DI LUIGI SERTORIO
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Poiché l’alimentazione elettronucleare civile italiana non è la continuazione di una realtà esistente, ma è una novità, il governo dovrebbe elaborare uno studio programmatico e sottoporlo alla discussione del Parlamento che a sua volta dovrebbe interloquire con tutti i cittadini. Tuttavia il presente Parlamento è stato votato prima che il tema nucleare, che viene presentato non come idea teorica ma come pretesa esecutiva, saltasse fuori: ne segue che la dinamica dell’informazione su un problema così importante è anomala. Il progetto nucleare italiano ha implicazioni decisionali immediate, ha implicazioni di strategia economica a lungo termine, e infine implicazioni tecnico-scientifiche su un intervallo di tempo di imprecisata lunghezza. Osserviamo che queste tre fasi, inesplorate per l’Italia, sono all’opposto ben note e fanno parte della storia degli ultimi sessantasette anni per gli Stati Uniti. E’ necessario ricordare queste tappe essenziali.– Il progetto Manhattan, 1943-45, frutto di circostanze scientifiche favorevoli e decisioni immediate, segretissimo, e mastodontico come impegno tecnologico e organizzativo, culminato con Hiroshima e Nagasaki.
– Il periodo della guerra fredda, 1945-91, dominato dalla produzione industriale di bombe nucleari, sommergibili nucleari e, in misura minore, di centrali elettronucleari civili. Naturalmente queste produzioni su larga scala nell’arco di tempo di oltre mezzo secolo hanno visto il succedersi di diverse generazioni di aggiornamenti tecnologici.
– Il problema aperto delle scorie nucleari. Anche qui segretezza alla sorgente e assenza di informazione alla base dei cittadini. Esiste il deposito di Yucca Mountain in Nevada? Quale capienza ha (quella presente e quella futura)? Quanti e dove sono i sommergibili nucleari dismessi (quanti sono attivi, quanti programmati)? Quante e dove sono le bombe nucleari dismesse (quante attive, quante programmate)? Tutte le filiere dei cicli nucleari, incluso ovviamente il nucleare civile, finiscono a Yucca Mountain? Sappiamo che la risposta è no. Quali altri siti sono implicati?
Il progetto nucleare italiano è piccolino e palesemente non autonomo. L’Italia non fa parte del club nucleare del quale i membri più importanti sono USA, Russia, Inghilterra, Francia, Cina. Tra questi paesi esistono contrasti passati e presenti. In tale dinamica l’Italia dal 1945 a oggi è stata implicata solo con un ruolo passivo. In conclusione i cittadini intelligenti dovrebbero porsi queste domande: “perché si propone questa visione del futuro del paese, da che radici parte, verso quale direzione si muove? “
Per rispondere a queste domande dobbiamo affrontare una analisi articolata su tre punti: scelte, spese, responsabilità.
Scelte
Quale è il panorama sociale ed economico al quale si riferisce l’alimentazione energetica elettronucleare? L’energia entra nella vita domestica, nei trasporti, nella produzione di beni semipermanenti o di consumo, in un mix che oggi è il risultato della crescita, mai veramente pianificata con una visione a lungo termine, avvenuta dopo le distruzioni materiali e morali della guerra, ossia il periodo che parte dal 1945. Le vicende caratterizzanti la vita economica e sociale dell’Italia dopo la sconfitta della guerra non si articolarono per scelta politica libera, autonoma, ma per assoggettamento all’esorbitante superiorità militare e industriale del vincitore, l’America, che plasmava le relazioni e gli scambi di tutta la metà occidentale dell’Europa, quella raccolta sotto il trattato Nato e contrapposta all’altra metà appartenente al Patto di Varsavia. Sistemi economici e politici molto diversi anzi contrapposti in una guerra subdola e nascosta, la guerra fredda. In generale possiamo dire che per l’Italia l’alimentazione energetica è stata basata sul petrolio, le fabbriche sono state inventate e sono state indirizzate a produzioni tutte basate sul petrolio, che veniva e viene fornito da poche sorgenti esterne al nostro paese. L’Italia in tutto questo periodo evolutivo ha importato la grande maggioranza dell’energia primaria. E’ chiaro che l’assetto economico energivoro faceva molto piacere alle compagnie petrolifere americane, così come è chiaro che le iniziative autonome di Enrico Mattei furono sgradite, considerate sovversive e fermate non con le parole ma coi fatti. Nel regime ipotetico in cui ci fosse una importante presenza dell’energia nucleare l’alimentazione sarebbe ancora più rigida e centralizzata e si aumenterebbe ancora di più l’allontanamento da un modello di vita collettiva del tipo ad alimentazione energetica diffusa, una dinamica sociale a rete anziché a polo erogatore. Anche nel progetto nucleare l’Italia importerebbe energia primaria da sorgenti esterne e inoltre si orienterebbe verso un processo di erogazione e distribuzione poco flessibile. Quale è la valutazione fornita dal governo sul futuro del paese che porta alla preferenza per la erogazione di energia nucleare estero-dipendente rispetto alla erogazione di energia diffusa, basata sulle risorse proprie del nostro territorio? Ci possono essere ottime ragioni per la preferenza nucleare, ma ci può essere totale assenza di analisi progettuale su tale dilemma: la esposizione dei motivi della scelta è obbligatoria. Oggi in Italia non esiste l’alimentazione nucleare, ed esiste una piccola penetrazione della tecnologia di alimentazione solare nelle sue tre forme o canali inorganici: termico, elettrico, eolico. Poi ovviamente c’è il canale organico o biologico, il cibo, quello tradizionale noto e sfruttato da sempre. Peraltro, il trasporto dei generi alimentari a lunga distanza è basato sull’uso di mezzi energivori (tutti a loro volta basati sulla sorgente petrolio), che si contrappongono alla dinamica di produzione e consumo locale. La movimentazione dei generi alimentari su lunghi tragitti può essere stata interessante in una certa fase di sviluppo per paesi a bassa densità di popolazione, ma è discutibile per un paese come l’Italia. L’energia elettronucleare dovrebbe operare nel contesto generale della vita attiva e produttiva dell’Italia e quindi dovrebbe essere giustificata da scelte che tengono conto di varie alternative progettuali. C’è certamente un dilemma, e dunque la scelta nucleare deve essere discussa molto seriamente e non fatta passare come semplice decisione settoriale. E’ chiaro che il posizionamento dell’Italia nel sistema di alimentazione nucleare globale è assoggettato a un complesso di pressioni esterne e queste non devono restare nascoste.
E’ evidente in conclusione che il tipo di società che si configura per il futuro non è lo stesso nel caso nucleare e nel caso solare. Quale futuro a lunga distanza il governo propone? Tale proposta deve essere esposta non solo al Parlamento ma in tutti i canali di discussione democratici.
Spese
Nel progetto nucleare la voce “spese” è peculiare perché implica un mix internazionale, ben diverso dal progetto solare che implica all’opposto un mix locale. Le spese si differenziano in tre fasi: costruzione delle centrali, gestione e alimentazione delle centrali, dismissione delle centrali. I tempi tipici possono essere nella prima fase dell’ordine di 5 anni, nella seconda fase 50 anni, nella terza fase non si sa, perché l’insieme dei problemi da affrontare è complicatissimo.
A) La fase di costruzione implica sia aziende italiane sia aziende straniere, dove la differenza fra italiano e straniero può essere difficile, non netta, poiché le attività imprenditoriali multinazionali operano su una scacchiera del denaro di tipo globale. Tuttavia un certo flusso di denaro esce dallo stato italiano e tale flusso uscente deve essere documentato e giustificato.
B) La fase di gestione implica l’acquisto del combustibile e la discarica del combustibile esaurito, anno per anno. Tale dinamica sarà operativa per un periodo dell’ordine di grandezza di mezzo secolo. Quali garanzie sa dare il governo presente sugli aspetti decisionali e burocratici dei problemi che si presenteranno per questo lungo periodo di tempo? Quali enti sono o saranno preposti al controllo di tale dinamica? Non abbiamo in Italia alcuna esperienza per una gestione così importante per un tempo di tale durata. Non si parla di progetto (che può essere comprato da un ente straniero ben collaudato), ma di controllo, due aspetti ben distinti della realtà, persone e strutture gerarchiche diverse. Un paragone potrebbe essere fatto con la costruzione e la gestione di grandi dighe e relativi bacini idrici artificiali. In questo caso l’esperienza italiana è stata tormentata e negativa, ingegneri progettisti bravi, valutazioni geologiche cattive, dialogo fra il calcolo scientifico e l’informatica burocratica assente. Un motivo di più per esigere delle garanzie.
C) La fase di dismissione. E’ la più complessa, è quella che nessun paese che abbia sperimentato l’avventura nucleare ha saputo risolvere soddisfacentemente. Quando non ci sarà più petrolio chi azionerà i mezzi pesanti necessari per eseguire le opere di bonifica nucleare? Si manterrà attiva una ultima centrale nucleare onde alimentare le opere implicate nella bonifica delle centrali che la precedettero?
Responsabilità
L’assunzione di responsabilità ovviamente vale in tutte le fasi del progetto ma diventa particolarmente importante nella fase finale di dismissione delle centrali. Nessuno dei politici che decidono oggi sarà vivo nel periodo della dismissione. La dismissione non è un lascito concettuale ma un ben preciso lascito fisico. Ciò che è deciso oggi è la prenotazione di azioni che dovranno essere intraprese fra oltre mezzo secolo. Il governo attuale pensa di allocare delle risorse socioeconomiche oggi per tale problema futuro? Alternativamente è in grado di dichiarare che ha predisposto un meccanismo automatico o semiautomatico di seppellimento eterno delle centrali a fine vita? Si parlava molti anni fa di meccanismi di autoseppellimento, ma erano considerazioni al livello di fantascienza. Quale soluzione ha scelto il governo italiano presente? Esistono dei precedenti, nella storia delle nazioni civili, di decisioni che implicano responsabilità alle quali non si può far fronte? Esistono, anche solo in teoria, leggi dello Stato scritte per gestire degli eventi non noti, quindi valide non per oggi ma per il lontano futuro? Il ministro Scajola non mente sulle discariche nucleari futuribili perché non sa quello che dice, peggio, non può saperlo; però decide, ha il potere di nominare un ente incaricato di individuare i posizionamenti geologici, i metodi di scavo, e così parte una successione di artifici per coprire gli errori e le bugie: e alla fine, chi lo punirà fra cento anni?
In conclusione il problema delle responsabilità è enorme e inesplorato. Nei paesi in cui l’erogazione di energia elettronucleare civile è in opera già da diversi decenni, gli aspetti legali furono relegati alla struttura esistente del sistema assicurativo. Insomma alla legge civile. Con la comparsa di eventi socialmente dannosi implicanti l’intervento delle compagnie di assicurazione sono nati dei contenziosi che sono tuttora irrisolti. Il Diritto degli stati e il Diritto internazionale sono impreparati di fronte a problemi nei quali le variabili causa, effetto, tempo, quindi i concetti di proprietà e responsabilità, sono mal definiti. Per questo la tendenza è di sottomettere il nucleare civile al controllo militare, cioè fare tornare il nucleare civile sotto il dominio del nucleare militare, che è la matrice da cui tutta l’industria nucleare è nata e cresciuta a partire dagli anni fra il 1943 e il 1945 sia in USA che in Unione Sovietica. Vuole il governo italiano indirizzarsi su tale strada pericolosissima? Non ci si muove sul terreno internazionale del potere militare nucleare solamente armati di furbizia, ma privi di forza, anzi essendo storicamente in posizione subalterna alla strapotenza americana. La militarizzazione dei siti nucleari potrebbe implicare una dipendenza additiva rispetto alla dipendenza puramente economica. Così come l’Italia oggi deve accettare di essere portatrice di alcune fra le più grandi basi militari USA, potrebbe essere costretta ad accettare di essere portatrice di siti di discarica nucleare utilizzati anche da altri Paesi. Questa prospettiva è di estrema importanza, è difficilissimo valutare ora le conseguenze storiche che possono essere implicate; non si possono tollerare patti internazionali segreti, questo punto deve essere chiarito dal governo, e i cittadini devono studiare, informarsi, e arrivare a creare dei canali intelligenti per pretendere che il governo si esprima con chiarezza su tali problemi.
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L’analisi della prima parte, scelte, spese, responsabilità, si confronta con il vuoto storico dell’Italia nella dinamica industriale nucleare, sia militare che civile. Non fa quindi stupire che il governo attuale non abbia fatto precedere la comparsa delle decisioni sul programma nucleare da una presentazione logica: non esiste, per questo, il fondamento culturale né dalla parte originante né dalla parte della cittadinanza passiva recipiente. Il dialogo, che dovrebbe essere articolato, è purtroppo limitato in gran parte a due sole voci: l’asserzione autoritaria che le centrali nucleari moderne sono sicurissime, a cui si oppone la conoscenza della gestione clientelare e corrotta della cosa pubblica, di cui tutti i cittadini italiani sono espertissimi, che trasforma la sicurezza in paura. La sicurezza esiste nel Laboratorio di Los Alamos, sede da sessantasette anni di eccellenza e disciplina, là dove ancora si ricorda il rigore di Oppenheimer, di Fermi, di Bethe, la sicurezza esiste nei libri di fisica e nei manuali della tecnica; la corruzione esiste nel tessuto della nostra società e delle nostre gerarchie. Il risultato del dialogo è zero, e la manovra dei filonucleari improvvisati ha via libera.
In conclusione il programma nucleare del governo italiano è caratterizzato da insipienza e segretezza. Invece vorremmo vedere in azione saggezza e cultura alla guida dei progetti tecnici e industriali, e chiarezza nelle strategie della dinamica della nazione. Ma esistono tali virtù altrove, nel grande mondo che ci circonda? Limitiamoci a considerare due nazioni, Germania e Stati Uniti. Un buon motivo per limitarci a questa scelta è che la Germania è stata la culla dell’industrializzazione europea basata sulla sorgente fossile carbone già nell’ottocento, e poi anche nazione portatrice della cultura scientifica da cui nacque la fisica nucleare nella prima metà del Novecento; ha qualcosa da insegnarci. Gli Stati uniti sono cresciuti sul flusso d’alta marea della industrializzazione basata sull’abbondanza della sorgente fossile petrolio e poi sono diventati, a partire dal 1945, la massima potenza nucleare. Ebbene la Germania è oggi al primo posto nel mondo per la ricerca e sviluppo della tecnologia solare, eolica e da biomassa. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, la nostra attenzione è polarizzata sulle recenti dichiarazioni del presidente Obama relative al finanziamento statale per la costruzione di “alcune” centrali elettronucleari. Le parole del presidente americano, ad ascoltarle con attenzione, sono un capolavoro di scaltrezza dialettica. E’ noto che in USA una piccolissima parte della popolazione segue il discorso politico; chi ascoltava il discorso di Obama sul nucleare, e ora chi discute sulle sue parole, è una minoranza di persone letterate, orbene queste persone sono state invitate al dialogo, al dibattito razionale sul dilemma nucleare e ambiente, invitate a pensare alla solidità dell’economia nazionale, all’orgoglio della nazione, al futuro. Chi segue la stampa americana sa che tale tipo di dibattito è già in corso da tempo e quindi, stimolati dalle parole del presidente, si può continuare a scrivere e parlare e scambiarsi opinioni per tantissimo tempo. A cosa serve guadagnare tempo? A portare avanti la dinamica industriale nucleare, l’aggiornamento della tecnologia dei sommergibili nucleari, tecnologia per la quale è in atto una transizione evolutiva sia per il normale ritmo industriale di rinnovamento (il ciclo è rozzamente valutabile in dieci o quindici anni) sia per l’innovazione imposta dalla emergenza delle nuove tecnologie russe e cinesi. Infatti le caratteristiche prestazionali della flotta sottomarina sono intimamente legate alle caratteristiche della tecnologia missilistica – si parla ovviamente di sommergibili portatori di missili balistici. La ricerca e sviluppo nucleare è realizzata da tre o quattro complessi industriali; si tratta di attività complicatissime che richiedono competenze specialistiche implicanti anni di educazione di fisici, ingegneri, tecnici spesso operanti in simbiosi, ed è proprio da questa realtà che nascono i tempi tipici ciclici dell’aggiornamento della produzione citati prima. L’America con Truman ha aperto la strada all’era delle armi nucleari prodotte su larga scala, ma la proliferazione tanto temuta dalle persone intelligenti è avvenuta, solo l’ingenuità o l’ignoranza dei politici credeva che le armi nucleari potessero restare un segreto e un privilegio nelle mani del Pentagono. I fisici, a partire da Einstein e Fermi, hanno sempre saputo che non è così, e furono loro gli iniziatori dei ragionamenti sulla logica globale del disarmo. Non ascoltati. Ora è compito dell’America continuare a gestire, in qualità di nazione più potente, il precario stato di cose dell’armamento nucleare globale. E questo ingrato compito spetta al presidente Obama.
L’Italia si trova a un bivio. Tentare la strada della leadership nella scienza del futuro, l’ecofisica, e nelle tecnologie che ne conseguono, ossia entrare in collaborazione e competizione con la Germania. Questa sarebbe la decisione orgogliosa, nella tradizione dell’eccellenza che avevamo nell’era di Edoardo Amaldi, quando le nostre università erano alla frontiera della fisica delle alte energie, dell’astrofisica. In senso profondo l’ecofisica è nella filiera di questa grande matrice di pensiero. Oppure seguire la strada del continuo vassallaggio, ora verso l’America, domani non si sa, Arlecchino tende a essere servo di due padroni.
Luigi Sertorio
Fonte: www.aspoitalia.blogspot.com/
16.03.2010