DI KAMIL MAHDI
La città antica di Najaf è in via di demolizione. I bulldozers sono all’opera per portare a termine l’opera già cominciata dai carri armati, dai missili e dalle mitragliatrici aeree.
L’aiuto promesso per la ricostruzione appare condizionato dall’abbandono della popolazione dalle loro case e dalle loro attività commerciali affinché si possa così spazzar via ciò che resta delle vecchie madrasas, delle ville storiche, dei caravanserragli, dei mercati, delle cave, delle catacombe, dei viali, che costituiscono la magnifica architettura della città, certamente già danneggiata e trascurata.
Il vice-segretario di stato americano, Richard Armitage sosteneva che “all’indomani (della fine dei combattimenti con Moqtada Al Sadr, nello scorso agosto), il primo ministro Allawi e la coalizione avrebbero stanziato denaro per la ricostruzione di Najaf”.
La dichiarazione di Armitage coincide con quella del sotto-segretario di Stato per gli affari politici, Marc Grossman, che aveva annunciato una riduzione di 3,4 miliardi di dollari destinati alla depurazione dell’acqua e all’elettricità in Irak, in vista di un trasferimento di questi fondi verso spese legate alla sicurezza e alla creazione di presunti posti di lavoro. Grossman sottolineava che “un ottimo esempio [..] è Najaf [..] dove sarà possibile ritornare ad un controllo della città, verificando che i fondi per la ricostruzione arrivino, che la gente trovi un lavoro e anche che le persone abbiano la speranza che le cose vadano nel verso giusto”.
Da parte sua, Richard Boucher sosteneva che il governo americano e quello di Allawi erano d’accordo affinché la priorità restasse ad “un’azione accelerata per la pulizia di Najaf”. In ogni caso, hanno parimenti sostenuto che la loro priorità andava alla “sicurezza” senza alcun riferimento al rispetto per il valore culturale, storico e artistico della città.
Ciò che gli ufficiali americani non dicono è che la pulizia non si riferisce ai cadaveri in decomposizione per le strade, alle bombe inesplose, ad oggetti rischiosi per l’incolumità fisica, né alla ripresa dei servizi e delle attività.
Con pulizia s’intende la realizzazione di un programma “accelerato di lavoro” per la distruzione chirurgica di una delle più grandi città storiche dell’Islam.
Caduta nel dimenticatoio, la promessa libertà per gli Sciiti dell’Irak, visto che il governo filo-americano di Allawi, il governatore di Najaf e il direttore della Wafq sciita (assai religiosa), entrambe riordinate dagli americani, hanno messo in piedi un piano per la distruzione della città antica, già cominciato nel 1990.
Saddam Hussein, all’epoca, era stato universalmente e giustamente condannato per il massacro e le distruzioni di Kerballa e Najaf. Lo stesso genocidio si ripete ora con le forze americane, ridefinite però in termini di “operazioni di sicurezza” e “ripresa allo sviluppo” con una retorica assai disinvolta.
La posizione ufficiale britannica, espressa dall’Alto Commissario in Irak nel corso della guerra del 2003, è che: “la Gran Bretagna s’impegna totalmente a proteggere i beni culturali e considera seriamente i suoi obblighi al rispetto dei diritti umani e internazionali, secondo quanto stabilito dalla Carta dell’ONU e (in tempo di guerra) prestiamo un’attenzione particolare alla preservazione dei siti culturali.”
Infatti, le forze di occupazione (americane e britanniche) hanno agito nel corso dei combattimenti in nome del disprezzo più assoluto per tutti i riferimenti storici, culturali o religiosi, fatta eccezione per il Mausoleo (di Alì). E, sempre a questo proposito, regna il silenzio sulle voci che circolano a proposito del saccheggio dei tesori presenti all’interno del Mausoleo, da parte delle forze del governo ad interim irakeno.
L’inizio dei piani è stato annunciato in maniera furtiva con la demolizione di un raggio di 60 metri intorno al Mausoleo dell’Imam Alì, con il pretesto di offrirgli uno “spazio vitale” e di permettere ai visitatori un accesso migliore.
In realtà, il Mausoleo è chiuso ai visitatori dall’agosto scorso e sembra che la priorità degli occupanti e degli agenti, più che al comfort dei pellegrini, sia accordata al loro controllo.
Ma questa non è che la prima fase della distruzione, la seconda comincerà con la costruzione intorno alla moschea di un muro esterno, a 120 metri dal muro esistente. Progetti simili sono già stati attuati a Kerbala da esiliati irakeni aventi forti legami d’affari; sembrano aver trovato la loro fortuna a Najaf, dove la popolazione mostra un disperato bisogno d’aiuto, vista la paralisi della città e la misteriosa chiusura della moschea.
[..]La minaccia che assilla Najaf, si presenta anche per gli altri centri storici dell’Irak poiché i fondi allo “sviluppo” e alla “ricostruzione” americani (e forse anche quelli kuwaitiani) facilitano l’ingresso sulla scena di speculatori immobiliari, protetti dalle forze della coalizione.
D’altronde il Direttore del Gabinetto della Waqf Sciita dichiara che intende seguire la stessa politica per la moschea di Kadhimain a Baghdad.
La distruzione di Najaf è drastica e irreversibile. Una dichiarazione del direttore del Waqf mostra che l’8 settembre non c’è stata alcuna idea ma la decisione di demolire è stata presa rapidamente perchè è stata messa in applicazione con un mese di ritardo …. Nessuna discussione ha avuto luogo se non dentro il docile Consiglio Nazionale.
E’ questa quella democrazia per la quale le genti sono morte e muoiono? Se questa distruzione continua senza alcuna consultazione pubblica [fatta] in un’atmosfera razionale e trasparente, essa non sarà nient’altro che un assalto criminale contro il patrimonio dell’Iraq e la sua storia.
16 Dicembre 2004
Kamil Mahdi
Fonte:
www.geostrategie.com/cogit_content/analyses/GnocideculturelNadjaf.shtml
Traduzione per Comedonchisciotte a cura di Alix