DI CARLO BERTANI
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La Geopolitica – proprio perché è “Geo”, quasi “Pan” – richiede sempre un evento, un bandolo della matassa dal quale partire per l’analisi, altrimenti la confusione è massima.
L’evento che ci ha colpiti, negli ultimi giorni, non è certo stato lo strombazzato invio di 30.000 soldati statunitensi in Afghanistan, cosa del resto presente nel programma politico di Obama. E nemmeno il classico servilismo italiano di “regalare” al Presidente USA mille fantaccini italiani per la fornace afgana: tutto serve – anche le future bare che, purtroppo, certamente giungeranno – per tentare un riavvicinamento a Washington, cercare di far dimenticare la “guerra” degli oleodotti e la grande “amicizia” con Bush e la precedente amministrazione. Per non parlare di Putin e di Bielorussia.
La “stranezza” – a fronte di un rinnovato interventismo USA – è stata l’annuncio, da parte dell’Iran, d’incrementare il proprio programma nucleare con dieci nuovi centri d’arricchimento per l’Uranio, e che il materiale fissile supererà anche la “soglia” del 20%, ossia superiore a quella generalmente utilizzata per le attività di produzione elettro-nucleare [1].
In altre parole, Ahmadinejad ha platealmente distrutto uno dei cardini che difendevano la sua politica nucleare, ossia che il programma iraniano era esclusivamente destinato ad usi civili. Strana coincidenza, proprio mentre gli USA sembrano voler mostrare i muscoli.
A questo punto, non restano che due ipotesi: gli iraniani giocano il tutto per tutto – sapendo che, tanto, la guerra giungerà inevitabilmente nel loro Paese – oppure per l’opposta ragione, ossia che nessuno li disturberà più.
L’evento, fra l’altro, giunge a cavallo della sostituzione della “colomba” El-Baradei in seno all’AIEA – l’ente che dovrebbe sorvegliare le attività nucleari nel Pianeta – con il giapponese Amano, che non è definito un “falco” bensì un “esperto di disarmo, più tecnico che politico” [2]. Vedremo cosa partorirà il nipponico.
L’ultimo “colpo di coda” di El-Baradei è stato una risoluzione contro Israele – la prima! – per il suo acclarato segreto di Pulcinella, ossia il programma e l’armamento nucleare di Tel Aviv [3]. Ovviamente, c’è stata la parallela condanna per il programma iraniano: business is usual.
Perché, allora, in un quadro così altalenante, Ahmadinejad rompe gli indugi e comunica, con una “perifrasi tecnica”, l’intenzione di giungere alla bomba atomica? Vuole accelerare una guerra contro il suo Paese?
Analizzando ciò che è avvenuto in passato – quando i rischi erano più elevati – si scopre che gli iraniani hanno saputo essere tanto levantini quanto pragmatici nella trattativa, evitando sempre lo scontro frontale ma non indietreggiando di un millimetro.
Qual è, allora, la ragione dell’improvvisa “avanzata”?
Riteniamo, e sosterremo questa tesi, che la scelta iraniana sia stata dettata più dalla politica estera statunitense che da risoluzioni dell’AIEA, minacce da parte di Israele od altro. In altre parole, gli iraniani hanno compreso – dalla scelta afgana di Obama – che non correranno nessun rischio per il futuro, anzi.
Dobbiamo allora chiederci cosa ci sia di nuovo nella strategia di Washington, dopo il primo anno del “regno” di Obama: lasciamo sullo sfondo le inutili polemiche e le ingenuità di chi pensava ad Omaba come ad un rivoluzionario, il paladino degli esclusi o roba del genere.
Barack Hussein Obama è un politico del Partito Democratico, lo stesso partito che espresse Kennedy (Baia dei Porci e Vietnam), Carter/Brzezinski (trappola afgana per l’URSS) e Clinton (79 giorni di serrati bombardamenti sulla Serbia), roba che non si vedeva più, in Europa, dal 1945.
Tutte cose che avevamo raccontato molto tempo fa, prima che tanti “osannanti” adepti della nuova religione “obamiana” comparissero [4].
Proprio da Brzezinski dovremmo partire, oggi che l’anziano “analista strategico” sta offrendo nuovamente i suoi servigi ad un altro Presidente del Partito Democratico e, l’ossessione di Brzezinski, è sempre stata l’Afghanistan. Perché?
La ragione è la stessa che condusse gli inglesi a tentare d’insediarsi in quel Paese nel lontano 1823 – scelta che portò ad una strisciante guerra fra gli afgani e gli inglesi, la quale durò fino al 1919! – e poi i sovietici: il controllo delle vie commerciali dell’Asia Centrale, siano esse le antiche carovane della seta od i moderni oleodotti. Quindi, l’ostinazione degli USA a rimanere nel Paese, è giustificata dal punto di vista geostrategico ma, proprio per i precedenti, non sembra godere di fausti auspici.
Riflettiamo, soprattutto, sulla sterile ed inconcludente guerra afgana condotta dagli inglesi: quando l’Impero Britannico era all’apice della sua potenza, non come la claudicante URSS. E, lasciateci anticipare, come gli illusi statunitensi & Co.
Le ragioni, per i fallimenti delle varie guerre “afgane”, sono sostanzialmente due: la natura del territorio e la presenza d’altri competitori.
Sulla prima c’è poco da dire: a parte le valli centrali, il Paese è impervio, montuoso e con scarse vie di comunicazione. Vale a dire, l’optimum per qualsiasi forza guerrigliera.
Per contrastare i guerriglieri afgani sarebbe necessario condurre una guerra diversa, con addestrate truppe di montagna (Alpini, Alpenjäger, Chasseurs des Alpes, ecc), e supporto aereo solo in funzione tattica, ossia per appoggiare le truppe a terra (quello che non possedevano, all’epoca, gli inglesi.)
Il tallone d’Achille di questa strategia è lampante: migliaia e migliaia di morti fra le truppe occidentali. Uno scenario politicamente improponibile, per questo l’aviazione viene usata in modo strategico, ossia per colpire i “centri” del nemico dall’alto. Ma, siccome il nemico non è un esercito tradizionale, l’aviazione strategica non ha obiettivi definiti e chiari da colpire: da qui, i tanti “errori” e la mattanza dei civili, che finisce per avvicinare la popolazione ai resistenti.
Ci si chiederà chi sorregge la guerriglia afgana, e qui affrontiamo il secondo punto.
Riteniamo che la Cina, ad esempio, non sia felicissima d’avere alla propria frontiera (un tratto esiguo, ma presente, che conduce al Sinkjang cinese) i Berretti Verdi, tanto meno la Russia, che vede nella (eventuale) penetrazione americana, dalle valli del Panshir, una minaccia al nuovo tentativo egemonico nei confronti delle ex repubbliche sovietiche dell’Asia Centrale. In pratica, la strategia del Cremlino – riportare “a zero” la penetrazione americana in Asia Centrale, i “tossici” (per Mosca) accordi dell’era Yeltsin – percepisce gli USA come una minaccia.
Quindi, riassumendo, la guerriglia viene rifornita da chi (anche altri Paesi del Patto di Shangai) non desidera avere rompiscatole in casa, e le condizioni del teatro bellico sono estremamente favorevoli ai difensori.
In questo contesto, Obama decide (almeno, così parrebbe) di rilanciare per una vittoria finale. Domanda: è fesso?
No, Omaba non è assolutamente fesso: è un’aquila al confronto di Bush, così come Brzezinski – da solo – ne fa venti dei grandi “strateghi” di Bush, i vari Rumsfeld e Cheney. Difatti, Powell – che militare era sul serio – se ne andò discretamente: grazie, sono repubblicano, non fesso.
Obama – da uomo intelligente qual è – ha compreso che la via afgana conduce direttamente alla Saigon del 1975: bandiere arrotolate, elicotteri gettati in mare, fuga. A differenza di Kissinger, però, Brzezinski non ha pronto un “Piano B” – al tempo Timor Est e l’Indonesia – per ricreare una “cintura” di protezione per la strategia USA
. E, oltretutto – per stessa ammissione del Presidente – i soldi scarseggiano, non ci sono più le risorse di un tempo.
Che fare, con il poco che rimane?
Quella che Obama si prefigge non è una “vittoria” afgana – sa benissimo che è fuori della sua portata – ma una strategia di “stabilizzazione” del Paese sul modello iracheno.
Parentesi: la situazione irachena, però, è strettamente legata agli equilibri in Afghanistan, dunque si tratta pur sempre di tentativi con moltissimi punti interrogativi. Anche perché, nei fatti, l’Iraq non è “stabilizzato” per un cacchio.
La via, però, è quella e non ne esistono altre: lasciamo agli allocchi le farneticazioni sul Pakistan, la cattura di Al-Zawahiri (la vera “mente” di Al-Qaeda) ed altre fanfaluche. Ciò che conta per Obama è giungere al prossimo appuntamento elettorale del 2012 con una situazione non troppo deteriorata, almeno presentabile dal punto di vista mediatico. Chissà, se si sarà fatto dare qualche consiglio da un tizio il quale, in Italia, non sa fare altro?
Chi dovrebbe avvertire un po’ di bruciore al sederino è il “sindaco di Kabul” – Ahmid Karzai – il quale (provvidenzialmente?) ha già comprato casa ad Abu-Dhabi. La “nuova” strategia di Obama prevede, in pratica, di riportare al potere – sotto mentite spoglie – i Taliban e l’etnia pashtun. Addirittura, “contatti con il Mullah Omar”.
Karzai corre seri rischi, perché in Afghanistan non usa deporre un Presidente con l’applauso finale e tanti ringraziamenti, bensì appenderlo al gancio di un carro-attrezzi, dopo avergli infilato i testicoli in bocca [5] . Consiglieremmo, al più presto, un trasferimento nei dorati esili del Golfo Persico.
Perciò, non confondiamo le mire strategiche USA con quello che raccontano: oramai, la politica internazionale si fa più con gli annunci che con i fatti. I veri “fatti” sono altri a compierli, come le numerose collaborazioni militari ed industriali interne al Patto di Shangai, oppure l’aggressiva politica estera cinese nei confronti dei Paesi produttori di materie prime. Solo che, i cinesi, non mandano nemmeno uno schioppo: preferiscono comprare (per ora) con i dollari. Ne hanno forzieri colmi: questa è la vera “penetrazione” a livello internazionale, quella che nel tempo genera frutti, non le bombe.
Ahmadinejad, altro furbacchione, ha subito compreso che gli USA saranno terribilmente affaccendati nel cercare di giungere almeno ad una soluzione onorevole, per evitare una seconda Saigon: logicamente, ne approfitta. Oltretutto, sa benissimo che, in cambio di un placido “disinteresse” iraniano per l’Afghanistan, Obama sarà costretto a chiudere entrambi gli occhi, le porte della Casa Bianca e le chiappe.
Catapultato sulla scena internazionale, il giovane avvocato dell’Illinois – persona di grande intelligenza – ha compreso che deve mediare, all’interno, con le mille lobbies degli apparati industriali e militari, mentre all’estero può fare poco o nulla. Perciò, s’è attrezzato per fornire un’immagine convincente per il Pentagono, ed una soluzione pragmatica e gestibile per il volgo, così da assicurarsi – almeno, così spera – un secondo mandato.
Gestire la discesa lentamente, meno che mai dare l’impressione che sia una caduta: si naviga a vista. E noi, perdiamo del tempo a lambiccarci?
Carlo Bertani
Fonte: http://carlobertani.blogspot.com/
Link: http://carlobertani.blogspot.com/2009/12/furbacchioni-si-nasce-presidenti-si.html
4.12.2009
Articolo liberamente riproducibile nella sua integrità, ovvia la citazione della fonte.
[1] Fonte : http://www.repubblica.it/2009/11/sezioni/esteri/iran-9/impianti-nuovi/impianti-nuovi.html
[2] Fonte http://italian.irib.ir/index.php/notizie/politica/9365-laddio-di-el-baradei.html
[3] Fonte: http://www.rss-notizie.it/article_nucleare_aiea_vota_risoluzione_contro_israele__2990315.htm
[4] Vedi: http://carlobertani.blogspot.com/2008/01/uomo-della-provvidenza-o-cavallo-di.html
[5] Vedi: http://it.wikipedia.org/wiki/Mohammad_Najibullah