.
Per prima cosa, gli articoli sul Web dovrebbero avere lo stesso trattamento di quelli della carta stampata e delle trasmissioni TV e radiofoniche: lo stesso trattamento per tutti e, come recita un proverbio ligure, “un po’ per uno in braccio alla mamma”.
Dovremmo poi decidere se desideriamo la completa libertà di circolazione dell’informazione oppure se riteniamo che chi scrive conservi la proprietà letteraria del testo. Per questo già esiste la licenza “Common Creative” – che consente la pubblicazione ma mantiene la proprietà letteraria all’autore – ma non giriamo intorno al problema: qui stiamo nascondendoci dietro ad un dito.
Il vero problema è di natura economica: anche quando l’autore conserva la proprietà letteraria di un brano, non riceve nessun compenso da parte di chi lo pubblica, sul Web o sulle riviste. Per i libri a volte è ancora peggio: quanti giovani autori sono cascati e cascano nelle famose truffe – perché truffe sono – della pubblicazione a pagamento?
Pubblica con noi, vedrai che roba! Anche Moravia – pare – pagò per il suo primo libro di poesie…ti ritieni meglio di Moravia? Cosa vuoi che siano 1.000, 2.000 euro in cambio della fama e del successo? Noi pubblicheremo il tuo libro e lo promuoveremo, lo esporremo alla famoso salone letterario di Magdeburgo, alla fiera del libro di Pamplona…sarai famoso, andrai in TV, le “Veline” ti faranno “velo” attorno…
Qualcuno so che ci è cascato, solo per scoprire che il salone di Magdeburgo era un salone di bellezza, mentre la fiera di Pamplona era quella dei tori.
Preso dallo sconforto, il nostro giovane autore ha due vie a disposizione: mettere in vendita il portatile su e-bay per 200 euro oppure iniziare a scrivere sui vari blog. Qualcuno riuscirà anche a pubblicare qualche libro, ma solo gratis, senza mai vedere un contratto di pubblicazione né un soldo dei diritti d’autore.
I diritti d’autore sono poi una gran beffa: sono sempre lordi – vale a dire che la SIAE si “becca” subito un bel 15% – ed il resto andrà presentato nella dichiarazione dei redditi. Morale: a conti fatti, il nostro autore – se è bravo e fortunato – avrà lavorato per circa 5 euro l’ora, che se andava a pulire vetri ne guadagnava senz’altro di più.
Ma cosa stiamo dicendo: c’è la soddisfazione d’essere uno scrittore, un autore che ha pubblicato! Sei un intellettuale, per Dio, mica uno che pulisce vetri!
Se, però, il nostro giovane ritiene di scrivere ciò che veramente vuol comunicare – questo, almeno, dovrebbe essere il senso della letteratura – non andrà mai lontano: nessun premio letterario di quelli che contano s’accorgerà mai di lui.
La cosa migliore non è cercare la perfezione della forma, la potenza del significato, le mirabili architetture sintattiche, le affilate lame della semantica: no, no, caro amico mio, la cosa migliore da fare è sedersi in qualche anticamera che conta – portarsi un buon libro perché c’è sempre da aspettare, e tanto – e farsi ricevere dal “mammasantissima” di turno.
Cosa succede? Qui inizia il mistero, perché il sottoscritto non s’è mai andato a sedere nell’anticamera di nessuno: comunque, Nanni Moretti – nel “Portaborse” – qualcosa ha spiegato.
Per chi non ha i numeri per aspirare ad un premio di quelli che contano, ci sarà sempre una delle tante redazioni che si dividono quel miliardo di euro che lo Stato (cioè noi tutti) paghiamo perché c’informino. Ovviamente, i soldi giungono dai nostri amati “dipendenti” parlamentari e…beh…qualche piccolo ringraziamento, un po’ di benevolenza…in fondo anche i deputati hanno un cuore, non si può lasciarli ignudi, preda di penne al vetriolo che li massacrino peggio che con la spada!
Quando furono pubblicate le liste delle recenti elezioni politiche, un giornalista inglese si meravigliò per i tanti giornalisti in lista nei vari partiti: in genere – affermò – da noi i giornalisti sono visti dai politici come il fumo negli occhi, come dei “controllori” della pubblica opinione, invece da voi sembrano tutti così amici, così friendly…no, le cose sono un po’ diverse, da noi si dice “culo e camicia”.
Probabilmente, l’articolo “bis” nasce proprio dalla penna di qualche ex giornalista od ex direttore di un “importante” quotidiano (finanziato con il solito miliarduzzo) che ha paura di perdere il posto: oh, vuoi vedere che se non li fermiamo subito salta fuori che abbiamo raccontato per anni un sacco di fregnacce e c’è il rischio che se n’accorgano? Se non mi rimettono in lista, fra qualche anno mi toccherà andare a lavar vetri: no, non corrono questo rischio perché li salva l’onorevole pensione di 3.000 euro il mese. Sarà per questa ragione che si notano vetrate sempre più sporche?
Purtroppo per loro, oramai circa un terzo degli italiani ha smesso d’acquistare i quotidiani e s’informa sul Web: perché devo spendere un euro e passa quando mi basta un clic? Sul Web puoi sapere tutto e subito: volete sapere qualcosa sullo suocero di Cristoforo Colombo – un tal Perestrello – oppure sulla misteriosa sorte dei figli di Maria Antonietta? Buttateli su Google: provare per credere.
Certo, sul Web ci vuole un po’ di buon senso e tanta attenzione critica, mentre nei quotidiani c’è un direttore responsabile che garantisce per noi, che ci assicura che non scrivono balle -))).
La realtà è ben diversa: nelle redazioni lavorano schiere di professionisti del copia/incolla e per garantire – se proprio c’è bisogno di fornire delle garanzie – ricordiamo che siamo tutti sottoposti all’autorità giudiziaria, codice civile e penale. Noi, almeno, lo siamo loro…beh…vedi la vicenda RAI capitata al sottoscritto.
Questa pratica è devastante non solo per l’evidente immoralità, bensì perché inferisce un colpo mortale al fermento culturale di un paese, alla sua capacità di critica, di fantasia, d’innovazione. Chi è profumatamente pagato (con i nostri soldi) per scrivere continuerà a farlo mettendo soltanto in bella copia la velina che gli è stata consegnata: chi invece scrive gratis e continua a non veder riconosciuto il proprio talento, dopo un po’ si stufa e va ad innaffiare i gerani, almeno si rilassa e si risparmia il fegato.
Risultato: il potere politico fa Bingo, perché si toglie di mezzo tanti rompiscatole che potrebbero metter loro i bastoni fra le ruote. Ci costa un miliardo l’anno? E chi se ne frega: tanto pagano loro!
Prova del nove: nella Finanziaria, hanno modificato lo scandaloso finanziamento alla carta stampata di regime? Ma per carità…
Sul Web, invece, s’è creata una meravigliosa comunità di persone che scrivono di tutto e su tutto – e molto spesso lo fanno benissimo – con un piccolo particolare: per pagare le bollette ed il dentista non potranno mai fare affidamento su quanto scrivono, ma dovranno fare dell’altro. Quel “altro” dipenderà dalla fortuna e dalle singole capacità, ma non lamentatevi se dovete lavar vetri nell’attesa di scrivere il vostro pezzo: avrete più cose da raccontare, trarrete il “verbo” dal secchio con il sapone, ogni volta che trascinerete lo strofinaccio sarete così incazzati che si materializzerà nella vostra mente un nuovo rigo. Magari potrete scrivere un romanzo giallo dove uccidono un lavavetri! Ci avevate mai pensato?
Se invece “tirate di lima” in un’officina, rammentate che i migliori scrittori si vantano di passare anche dei giorni per “limare” un aggettivo: voi, che alla lima siete abituati, siete addirittura avvantaggiati!
Se si pongono questi dubbi, subito scendono in campo i Catoni della limpida morale, dell’arte pura ed inavvicinabile, mai monetizzabile: per aspera ad astra, semper. In genere, scrivono i loro sprezzanti commenti ai venali scrittori merciaiuoli nell’intervallo fra una telefonata e l’altra al proprio broker, per sapere quanto hanno guadagnato oggi con il tale titolo…con l’investimento a Shangai…a Madras…
Sì, cari scrittori ed editori del Web, perché abbiamo finalmente realizzato il completo comunismo: ciascuno dà secondo le proprie capacità. C’era dell’altro? Che “si riceve secondo le proprie esigenze”? Non so…non ricordo…
Questa è l’amara morale: se non facciamo niente per cambiare questo stato di cose, rimarranno solo gli scrittori “targati” qualcosa, ed i tanti bravi e capaci idealisti del Web li vedremo solo più innaffiare gerani. Serre di gerani, campi di gerani, latifondi di gerani: un mondo in fiore.
Non viviamo nel paradiso proto-comunista dei greci e nemmeno in un piccolo recinto del socialismo reale: sopravviviamo alla meglio in una società nella quale se chiedi un cerotto perché ti ha punto una vespa vogliono 10 centesimi in cambio. Tutto è monetizzato, niente è gratis.
Vuoi una TAC: paga il ticket! Tuo figlio va a scuola? Paga i libri! Tuo padre non ha potuto darti una casa? Paga l’affitto oppure dissanguati con il mutuo!
Non si può far finta di vivere nel paradiso dei gerani, dobbiamo prendere coscienza della realtà e comportarci di conseguenza: con il nostro attivismo e con la nostra buona volontà potremo catalizzare le idee ed il dibattito, ma loro sono furbi e ci prenderanno per fame. L’articoletto “bis” è il primo atto.
“La miglior difesa è l’attacco” – lo sa per esperienza uno che giocava da terzino – e l’offensiva possono sferrarla solo gli editori: gli scrittori, per quanto bravi siano, sono soltanto la truppa.
Perché non iniziare a mettere una sorta di copyright anche sugli articoli Web? Concessa la lettura, per la riproduzione si paga: insomma, la vecchia “dose personale”.
Gli editori del Web potrebbero sottoscrivere degli accordi per dei pagamenti molto contenuti – fra di loro – ed essere inflessibili nei confronti di chi sui nostri articoli ci sguazza con il copia/incolla e si becca il finanziamento statale.
Basterebbe “beccarli” poche volte ed inchiodarli in giudizio (anche con i tempi della giustizia italiana) e dimenticherebbero presto il vizio. Inoltre, da forme di micro-finanziamento, come lo scaricamento dei testi ad un euro oppure dalle “transazioni” fra un sito e l’altro, si trarrebbe qualche risorsa anche per chi scrive.
Ogni sito, a quel punto, avrebbe interesse ad accaparrarsi le “migliori penne” e man mano che l’importanza del Web aumenterà (inevitabilmente) crescerà l’importanza – ed il bilancio – dei siti, mentre quello dei pennivendoli pagati con i nostri soldi scemerà di conseguenza. Semplice liberismo, non quello truccato con i finanziamenti di regime.
Ovviamente non ritengo d’aver risolto tutti i problemi con un articolo, però sarebbe dovere degli editori Web – invece di gridare al lupo di regime – promuovere un dibattito ed una riflessione. Forme consortili e di aggregazione? Stendere una “carta” e proporre l’adesione alla stessa dei principali siti e blog di controinformazione? Proporre misure di sostentamento economico collettive? Contrattare la pubblicità con una sola agenzia? E con i gestori telefonici?
Tanta carne al fuoco, ma ora vi lascio: devo andare ad innaffiare i gerani.
Carlo Bertani
[email protected]
www.carlobertani.it
NOTA:
[1] Considerando i 667 milioni di euro del “contributo” per l’editoria (ossia agli amici degli amici,) più quello per l’acquisto della carta, probabilmente si supera abbondantemente la cifra.